Con il Papa all'udienza generale

Pregando san Giuseppe

 Pregando san Giuseppe  QUO-038
16 febbraio 2022

«Salve, custode del Redentore e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen».

Per dare a tutti la possibilità di recitare questa preghiera con il Papa, durante l’udienza generale, sono state distribuite, agli ingressi dell’Aula Paolo vi , immaginette con quattro diverse raffigurazioni di san Giuseppe che si trovano nella cappella delle reliquie della Basilica Vaticana, alla Sagrada Família di Barcellona, nella chiesa romana di San Marcello al Corso (dov’è il crocifisso legato alla preghiera di Francesco in tempo di pandemia) e, infine, un’immagine espressione dell’arte popolare.

Con questa preghiera, proposta dal Pontefice al termine della Lettera apostolica Patris corde, si è concluso il ciclo di catechesi dedicate alla figura del Patrono della Chiesa universale.

Ed è proprio con la preghiera che, sempre durante l’udienza di stamani, Francesco ha ricordato padre Richard Masivi Kasereka assassinato il 2 febbraio scorso nella Repubblica Democratica del Congo. Aveva 37 anni.

Hanno ascoltato a capo chino le parole del Papa in ricordo del loro amico e confratello Richard i religiosi dell’Ordine dei chierici regolari minori. Sono venuti proprio dal Paese africano, e anche da India, Kenya, Tanzania, Stati Uniti d’America e Filippine, oltre che da varie parti d’Italia, per dare vita in questi giorni, dal 6 al 18 febbraio, a Sacrofano alla loro “dieta generale”.

Parla con un filo di voce il superiore generale Teodoro O. Kalaw: «Padre Richard è stato assassinato da uomini armati a Vusesa, tra Kirumba e Mighobwe, nel territorio del Lubero, nord-Kivu, mentre rientrava nella sua parrocchia di San Michele arcangelo dopo la celebrazione della Giornata mondiale della vita consacrata a Kanyabayonga».

«Il suo corpo senza vita — racconta il superiore generale — è stato ritrovato il giorno dopo nell’auto nella quale viaggiava da solo. Giaceva accanto al telefono che non è stata rubato dai suoi assassini. I funerali sono stati celebrati a Butembo il 5 febbraio, proprio nel giorno del suo compleanno, davanti a una grande folla di persone».

«Piangiamo per la morte violenta del nostro confratello ma siamo consolati dal Signore sicuri che, come insegna Tertulliano, lo spargimento di sangue è seme per la Chiesa», confida padre Kalaw. Ricordando anche che «il 21 febbraio Richard avrebbe celebrato il terzo anniversario di sacerdozio e che aveva tanti progetti per la parrocchia dove aveva iniziato la sua missione da appena 3 mesi».

Di fronte a questa «cultura della violenza che sembra non aver fine» padre Kalaw ha parole di speranza.

E speranza è il sentimento — tutt’altro che vago — che ha animato tantissimi prigionieri dei lager, dei gulag e di ogni altri luogo di prigionia spingendoli a comporre musica. Sì, proprio a creare musica con libertà nei luoghi che hanno cercato di negare all’uomo la dignità prima ancora che la vita. A raccontare questa storia è il musicista Francesco Lotoro che dal 1988 sta raccogliendo spartiti e anche testimonianze orali.

Al Papa ha presentato il suo libro autobiografico Un canto salverà il mondo - La musica sopravvissuta alla deportazione (Feltrinelli) nel quale ripercorre, «con dovizia di particolari e aneddoti, 33 anni di ricerca e recupero della musica scritta in ghetti, lager, gulag e campi di prigionia militare dall’apertura del lager di Dachau nel 1933 alla morte di Stalin nel 1953». Un patrimonio che ha raggiunto 8.000 opere e 12.ooo documenti, 500 ore di interviste e 200 manoscritti.

E così si conosce la storia di un quacchero britannico che compone una Messa di Natale per i cattolici compagni di prigionia e di quel violinista ebreo che ce la mette tutta per “coprire” con la sua musica l’ordinazione sacerdotale del beato Karl Leisner nel lager di Dachau.

Lotoro definisce la musica nei campi di concentramento «un miracolo nella tragedia». Di più: «Se molti canti sono arrivati a noi è perché, ad esempio, i prigionieri ebrei del lager di Sachsenhausen li cantavano al cattolico Aleksander Kulisiewicz, particolarmente bravo a mandarli a memoria, in modo che li imparasse e non si perdesse la testimonianza».

Particolarmente significativo l’incontro del Papa con Marie van der Zyl, presidente del Board of Deputies of British Jews, importante realtà impegnata nel dialogo ebraico cattolico sulla scia della Dichiarazione Nostra aetate, anche con la Conferenza episcopale britannica.

Infine Luca e Daniela Sardella hanno presentato a Francesco la “Rosa di Bergoglio”, una nuova varietà di fiore, con cento petali e delicate sfumature intorno al rosso, ottenuta nella zona del ponente ligure. Presto saranno offerte al Papa 30 rose “battezzate” con il suo nome.

di Giampaolo Mattei