Presentato al Papa un quadro che denuncia l’urgenza di accogliere i migranti

Madonna di Porto Negato

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11 febbraio 2022

Sarebbe bello se Porto Negato fosse solo un luogo inventato da un autore di favole per raccontare “l’impensabile”: che, cioè, possa davvero esistere — in un mondo disumano — un porto negato, sbarrato, soprattutto ai bambini, alle donne e agli uomini che stanno annegando. Sarebbe bello che solo un autore di fervida immaginazione ricorresse a questa inquietante metafora per paradosso... E sì, sarebbe bello se Porto Negato fosse una località rintracciabile solo su un google maps delle favole. Perché un porto è, nella sua stessa identità, aperto. Un sogno chiamato speranza.

Ma è proprio quando ha visto che, invece, ogni tratto di costa potrebbe improvvisamente — e disumanamente – prendere l’atroce nome di Porto Negato che il pittore messinese Giuseppe Martino ha deciso di reagire, facendo quello che gli viene meglio: dipingere un quadro. Non aveva però deciso di piangere mentre lo realizzava. Non le ha potute trattenere quelle sue lacrime che racchiudono l’incancellabile memoria delle immagini di chi muore in mare, di chi non è accolto fino a metterne in pericolo la vita. E sì in quel mare, dalle tinte forti, impresso sulla tela ci sono finite anche le sue lacrime di artista. Artista siciliano, per giunta. Sono lacrime solidali che s’intrecciano fino a divenire lo stesso pianto dei bambini, delle donne e degli uomini che su quel tratto del Mediterraneo sono morti e continuano ad annegare. Insomma, per Martino, classe 1948, il quadro dedicato alla «Madonna del Porto Negato» non è un’opera del suo catalogo e basta.

Con questa consapevolezza — «non è un quadro e basta» per la storia che racconta (e per le lacrime che lo colorano) — il gesuita Felice Scalia lo ha presentato ieri a Papa Francesco. Partendo da lontano. E sì, perché Martino — come tutti coloro che nascono e vivono affacciati sul mare — ha imparato fin da piccolo a dar del “tu” alle popolari, semplici, dirompenti invocazioni alla Madonna di Porto Salvo. Parole ripetute e cantate da madri, mogli, sorelle e figlie di coloro che su barche, quasi sempre precarie, prendono il largo per la pesca. Preghiere povere, viscerali, che non prevedono nelle loro “mappe” un posto che prenda il nome di Porto Negato.

Preghiere di vita vissuta scaturite dall’esperienza di un popolo capace di sentir chiaro che un porto fa sempre “rima” con salvezza. Ma sul serio, nella concretezza dell’odore di una barca. E non solo per una, pur efficace, metafora spirituale.

«Constatando che è venuta meno la certezza del porto sempre aperto soprattutto a chi sta in pericolo… un uomo di mare e un uomo con sensibilità d’artista che fa? Piange! E comunica con i talenti che ha: pennello, tavolozza e tela e… prega dipingendo chiedendo a ciascuno, nessuno escluso: quale speranza ha ancora l’uomo di oggi?». Ed è proprio con queste parole che padre Scalia ha “raccontato” il quadro al Papa.

Già, «quale speranza?» se persino la certezza di una tradizione radicata come il Porto Salvo viene meno e prevale il Porto Negato? Ed è un titolo in più, questo, che Martino sceglie per invocare Maria con la “sfrontatezza”, innamorata, del figlio. «Perché Maria è anche e soprattutto lì», in località Porto Negato.

E, allora, ecco l’essenza di sacralità e la denuncia — sì sì, denuncia — “urlata” dal quadro, con chiarissimi richiami alla tragica cronaca e alla storia dell’arte.

In tutta evidenza, Maria di Porto Negato è tratteggiata come la donna che Giuseppe Pellizza da Volpedo ha dipinto in primo piano nel quadro “Il quarto stato”. E con la mano destra indica i migranti che stanno lottando, in mare, per non annegare.

Con la mano sinistra, Maria di Porto Negato stringe Alan Kurdi, il bambino siriano (aveva appena 3 anni) morto nell’estate 2015 nel naufragio di un gommone, a largo delle coste della Turchia. E fotografato. A faccia in giù nella sabbia, con la maglietta rossa e i pantaloncini blu. Proprio così lo ha dipinto Martino, artisticamente sollevandolo dalla sabbia e affidandolo alle braccia di Maria.

Ed è un pugno dritto allo stomaco il primo piano che propone il quadro: il cadavere di un uomo, “crocifisso” sull’acqua. Perché Martino ha intravisto il quattrocentesco Cristo Morto di Andrea Mantegna nel corpo di un uomo che, nell’estate 2020, per settimane è rimasto lì, alla deriva, nel Mediterraneo. In realtà, lì alla deriva c’eravamo tutti.

In fin dei conti Martino non ha inventato nulla: è cronaca.

Nel dipingere la “Madonna di Porto Negato” gli ha dato una mano sua moglie, Silvana Salandra. È lei ad aver composto la preghiera che, indissolubilmente, accompagna l’opera. Eccola: «Madre nostra, sei lì, in mare, dove annegano i tuoi figli. Ti ergi sul naufragio della nostra fratellanza come faro nella furia della disumanità, e ci mostri dove accorrere per salvare gli uomini, le donne, i bambini, per salvarci tutti. Sei lì, con loro, e avanzi verso il porto negato, a ricordarci che siamo fratelli, che dobbiamo indignarci, testimoniare la solidarietà, accogliere, rivendicare e riscattare la stessa sacralità della vita. Alla testa della schiera dei respinti, il tuo sguardo dolente ci invoca: “Fate come me, unitevi a me, insieme potete tornare a essere fratelli”».

Presentando il quadro nel santuario di Capo Milazzo che ricorda il naufragio di sant’Antonio di Padova, soccorso dai pescatori (testimonianza di Porto Salvo nell’inverno del 1221...), e nella chiesa messinese di Santa Maria della Scala, Silvana Salandra ha dato “voce” alle potenti immagini dipinte dal marito: «La Madonna raffigurata, che recupera chi annega, che salva chi non ha porti aperti, ha lo sguardo rivolto a chi guarda il quadro, a noi, uno sguardo dolente non solo per quelli che stanno affogando o che sono già morti, ma proprio per noi che stiamo a guardare una Madonna che piange il fallimento della nostra fratellanza».

di Giampaolo Mattei