11 febbraio

11 febbraio 2022

Ben iscritti nella storia d’Italia, come pure in quella della Santa Sede, i Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929, non cessano di essere punto di riferimento, un punto di riferimento dinamico. Ovvero aperto a fruttificare nell’evoluzione della storia e della società. Per effetto di una duplice spinta. Prima di tutto perché delineano spazi di libertà. L’antico tema della libertas ecclesiae, che a suo tempo aveva giustificato il cosiddetto “potere temporale”, è certificato in termini istituzionali da un fazzoletto di terreno, lo Stato della Città del Vaticano. Papa Pio xi , dell’inizio del pontificato del quale ricordiamo proprio quest’anno il centenario, presentando i Patti aveva parlato di uno spazio «quasi spiritualizzato». Una sovranità reale, ma che doveva rappresentare soprattutto un segno. Doveva rappresentare semplicemente la garanzia — e lo fu durante gli anni drammatici della guerra e dell’occupazione — perché la Chiesa potesse liberamente esercitare la sua azione propria, pastorale, educativa, caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. Una libertà dunque non fine a sé stessa, ma per il bene. Ecco allora la seconda spinta, che è stata formalizzata nel primo articolo dell’Accordo di revisione del 1984, un convergente impegno per la «promozione dell’uomo», ovvero di tutte le persone, e del «bene del Paese», ovvero dell’Italia, come realtà istituzionale e sociale.

Il Trattato lateranense, creando un nuovo, piccolissimo Stato, il più piccolo del mondo, ha rimosso le condizioni di un conflitto durato oltre mezzo secolo: di più, ha formalizzato, per usare un’immagine ardita, una frontiera che unisce. Che non è una contraddizione in termini, ma può essere un esempio, in un mondo percorso da troppi conflitti. I conflitti si risolvono solo se entrambe le parti sono capaci di operare un salto.

«Indipendenti e sovrani», come recita la Costituzione, che, per un convergente, significativo consenso, menziona i Patti lateranensi nell’articolo 7, Stato e Chiesa dunque condividono oggi questa dinamica di libertà e di bene. E anche, non possiamo non sottolinearlo, la responsabilità di attuarla.

Il magistero di Papa Francesco, non a caso ricordato con «sentimenti di riconoscenza» nel significativo discorso che ha inaugurato il nuovo mandato del presidente Mattarella, offre molteplici spunti e sprona a risposte nuove ed impegnative alle tante necessità che, soprattutto in questo periodo segnato dalla crisi pandemica, si presentano anche alla società italiana.

Il riferimento ai Patti lateranensi, nell’anniversario dell’11 febbraio, ricorda che la cornice istituzionale è importante, costituisce un patrimonio prezioso, da salvaguardare e mantenere con cura, come dimostrano i successivi accordi attuativi, e il tono delle relazioni tra Italia e Santa Sede, costantemente positivo. Ma questa cornice deve essere animata da un’azione concreta e sempre meglio adeguata ai tanti bisogni che la vita delle persone e delle comunità esprime.

Le grandi questioni, educativa, sociale, ambientale, che l’Italia condivide con l’Europa e un mondo sempre più interconnesso, reclamano un di più di comunità, all’interno della quale, nelle diverse articolazioni che caratterizzano il pluralismo costitutivo della società italiana, la Chiesa si colloca in una prospettiva di servizio, di dialogo, di fratellanza. Non solo per rincorrere le diverse emergenze, che pure devono trovare risposta, ma anche per irrobustire quel capitale di principi e di valori, e dunque di fiducia, da conservare e sviluppare con coerenza, che rappresenta un patrimonio prezioso dell’identità italiana, da tramandare nel fluire delle generazioni.