Storia di un potere
usato male

 Storia di un potere  usato male  QUO-033
10 febbraio 2022

Si racconta che il filosofo Aristippo, discepolo di Socrate, fu molto criticato per essersi inginocchiato davanti al tiranno Dionisio. Aristippo si giustificò dicendo che non era colpa sua se Dionisio aveva le orecchie…nei piedi!

Aristippo aveva ben compreso che gli uomini non amano le parole vere, ma apprezzano le parole compiacenti. Siamo tutti come il tiranno Dionisio! E la comunicazione mediatica ne ha fatto tesoro. La politica è diventata tante volte l’arte di trovare le parole che la maggioranza vuole sentirsi dire. Non importa se siano vere o false, se si realizzeranno e se saranno presto dimenticate. L’importante è che oggi il Dionisio che è in noi sia sazio. La responsabilità d’altra parte è anche del consumatore, del cittadino, dello spettatore, perché come affermava Plutarco: «Siccome ciascuno, autocompiacendosi, è il primo e principale adulatore di sé, accetta senza difficoltà un testimone esterno che venga a confermare i suoi desideri e le sue illusioni». Nel mercato delle parole, andiamo per lo più a cercare quello che ci conviene.

Questo bisogno di conferme ha trovato anche un volto femminile nella strega di Biancaneve, la quale interroga lo specchio per sentirsi confermare nella sua assoluta bellezza. Ma ogni tanto la realtà ci delude e ci rimanda un’immagine meno piacevole del previsto. Talvolta lo specchio della realtà è impietoso, ma se smettiamo di ascoltarlo, ci rendiamo protagonisti delle azioni più incresciose.

Da Dionisio in poi, il potere ha sempre più affinato la manipolazione dell’ascolto. Se da un lato le aziende ascoltano in maniera falsa e interessata i gusti e le tendenze dei clienti, dall’altra parte c’è anche un potere che si alimenta rifiutando l’ascolto. Se per esempio in un processo non viene dato ascolto all’accusato o non viene garantita la sua legittima difesa o non vengono ascoltati i testimoni che possono scagionarlo, ci troviamo di fronte all’ingiustizia perpetrata mediante l’abuso del potere. Non ti ascolto vuol dire per me non esisti e posso fare di te quello che voglio!

Al contrario, l’ascolto autentico è la premessa necessaria per giudicare. Il pregiudizio è una barriera all’ascolto. Rinunciamo ad ascoltare quando pretendiamo di sapere già, supponiamo di conoscere, siamo convinti che la nostra idea corrisponda necessariamente alla verità. Oggi più che mai sono tante le vittime dell’ingiusta mancanza di ascolto.

È chiaro dunque che la ricostruzione di un mondo giusto passa attraverso l’esercizio dell’ascolto. Lo vediamo prima di tutto nel rapporto tra genitori e figli, adulti e giovani. Il bisogno di essere approvati e riconosciuti passa necessariamente attraverso l’esperienza dell’ascolto: un genitore ha nelle mani il potere di generare frustrazione o benessere nel proprio figlio semplicemente rifiutando o accogliendo l’implicita e talvolta silenziosa richiesta di ascolto. Anche un’istituzione, anche la Chiesa, ha nelle sue mani il potere di dare ascolto o di trasmettere indifferenza. Molte ferite che ci portiamo dietro sono state generate dalla percezione, vera o presunta, di non essere stati ascoltati: quella volta non ci siamo sentiti amati!

A ben guardare la capacità di ascoltare è proprio la possibilità data all’essere umano per evitare il rischio del delirio di onnipotenza e per riconoscere di essere fatto per la relazione. Il bambino impara ad ascoltare prima di imparare a parlare, anzi impara a parlare proprio perché ha la capacità di ascoltare: parlare vuole dire all’inizio ripetere quello che sento. Ciò vuol dire che non imparerei mai a parlare se non ci fosse prima di me qualcuno che mi rivolge la parola e che posso ascoltare. Solo perché ascolto, posso parlare. Oggi, forse, non siamo più capaci di parlare proprio perché non ascoltiamo più. È come se non ascoltando, cancellassimo la verità della nostra origine.

Questa dinamica è molto chiara nella rivelazione biblica: “Dio disse” è il primo passo della storia della salvezza. L’uomo ascolta. Riconsiderare la nostra attitudine all’ascolto significa anche riappropriarsi della nostra identità davanti a Dio. Grazie a questa capacità di ascolto, l’uomo può ricevere il dono della legge. Ritroviamo qui il profondo nesso, che in latino è evidente, tra ascoltare (audire) e obbedire (obaudire). Non si può obbedire senza ascoltare. Se la ribellione fondamentale dell’uomo consiste nel rifiuto della relazione con Dio e con gli altri, non può che cominciare chiudendo le orecchie! Il male comincia da lì, dalla dis-obbedienza, dal tradimento del dono dell’ascolto: l’io prende tutto lo spazio quando non c’è più nulla che entra nella nostra vita.

Obbedire alla realtà vuol dire invece riconoscere il compito che essa generosamente, come diceva Viktor Frankl, ha per noi. Senza questo ascolto, restano le idee senza gambe. Rischiamo di costruire castelli senza fondamenta.

Una società ha il potere di ascoltare la propria storia o di spezzare la relazione con il proprio passato. La memoria collettiva è il fondamento della ricostruzione. Quando Israele ritorna dall’esilio, come racconta il libro di Neemia, ha bisogno di ascoltare il racconto del suo cammino verso la terra promessa: davanti alle macerie, il popolo ha bisogno di ricostruire, ma può farlo solo sul fondamento del suo passato.

Ci sono tante voci e facilmente possiamo essere ingannati. C’è chi grida più forte e chi parla in modo più suadente. Per questo l’ascolto non è semplicemente sentire. Il sentire si ferma al senso dell’orecchio, l’ascolto è la capacità di legare la testa e il cuore. È l’inizio del discernimento: si ascolta quando si capisce con l’intelletto e si sente con il cuore. Solo in un ascolto onesto ritroviamo la nostra piena identità, integrando le dimensioni fondamentali della nostra persona.

di Gaetano Piccolo