Il magistero

 Il magistero  QUO-033
10 febbraio 2022

Venerdì 4

La fratellanza umana
barriera
per arginare odio, violenza
e ingiustizia

Saluto il Grande Imam Ahmed Al-Tayyeb con il quale tre anni fa ho firmato il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. In questi anni abbiamo camminato come fratelli nella consapevolezza che, rispettando le nostre rispettive culture e tradizioni, siamo chiamati a costruire la fratellanza quale barriera contro l’odio, la violenza e l’ingiustizia.

Ringrazio lo Sceicco Mohammed bin Zayed, l’Alto Comitato per la Fratellanza Umana e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché, con la risoluzione del 21 dicembre 2020, ha permesso di celebrare oggi la Seconda Giornata Internazionale della Fratellanza Umana.

La fratellanza è uno dei valori fondamentali e universali che dovrebbe essere alla base delle relazioni tra i popoli, così che quanti soffrono o sono svantaggiati non si sentano esclusi e dimenticati, ma accolti.

Siamo fratelli! Tutti dobbiamo farci promotori di una cultura di pace, che incoraggi sviluppo sostenibile, tolleranza, inclusione, comprensione reciproca, solidarietà.

Tutti viviamo sotto lo stesso cielo indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dal ceto sociale, dal sesso, dall’età, da condizioni di salute ed economiche.

Questo periodo di pandemia ce lo ha dimostrato: da soli non ci si salva!

Come credenti, appartenenti a diverse tradizioni religiose, abbiamo un ruolo. Quale? Aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo.

Perché chi adora Dio con cuore sincero ama anche il prossimo.

La fratellanza ci induce ad aprirci al Padre di tutti e a sostenerci a vicenda.

Oggi è il tempo opportuno per camminare insieme. Non lasciare per domani o per un futuro che non sappiamo se ci sarà. È un giorno propizio per darsi la mano, celebrare la nostra unità nella diversità.

Non è tempo di indifferenza: o siamo fratelli o crolla tutto.

Questa non è un’espressione meramente letteraria di tragedia, è verità! Lo vediamo nelle piccole guerre, in questa terza guerra mondiale a pezzetti, come si distruggono i popoli, come i bambini non hanno da mangiare, come cala l’educazione.

Non è il tempo della dimenticanza. Dobbiamo ricordarci quello che Dio disse ad Abramo: che alzando lo sguardo alle stelle del cielo avrebbe visto la promessa della sua discendenza, cioè noi.

Una promessa che si è realizzata anche nelle nostre vite: quella di una fraternità larga e luminosa!

Il percorso della fratellanza è lungo, è difficile, ma è l’àncora di salvezza per l’umanità.

Ai tanti segnali di minaccia, ai tempi bui, alla logica del conflitto contrapponiamo il segno della fratellanza.

Grazie a tutti coloro che operano nella convinzione che si possa vivere in armonia e in pace.

Incoraggio tutti a impegnarsi per rispondere ai problemi e ai bisogni concreti degli ultimi, dei poveri, di chi è indifeso.

La proposta è di camminare fianco a fianco, “fratelli tutti”, per essere artigiani di pace e di giustizia, nell’armonia delle differenze.

(Videomessaggio per la ii Giornata internazionale della fratellanza umana)

Seme
di speranza contro
la cultura
dello scarto

Ringrazio il mio amico Arnoldo Mosca Mondadori. Saluto i detenuti delle carceri di San Vittore a Milano, di Opera e di Alba, i Direttori e il personale. Mi congratulo per il vostro lavoro. Sono attività artigianali, e hanno anche un valore simbolico cristiano.

Preparare le ostie per la celebrazione eucaristica; costruire strumenti musicali con legno recuperato dalle barche dei migranti; la falegnameria, come San Giuseppe e Gesù; la produzione del vino, che è ricorda le nozze di Cana!

Saluto le persone rifugiate, che fanno lavori di sartoria [e] le ragazze madri, coi loro bambini e le persone con disabilità, che collaborano a preparare le ostie e i violini.

Saluto i musicisti dell’orchestra multietnica, con i direttori e il maestro Piovani che ha composto la musica per il “Violino del mare”, [e] le persone venute da Spagna, Brasile e Argentina, come i volontari e collaboratori.

Siete un seme di speranza. Date segnali che si oppongono alla cultura dello scarto. Cercate di costruire, con le “pietre scartate”, una casa dove si respiri un clima di amicizia sociale e di fraternità.

Non tutto è facile, non sono tutte “rose e fiori”! Ognuno ha i suoi limiti, i suoi sbagli e i suoi peccati. Tutti noi.

Ma la misericordia di Dio è più grande, e se ci accogliamo come fratelli e sorelle Lui ci perdona e ci aiuta ad andare avanti.

Ricordiamo quanti danno il loro contributo all’opera della Fondazione; e un pensiero va alla signora Marisa Baldoni.

Vi incoraggio a continuare il cammino. Abbiate sempre tra voi e nei vostri laboratori lo spirito della casa di Nazaret!

(Saluto alla Fondazione Casa dello Spirito
e delle Arti)

Domenica 6

Gesù sale
sulla barca
della vita
degli uomini

La Liturgia odierna ci porta sulle rive del lago di Galilea. La folla fa ressa attorno a Gesù, mentre alcuni pescatori delusi, tra cui Simon Pietro, lavano le reti dopo una notte andata male.

Gesù sale sulla barca di Simone; lo invita a prendere il largo e a gettare ancora le reti. Fermiamoci su queste due azioni.

È stata una notte senza pesci, ma Pietro si fida.

Gesù sale sulla barca di Simone... per insegnare. Chiede quella barca, tornata vuota, dopo una notte di fatiche e delusioni. È una bella immagine anche per noi.

Ogni giorno la barca della nostra vita lascia le rive di casa per inoltrarsi nel mare delle attività quotidiane; cerchiamo di “pescare al largo”, coltivare sogni, portare avanti progetti, vivere l’amore.

Ma spesso viviamo la “notte delle reti vuote”, la delusione di impegnarci e non vedere i risultati.

Restiamo con un senso di sconfitta, e nel cuore nascono delusione e amarezza. Due tarli pericolosissimi.

Che cosa fa allora il Signore? Sceglie di salire sulla nostra barca. Da lì vuole annunciare il Vangelo.

Quella barca vuota, simbolo delle nostre incapacità, diventa la “cattedra” di Gesù, il pulpito da cui proclama la Parola.

Questo ama fare: salire sulla barca della nostra vita quando non abbiamo nulla da offrirgli; entrare nei nostri vuoti e riempirli; servirsi della nostra povertà per annunciare la sua ricchezza, delle nostre miserie per proclamare la sua misericordia.

Non vuole una nave da crociera, gli basta una povera barca “sgangherata”, purché lo accogliamo. Questo sì; non interessa su quale barca, accoglierlo.

Noi ci sentiamo indegni perché siamo peccatori. Ma questa è una scusa che al Signore non piace, perché lo allontana! Il Dio della vicinanza, della compassione, della tenerezza, non cerca perfezionismo.

Il Signore ricostruisce la fiducia di Pietro, gli dice: «Prendi il largo».

Non era un’ora adatta, era pieno giorno, ma Pietro si fida. Non si basa sulle strategie dei pescatori, che ben conosceva, ma sulla novità di Gesù.

Così anche noi se ospitiamo il Signore sulla nostra barca, possiamo prendere il largo.

Con Gesù si naviga nel mare della vita senza paura, senza senza arrendersi al “non c’è più niente da fare”.

Sempre, nella vita personale come in quella della Chiesa e della società, c’è qualcosa di bello e coraggioso che si può fare.

Sempre possiamo ricominciare, rimetterci in gioco perché Lui apre nuove possibilità. Scacciamo pessimismo e sfiducia!

Anche la nostra piccola barca vuota assisterà a una pesca miracolosa.

Giornata
contro
le mutilazioni genitali
femminili

Oggi si celebra la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili. Sono circa tre milioni le ragazze che, ogni anno, subiscono tale intervento, spesso in condizioni pericolose per la salute.

Questa pratica, purtroppo diffusa in diverse regioni del mondo, umilia la dignità della donna e attenta gravemente alla sua integrità fisica.

(Angelus in piazza San Pietro)

Martedì 8

La violenza
sofferta
da donne
e bambine
è una ferita
aperta

Il tema di quest’anno — “La forza della cura. Donne, economia e tratta di persone” — invita a considerare la condizione delle donne e delle bambine, sottoposte a molteplici forme di sfruttamento, anche attraverso matrimoni forzati, schiavitù domestica e lavorativa.

Le migliaia di donne e bambine che ogni anno vengono trafficate denunciano le drammatiche conseguenze di modelli relazionali fondati sulla discriminazione e la sottomissione.

L’organizzazione delle società in tutto il mondo è lontana dal rispecchiare con chiarezza il fatto che le donne hanno la stessa dignità e gli stessi diritti degli uomini.

Purtroppo doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti.

La tratta di persone, attraverso lo sfruttamento domestico e quello sessuale, riconsegna con violenza le donne e le bambine al loro supposto ruolo di subordinate alla prestazione di servizi domestici e di servizi sessuali, alla loro figura di erogatrici di cura e dispensatrici di piacere, che ripropone uno schema di rapporti improntati al potere del genere maschile.

La tratta di persone è violenza!

La violenza sofferta da ogni donna e da ogni bambina è una ferita aperta nel corpo di Cristo, nel corpo dell’umanità intera, è una ferita profonda che riguarda anche ognuno di noi.

Sono tante le donne che hanno il coraggio di ribellarsi alla violenza.

Anche noi uomini siamo chiamati a farlo, a dire no ad ogni violenza.

E insieme dobbiamo lottare perché i diritti umani siano declinati in forma specifica, nel rispetto delle diversità e nel riconoscimento della dignità di ogni persona.

Santa Bakhita indica la via. La sua vita racconta che il cambiamento è possibile quando ci si lascia trasformare dalla cura che Dio ha per ciascuno di noi.

È la cura della misericordia, dell’amore che cambia nel profondo e rende capaci di accogliere gli altri come fratelli e sorelle.

Riconoscere la dignità di ogni persona è il primo atto di cura.

E il prendersi cura fa bene a tutti, a chi dà e a chi riceve, perché non è un’azione unidirezionale ma genera reciprocità.

Dio si è preso cura di Giuseppina Bakhita, l’ha accompagnata nel processo di guarigione delle ferite causate dalla schiavitù fino a rendere il suo cuore, la sua mente e le sue viscere capaci di riconciliazione, di libertà e di tenerezza.

Tenere viva
l’indignazione

Incoraggio ogni donna e ragazza che si impegna per la trasformazione e la cura, nella scuola, in famiglia, nella società.

E incoraggio ogni uomo e ragazzo a non rimanere fuori da questo processo, ricordando l’esempio del Buon Samaritano: che non si vergogna di chinarsi sul fratello.

Prendersi cura è l’agire di Dio nella storia, nella nostra personale e nella nostra storia comunitaria.

Dio si prende cura di noi continuamente. Insieme possiamo far crescere un’economia della cura e contrastare con tutte le forze ogni forma di sfruttamento.

Andiamo avanti nella lotta contro la tratta di persone e ogni forma di schiavitù. Tenere viva l’indignazione e trovare ogni giorno la forza di impegnarvi con determinazione su questo fronte.

Non abbiate paura davanti all’arroganza della violenza; non arrendetevi alla corruzione del denaro e del potere.

(Videomessaggio per la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone)

Mercoledì 9

È disumano
pianificare
la morte
degli anziani

Oggi vorrei approfondire la speciale devozione che il popolo cristiano ha sempre avuto per San Giuseppe come patrono della buona morte.

Benedetto xv , un secolo fa, scriveva che «attraverso Giuseppe noi andiamo direttamente a Maria, e, attraverso Maria, all’origine di ogni santità, che è Gesù».

E incoraggiando le pie pratiche in onore di San Giuseppe, ne raccomandava in particolare una, e diceva: «Egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi».

Forse qualcuno pensa che questo sia solo un retaggio del passato, ma il nostro rapporto con la morte è sempre presente. Benedetto [ xvi ] diceva, alcuni giorni fa, parlando di sé stesso che “è davanti alla porta oscura della morte”... a 95 anni ha la lucidità di dirci questo bel consiglio!

La cosiddetta cultura del “benessere” cerca di rimuovere la realtà della morte, ma in maniera drammatica la pandemia del coronavirus l’ha rimessa in evidenza.

Tanti hanno perduto persone care senza poter stare vicino a loro, e questo ha reso la morte ancora più dura da accettare e da elaborare.

Si cerca in tutti i modi di allontanare il pensiero della nostra finitudine, illudendosi così di togliere alla morte il suo potere e scacciare il timore.

Ma la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla.

Prima o poi, tutti noi andremo per quella porta.

La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo. C’è una certezza: Cristo è risorto, è vivo tra noi. Questa è la luce che ci aspetta dietro quella porta oscura della morte.

Solo dalla fede nella risurrezione noi possiamo affacciarci sull’abisso della morte senza essere sopraffatti dalla paura.

Non solo: possiamo riconsegnare alla morte un ruolo positivo. Infatti, pensare alla morte, illuminata dal mistero di Cristo, aiuta a guardare con occhi nuovi tutta la vita.

Non ho mai visto, dietro un carro funebre, un camion di traslochi! Ci andremo soli, senza niente nelle tasche del sudario.

Non ha senso accumulare se un giorno moriremo.

Dobbiamo accumulare la carità, la capacità di condividere, di non restare indifferenti davanti ai bisogni degli altri.

Che senso ha litigare? A che serve arrabbiarsi? Davanti alla morte tante questioni si ridimensionano. È bene morire riconciliati, senza lasciare rancori e rimpianti!

Tutti siamo in cammino verso quella porta.

Immorale
l’accanimento
terapeutico

Non possiamo evitare la morte e per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l’accanimento terapeutico.

Quella frase del popolo fedele di Dio, della gente semplice: “Lascialo morire in pace”, “aiutalo a morire in pace”: quanta saggezza!

Dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette “cure palliative”, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della vita, possa farlo nella maniera più umana possibile.

Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere.

Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio.

Va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati.

La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti.

Vorrei sottolineare qui un problema sociale, ma reale. Quel “pianificare”, accelerare la morte degli anziani.

Tante volte si vede in un certo ceto sociale che agli anziani, perché non hanno i mezzi, si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno, e questo è disumano.

Questo non è aiutarli, è spingerli più presto verso la morte. E non è umano né cristiano. Gli anziani vanno curati come un tesoro dell’umanità.

Anche se non parlano, e se sono senza senso, sono tuttavia il simbolo della saggezza umana.

Per favore, non isolare gli anziani. Accarezzare un anziano ha la stessa speranza che accarezzare un bambino, perché l’inizio della vita e la fine è un mistero sempre, mistero che va rispettato, accompagnato, curato, amato.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )