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Guardando Giorgio La Pira

 Guardando Giorgio La Pira  QUO-033
10 febbraio 2022

Papa Francesco sarà a Firenze domenica 27 febbraio. Ma — con le prospettive della politica “alta” e lo sguardo rivolto alle grandi questioni del Mediterraneo — il suo viaggio è iniziato tre settimane prima, sabato 5 febbraio, accogliendo in Vaticano i sindaci italiani. Perché è nell’attualità dell’operato come sindaco di Giorgio La Pira — nella concretezza del servizio alla città unito alla visione internazionale per la pace — che Antonio Decaro, primo cittadino di Bari e presidente dell’Associazione nazionale comuni d’Italia, si è presentato a Francesco. E proprio La Pira nel 1958 “inventò” i Colloqui mediterranei che, in tutta evidenza, sono urgenti anche oggi.

«Più volte la pandemia è stata paragonata a una guerra mondiale» ha detto Decaro. «Questo paragone mi ha fatto pensare che allora anche noi sindaci abbiamo dei riferimenti storici ai quali ispirarci, per ciò che dobbiamo fare e per ciò che ci attende. Il primo è quello di Giorgio La Pira, che fu Sindaco di Firenze e che compare sempre, giustamente, nel novero dei grandi sindaci che sono stati protagonisti della rinascita delle rispettive città dopo la catastrofe del conflitto mondiale».

L’esperienza del sindaco La Pira, ha fatto presente Decaro rivolgendosi al Papa, simboleggia «alla perfezione, sia pure a un livello che nessuno di noi può aspirare a raggiungere, quell’insieme di concretezza. Stiamo parlando di un amministratore che, riferendosi a Isaia durante i Consigli comunali era solito dire “per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo”. Questo era il suo impegno che gli permise di ricostruire i ponti sull’Arno, di costruire nuovi quartieri a misura d’uomo, di promuovere Firenze come capitale mondiale dei dialoghi per la pace, mentre non lasciava passare giorno senza rivolgere una parola e un ascolto ai suoi interlocutori preferiti: lavoratori ed in particolari i giovani, dei quali diceva “sono come le rondini, annunciano la Primavera”».

Sguardo alla città e sguardo sul mondo, dunque, e proprio «per questo, pensando ai legami che Giorgio La Pira aveva con la Terra Santa — ha detto Decaro — abbiamo deciso di confermare il contributo finanziario al Caritas Baby Hospital di Betlemme e alla Custodia francescana di Terra Santa. Tra i nostri concittadini c’è una grande voglia di riprendere a vivere, di tornare alla normalità e se possibile di ritrovarsi dopo la grande paura in città migliori di come erano prima. Riusciremo nel nostro compito se saremo bravi e fattivi anche per preparare il prossimo anno Giubilare del 2025. Noi sindaci accompagneremo il nostro Paese in questa rinascita, torneremo a vivere pienamente insieme ai nostri concittadini».

La ferita della pandemia, secondo i sindaci, provoca «la perdita del senso di comunità, di vicinanza e di condivisione. Quanto disagio personale, sociale e psicologico hanno recato i pur necessari comportamenti imposti ai cittadini ed in particolare a quelli più fragili che già prima della pandemia e, a prescindere da essa, vivevano ai margini delle nostre comunità?». Gli amministratori si sono «soprattutto occupati di tenere insieme le comunità e i concittadini. Per far questo abbiamo guardato negli occhi la paura, abbiamo affrontato la morte di chi ci stava intorno, abbiamo aiutato chi restava solo in casa e facendogli avere un sacchetto di spesa o anche solo chiamandolo al telefono per una breve chiacchierata».

Prospettive di servizio sostenute anche dal cardinale Edoardo Menichelli che, prima dell’udienza del Papa, ha suggerito alcune linee di riflessione rilanciando, anch’egli, il modello-La Pira. «Ho sempre considerato la figura del sindaco come un presidio stabile di democrazia anche quando le varie istituzioni possono patire sfilacciamenti di identità» ha detto. «Il sindaco è sempre l’anello più visibile e più forte capace di costruire una relazione utile e consapevole con la porzione di popolo che il voto democratico gli ha assegnato».

Quella del sindaco, perciò, è una «paternità dilatata», «capace sempre, nei piccoli come nei grandi comuni, di essere una sorta di riferimento “salvifico”: al padre si ricorre sempre con fiducia». E «rimanendo sempre dentro questa visione di paternità, credo che essa, oltre che essere risposta alle problematiche che sempre insorgono e sempre richiedono soluzioni mai facili, debba essere anche “educativa” al senso della storia anche locale, al progresso che sempre si desidera e al bene comune che oltrepassa desideri e libertà personali pur comprensibili».

Per il cardinale, «il sindaco è custode di una porzione di umanità, che vive la sua storia antica e presente e che attende quelle risposte che la rendono migliore e la responsabilizzano. Tutto questo si può concretizzare con «la coltivazione culturale». Ma il sindaco è anche «amministratore paziente e tenace del bene comune: eletto da una parte, servo di tutti, in particolare dei più deboli». Del resto, «il bene comune richiede partecipazione, coinvolgimento, dialogo, anche con quella parte politica e amministrativa che si descrive sbrigativamente come “opposizione”. La dialettica dell’amministrare non può perdere mai la direttrice del coinvolgimento di tutti e deve abbandonare la sottile tentazione di un autoritarismo che si ridicolizza da solo».

di Giampaolo Mattei