Colloquio con suor Gabriella Bottani

Un crimine che la pandemia ha amplificato

 Un crimine che la pandemia ha amplificato  QUO-031
08 febbraio 2022

«È necessario e urgente interrompere le dinamiche che generano questa tragica piaga. Dobbiamo realizzare un cambiamento radicale, passando da modelli economici e stili di vita basati sullo sfruttamento e sulla tratta a quelli fondati sulla cura delle persone e della nostra casa comune. E siamo proprio noi donne a essere chiamate a guidare con coraggio questa trasformazione». È un messaggio chiaro, senza fronzoli, diretto a risvegliare le coscienze addormentate del mondo contemporaneo, quello lanciato da suor Gabriella Bottai, religiosa comboniana, coordinatrice della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta. Parole, queste, pronunciate pochi giorni fa in alcune dichiarazioni in vista dell’8 febbraio, Giornata mondiale contro la tratta. A lei abbiamo chiesto di spiegarci il senso di questa Giornata e come possiamo affrontare oggi una tragedia così profonda come il traffico di esseri umani.

Quali sono le principali iniziative che state organizzando per questa Giornata?

Le iniziative organizzate dal coordinamento internazionale che fa riferimento a Talitha Kum sono tre. Ieri siamo stati in piazza San Pietro per partecipare alla preghiera dell’angelus con Papa Francesco. Abbiamo portato anche con noi una statua dedicata a tutte le donne e in particolare a tutte le suore impegnate contro la tratta. La statua vuole rappresentare le tante vittime sopravvissute della tratta nelle diverse forme di modalità di sfruttamento. L’8 febbraio dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio si passeranno il testimone diverse regioni del mondo, a partire dall’Oceania—Asia pacifico, per una maratona di preghiera e riflessione. Abbiamo voluto valorizzare soprattutto il cammino dell’impegno degli organismi che lavorano ogni giorno contro la tratta nel mondo. Ci sarà un gruppo di giovani che animerà la maratona; anche questo fa parte di un progetto di maggior coinvolgimento delle nuove generazioni contro la tratta. La terza cosa che voglio menzionare è che ci sarà anche un gruppo di esperti: ci aiuteranno a capire meglio il tema della tratta dal punto di vista dell’economia e delle donne. A questi tre eventi vanno aggiunte tantissime altre iniziative nelle diocesi e nelle comunità locali in tutto il mondo. Ci saranno incontri, marce, eventi di sensibilizzazione, congressi, tavole rotonde on-line di approfondimento.

Che cos’è la tratta oggi? Come possiamo combatterla?

La tratta è un crimine. Le persone sono rese oggetto di sfruttamento e di una grave limitazione della libertà. La tratta sfrutta la vulnerabilità delle popolazioni migranti, cioè di coloro che attraverso un movimento e uno spostamento perdono quelli che sono i legami fondamentali di protezione sociale. Parlo di spostamento non solo a livello internazionale, ma anche a livello nazionale. È un problema complesso; non possiamo pensare che problemi complessi si risolvano con azioni unilaterali. Dobbiamo avere azioni integrate. Un presupposto essenziale per combattere la tratta è avere il coraggio di vedere, riconoscere e nominare il problema. Dobbiamo rendere visibile la tratta, chi è stato vittima di questo crimine atroce. Questo significa anche agire. Dobbiamo riflettere bene sulle politiche migratorie di oggi e capire che questi migranti — come ha più volte ricordato Papa Francesco — sono nostri fratelli. Dobbiamo tentare di offrire loro spazi di dignità. Va anche detto che la tratta colpisce soprattutto coloro che già soffrono di diverse forme di discriminazione. Non è un caso che le donne e le bambine siano la percentuale maggiore delle vittime. La tratta è un po’ una cartina al tornasole di tutta una serie di relazioni inique che sono costruite e sedimentate nella nostra società.

Come possiamo colpire il crimine specifico?

Attraverso la formazione degli agenti che lavorano con i gruppi che sono più a rischio per identificare meglio i casi di tratta e quindi far partire più velocemente processi di cura e inclusione sociale. Queste iniziative devono essere sostenute dai governi. In modo particolare, Talitha Kum e altre organizzazioni sottolineano che questo processo deve essere a lungo termine; oggi le vittime possono disporre di processi di cura e assistenza che durano soltanto tre mesi. Questo è un problema che va risolto. Le vittime devono essere accompagnate in un lungo processo di rinascita.

Come avviene la riabilitazione e il reinserimento delle vittime della tratta?

Una volta che la persona viene identificata ed esce dallo sfruttamento è indirizzata ai centri di prima accoglienza. La prima cura è la cura del corpo. Avere uno spazio dove dormire, mangiare e vestiti puliti; una sicurezza fisica. C’è poi il check up salute e quindi il processo di integrazione e cura delle ferite attraverso percorsi psicosociali. Questo avviene anche attraverso processi come lo studio della lingua e attività professionali. Quello che è più difficile è l’inserimento lavorativo, senza il quale ovviamente non c’è un inserimento sociale. Se non diamo risposta a questa richiesta di lavoro e vita dignitosa, prima di tutto, il percorso delle vittime della tratta diventa davvero complesso.

Le organizzazioni giocano un ruolo di mediazione attiva in questo senso? Avete rapporti con aziende per facilitare l’inserimento lavorativo?

Sì, non strutturato, ma c’è. È molto legato ai progetti e alle capacità organizzative delle reti sul territorio. Ma soprattutto ai progetti legati alla vita religiosa. Quello che va tenuto in considerazione è che le persone vittime della tratta hanno ferite profonde che devono essere curate per lungo periodo. Il lavoro manuale può avere effetti terapeutici. Su questo, ad esempio, ci sono percorsi appositi, costruiti proprio per sostenere queste persone. Purtroppo, in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, sono andate in crisi le strutture sociali che garantivano questi percorsi. Il covid ci sta interpellando e ci esorta a trovare nuove soluzioni. Dobbiamo riflettere e ripensarci. C’è bisogno di pregare per sostenere le vittime della tratta e le persone che accompagnano i processi di integrazione e di reinserimento sociale. C’è bisogno di pregare perché impariamo ad avvicinarci con umanità e coraggio a chi è segnato da tanto dolore e disperazione, tenendo viva la speranza

Com’è cambiata la tratta con la pandemia?

Lo sfruttamento continua ad esistere. Purtroppo, aumentando le situazioni di vulnerabilità — pensiamo a quante persone hanno perso il lavoro in questi ultimi anni, e tra queste tante erano già in percorsi di riabilitazione e reinserimento — è aumentato anche il rischio della tratta. Abbiamo assistito allo spostamento, in alcune aree di sfruttamento, verso il privato; ad esempio, nello sfruttamento sessuale è avvenuto uno spostamento dalla strada verso il privato, in appartamenti o luoghi chiusi. In generale, c’è la sensazione che la tratta sia un fenomeno in crescita e che stia interessando anche realtà sociali che prima non erano toccate da questo fenomeno. Le donne e le bambine rappresentano il 72% delle vittime della tratta e la percentuale aumenta significativamente nel contesto dello sfruttamento sessuale. La pandemia ha incrementato questo business, amplificando i meccanismi socio-economici che ne sono alla base.

di Luca M. Possati