Parole che sanano

Nella valigia di Diamante

 Nella valigia  di Diamante  QUO-031
08 febbraio 2022

«Non so com’era Maria, ma certamente era una donna dalla parola buona. (…) Mi piace immaginarla mentre camminava per i vicoli, con Gesù in braccio, dicendo parole di amore e consolazione alle persone di Nazaret», scrive Maria Soave Buscemi (Le tredici lune. La memoria occultata delle donne nei Vangeli, Emi 2011), la giornalista e scrittrice che in Brasile segue il movimento dei Senza terra.

Le cose, si sa, non esistono se non abbiamo parole per definirle. Le parole trasmettono in grande parte le nostre idee, i nostri pensieri; permettono la condivisione, ci rendono responsabili. Chi siamo dipende sì, in grandissima parte, dalle nostre azioni, ma anche dalle parole che scegliamo per accompagnarle, per presentarle e per presentarci.

Eppure delle parole si abusa. Eccessive a volte, violente, aggressive, così brave a umiliare, confinare, ferire o addirittura uccidere. Accade quando sono vuote, malvagie, false; quando mancano o dividono («Dopo la guerra — scrive Alessandra Carati nel romanzo E poi saremo salvi, Mondadori 2021, riferendosi al terribile conflitto nella ex Iugoslavia — tutte le parole che sembravano serbe erano prese come una provocazione»).

Le parole, però, fanno miracoli. Curano, sanano, portano conforto, danno o ridanno la vita. «Le parole sono come i fili del tessuto — scrive ancora Buscemi —. Gli occhi corrono, unendo le parole e tessendo i fili nella rete dove il corpo, con i suoi sogni, desideri e tristezze, andrà a sdraiarsi».

Scopre da bambina il potere delle parole Oliva, la protagonista dell’ultimo romanzo di Viola Ardone (Oliva Denaro, Einaudi 2021); scopre che feriscono come armi («Non solo quelle difficili, anche quelle ordinarie, che ballano in bocca agli ignoranti»), ma ne scopre anche la capacità di ribaltare la vita. Del resto, come scriveva un grande studioso delle parole, «esse, anche quando conservano la loro forma, possono cambiare a volte profondamente il loro significato» (Tullio De Mauro, Parole di giorni un po’ meno lontani, il Mulino 2012). Sta a noi.

Cerca e trova il potere di parole che avevamo smarrito il teologo Hans Gutierrez: in questo tempo di pandemia, argomenta in La riscoperta del Noi (Claudiana 2021, presentato su queste pagine da Silvia Gusmano), parole come umiltà, lentezza, solidarietà o vulnerabilità possono riappropriarsi del loro significato originario, fungendo da mano salda cui aggrapparsi per cercare di riprenderci, insieme, da questo profondo periodo di crisi: «Noi», parola imprescindibile per tentare di superare qualsiasi tempesta («Ada mormorò sorridendo: “Noi due…”. Era la prima volta, pensò, che poteva usare con certezza la parola “noi”, ed era una parola dolcissima»; Irene Nemirovsky, I cani e i lupi, Einaudi 2008).

Ci sono parole che sanano perché sono in grado di dare un nome a quel che non riuscivamo a spiegarci, perché forniscono un senso («Il dottore parlava e io, a ogni sua parola, mi sentivo un po’ meglio. C’è un motivo se non riesco a parlare con i miei coetanei e neppure con i miei professori, ma con mamma, papà e Beata invece sì: si chiama mutismo selettivo e nel mio caso è collegato alla Sindrome di Asperger»; Alessandra Viola e Rosalba Vitellaro, Il pianeta di Greta, Einaudi 2021).

Parole che sanano per quello che dicono («Ho sentito bene? Poso la ciotola e corro fuori. […] “La pace, la pace, la pace!” vola di bocca in bocca per tutta la baracca. […] Sono in piedi dietro il filo spinato nel lager zingaro mentre in alto, sulla torre di Mauthausen, sventola una bandiera bianca! […] “Pace” […] faccio erompere quella parola che abbiamo sognato per anni e anni. La parola che abbiamo cullato […]. Quella parola sacra che contiene tante cose splendide, incredibili: libertà, affrancamento. […] Oggi quella parola la posso pronunciare pubblicamente, senza timori, oggi si è compiuta»; Helga Weiss, Il diario di Helga, Einaudi 2014). Parole che sanano perché diventano il grimaldello su cui fare leva, un bastone nella tempesta.

«Le parole, Diamante le mette nella valigia — l’unico bagaglio, l’unica ricchezza che si porta via dall’America. Forse non hanno nessun valore, ma non ha importanza. Lascia a Vita tutto quello che ha trovato, tutto quello che ha perso. Le lascia il ragazzo che è stato e l’uomo che non sarà mai. Perfino il suo nome. Ma le parole — quelle le porta via con sé» (Melania G. Mazzucco, Vita, Rizzoli 2003).

E poi — summa di tutto questo e veliero di molto altro — c’è Lei, la Parola.

di Giulia Galeotti