A colloquio con Loredana Teodorescu, responsabile degli Affari europei e internazionali dell’Istituto Luigi Sturzo

Unione europea
comunità di valori

A EU flag flyes at half-mast in front of half-moon on the facade of the Campidoglio ( Capitol Hill ) ...
04 febbraio 2022

«Con Maastricht la costruzione europea ha assunto una nuova dimensione. Dall’obiettivo essenzialmente economico della Comunità europea si è avviata un’integrazione anche politica, rafforzando la cooperazione in alcuni settori come la politica estera e di sicurezza, la giustizia e gli affari interni». È la riflessione di Loredana Teodorescu, responsabile Affari europei e internazionali, Istituto Luigi Sturzo che, attraverso il nostro approfondimento settimanale dedicato al trentennale del Trattato di Maastricht, sottolinea l’importanza e l’efficacia di un percorso di crescita che, pur nella sua complessità, è risultato vincente. «Da allora tanto è stato fatto, ma tanto resta ancora da fare. Le crisi che si sono succedute nell’ultimo decennio hanno evidenziato con forza alcune lacune: le istituzioni europee sono state spesso accusate di non essere in grado di reagire tempestivamente e di produrre risultati concreti e questo ha contribuito ad alimentare un senso di sfiducia nei cittadini, oltre che frizioni tra stati. Oggi abbiamo bisogno di coraggio per ridare slancio al progetto europeo: si tratta di recuperare quella visione e quegli ideali che ispirarono i Padri fondatori, affiancandoli ad una dose di concretezza e pragmatismo. Per farlo, abbiamo bisogno della volontà politica degli Stati membri, della presenza di una leadership e di istituzioni ambiziose a livello europeo che sappiano guidare questo processo, del coinvolgimento dei cittadini, che devono riprendere a credere nel progetto europeo come comunità di destino, e delle nuove generazioni, da cui dipendono le sorti dell’Europa».

La moneta unica europea è oggi la valuta di 19 Paesi utilizzata quotidianamente da circa 350 milioni di europei, e la seconda al mondo dopo il dollaro. Basta solo questo dato a confortare lo stato di salute dell’Unione Europea?

Questo è sicuramente un bel traguardo, ma non basta. Dobbiamo definire meglio e portare a compimento l’Unione economica e monetaria e fare alcune scelte importanti, riflettendo su temi altrettanto importanti per il nostro futuro, come la crescita e il lavoro per le generazioni presenti e future. Se parliamo di economia non possiamo non evidenziare come la pandemia abbia spinto l’Ue a fare dei passi importanti, confluiti nel piano Next Generation EU, uno strumento per la ripresa concepito per rendere le nostre economie e società più resilienti e sostenibili.

Il giorno dopo il vertice di Maastricht ciascun paese avrebbe dovuto rispondere un po’ di più a Bruxelles e un po’ di meno ai governi locali. Quanto è stata rispettata questa linea?

Con Maastricht sono state ampliate le competenze delle istituzioni europee. Quello che spesso è mancato, tuttavia, è stato il coraggio degli Stati di affrontare determinate questioni a livello europeo e di arrivare a una posizione comune. I governi troppo spesso hanno continuato a ragionare in un’ottica puramente nazionale, dimostrando di essere i primi a non aver creduto nel sogno di un’Europa davvero unita. Basti pensare alla politica migratoria, che per sua natura risponde ad una sfida transnazionale che non può che essere gestita in maniera congiunta a livello europeo; e che tuttavia ha incontrato spesso le reticenze degli Stati. O alla politica estera, in cui sono emerse spesso agende e interessi nazionali diversi, che hanno impedito all’Ue di parlare con una voce sola, minandone la credibilità. Credo però che di fronte ad un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, avere un’Europa più forte sia un interesse di tutti i cittadini e di tutti gli Stati membri. Non si tratta di rispondere di più a Bruxelles e di meno ai governi nazionali, ma di dotare l’Unione degli strumenti e delle competenze necessarie perché possa davvero rivestire il ruolo di cui abbiamo bisogno.

Maastricht è stato un traguardo storico, ma anche l’avvio di un processo difficile. È stato più un compromesso o un reale accordo?

Il processo di costruzione europea è complesso. E si basa su un compromesso: da una parte chi, sulla scia dei Padri fondatori dell’integrazione europea, voleva e vuole arrivare ad una progressiva cessione delle sovranità nazionali per costruire un soggetto politico unico, dall’altra, paesi più reticenti che hanno storicamente tentato di frenare o ridimensionare dei passi in tal senso. Per questo motivo, la cooperazione si è concentrata per anni sull’ambito economico. Quando con Maastricht si è aperta la porta ad un’Unione anche politica, la differenza di visioni è emersa in maniera ancora più forte. Di fatto, da allora è avvenuto anche il progressivo distacco del Regno Unito, che ha esercitato una serie di opt-out per restare fuori da diversi settori, dall’adozione di una moneta unica, alla politica migratoria, al sistema Schengen, non comprendendo e condividendo le finalità politiche del processo. Oggi procedere tutti insieme, in un’Europa a 27, è diventato ancora più difficile: la differenza di visioni tra chi la considera essenzialmente come mercato comune, in un’ottica economica, e chi aspira anche ad un’Europa politica si è acuita, anche a seguito del grande allargamento. La Brexit non ha fatto che evidenziare questa tensione, rappresentando la punta dell’iceberg.

Le maggiori difficoltà in questi anni hanno riguardato non tanto l’Unione economica e monetaria, quanto piuttosto l’Unione politica: soprattutto per quanto riguarda la politica sociale comune, la coesione tra i paesi più prosperi e quelli meno prosperi, gli impegni di una politica comune estera, di sicurezza e di difesa. Come individuare nuovi percorsi virtuosi?

Per rispondere alle sfide del tempo, è necessario dotare l’Ue dei poteri e strumenti indispensabili per agire nell’interesse generale dei cittadini e per svolgere il suo ruolo come attore nella sfera internazionale. Si tratta quindi di compiere dei passi anche a livello istituzionale e decisionale; e di rafforzare le politiche comuni in quei settori in cui è evidente la maggiore efficacia dell’azione europea, come la politica migratoria, di politica estera e di difesa, o climatica.

La pandemia ha portato l’Ue a fare dei passi significativi, ed è importante ora consolidarli senza tornare indietro: parlo ad esempio delle politiche sanitarie o in ambito sociale, del primo strumento di lotta contro la disoccupazione Sure, e naturalmente del piano per la ripresa. È emersa con forza un’Europa che protegge i suoi cittadini. Se pensiamo poi alla politica estera, c’è ancora un forte potenziale inespresso a causa principalmente della mancanza di volontà degli stati. La credibilità dell’Europa in politica estera dipenderà anzitutto dalla sua efficacia nelle aree vicine, come i Balcani e il Mediterraneo. Altro aspetto importante resta quello della difesa: non si tratta di costruire un vero e proprio “esercito europeo”; ma di costruire capacità europee in modo molto più razionale, da dispiegare in missioni europee o Nato, superando duplicazioni e resistenze nazionali.

Anche in materia di immigrazione i paesi frontalieri sono stati spesso lasciati soli a fronteggiare le emergenze dei nuovi afflussi di massa di profughi…

Purtroppo forti resistenze nazionali hanno impedito finora lo sviluppo di una vera politica comune in ambito migratorio, nonostante sia previsto nei Trattati. E questo ha forti ripercussioni sui Paesi frontalieri, come l’Italia e la Grecia, ma anche sull’intera Europa. Ora il nuovo Patto europeo per la migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione nel 2020 insiste sui criteri della solidarietà e su una equa ripartizione delle responsabilità, aprendo la strada alla riforma del sistema di Dublino, seppure non rimuovendolo del tutto. Ed è da qui che dobbiamo ripartire, concependo innanzitutto la migrazione come una vera e propria questione europea, che richiede risposte europee. E guardando al fenomeno migratorio nella sua complessità, lavorando su più fronti, dalla lotta all’immigrazione irregolare e ai rimpatri efficaci, alla creazione di canali di migrazione legale e a maggiori sforzi in ambito di integrazione. Questo richiede anche una capacità di “narrativa” diversa da quella prevalente. Ma significa innanzitutto anche recuperare l’unità e la solidarietà europea e l’idea di Europa come comunità di valori, non soltanto di interessi.

Il ruolo svolto dell’Europa nella gestione della pandemia è stato molto importante. Bisognava forse compiere qualche sforzo in più per aiutare i paesi più poveri a vaccinare la popolazione nel mondo…

La pandemia ha costituito un ennesimo duro banco di prova per gli Stati e per l’Ue nel suo insieme; ma ci ha anche ricordato quanto sia essenziale la cooperazione per affrontare le sfide globali, spingendo l’Ue a fare dei passi importanti. Non ci si salva da soli. E anche l’Europa ha dato prova di esserne consapevole. Team Europa, ad esempio, è uno dei principali donatori dello strumento Covax, la collaborazione globale intesa ad accelerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo ai test, ai trattamenti e ai vaccini contro il covid-19; e gli Stati membri si sono impegnati a donare 700 milioni di dosi entro la metà del 2022 per favorire la realizzazione dell’obiettivo di far vaccinare il 70% della popolazione mondiale. Si può sempre fare di più e meglio, ma credo che durante questa crisi la solidarietà europea abbia dato il meglio di sé, ed è importante ricordarlo».

di Davide Dionisi