La necessità di un cambio di prospettiva

Destinare alla lotta alla fame le risorse investite sulle armi

 Destinare alla lotta alla fame  le risorse investite sulle armi  QUO-025
01 febbraio 2022

«Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai» disse l’allora presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, nel video-messaggio di auguri di fine anno del 1978 e queste parole riecheggiano ancor oggi di vibrante attualità. Purtroppo anche nel 2020, anno siglato dalla pandemia che ha cambiato le nostre vite, la spesa militare globale è aumentata del 2,6 per cento rispetto al 2019, raggiungendo i 1.981 miliardi di dollari. A stabilirlo è lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), rivelando che la più grave crisi sanitaria degli ultimi tempi non ha posto un freno agli investimenti in armamenti. Sì, perché con la pandemia è venuto a galla non solo l’improcrastinabilità di assicurare un’assistenza sanitaria a tutti, ma l’impellenza di ripensare i sistemi di welfare statale, affinché garantiscano un generalizzato accesso a cure, farmaci e vaccini, ma anche al cibo e ai beni di prima necessità, in particolare per le persone più fragili.

Uno sguardo anche rapido sulla situazione mondiale domanda un maggiore impegno nel settore agricolo non solo per riavviare i sistemi di produzione, ma anche per porre l’accento sul diritto di ogni essere umano a essere nutrito conformemente ai propri bisogni. Si evidenzia la necessità di collocare al centro di ogni azione la persona, sia essa soggetto del lavoro agricolo, operatore economico o consumatore. Questo approccio permette di considerare la stretta relazione tra agricoltura, crescita economica, livelli di sviluppo e bisogni attuali e futuri della popolazione mondiale.

La mancanza di un’alimentazione adeguata è un fatto troppo presente nel mondo, che in alcuni contesti si tramuta atrocemente in assenza di un’alimentazione minima per la sussistenza. Questo è quanto hanno dimostrato le ultime ricerche della Food and Agriculture Organization (Fao) e del World Food Programme (Wfp), che sono state pubblicate nel Rapporto globale sulle crisi alimentari 2021.

Il 2020 ha segnato un tragico aumento, rispetto al 2019, di oltre 20 milioni di persone in 55 Paesi che si sono trovate in uno stato di insicurezza alimentare acuta. Questo significa che la carenza di cibo ha messo in pericolo la vita stessa delle persone. La pandemia ci impone di pensare al futuro dell’agricoltura superando un modello di produzione a vantaggio esclusivo di gruppi ristretti e di un’esigua porzione della popolazione mondiale. Abbiamo visto che un approccio orientato meramente dal “mercato” ha prodotto un aumento del divario non solo tra Paesi meno sviluppati e quelli in via di sviluppo, ma anche all’interno di quelli sviluppati tra le diverse fasce della popolazione. Ogni sforzo va orientato a fare in modo che ciascuna Nazione accresca le proprie risorse per arrivare all’autosufficienza alimentare.

In un simile contesto stiamo tuttavia verificando come i Paesi in una situazione di crisi aumentino da alcuni anni e assistiamo a un deterioramento dei conflitti: Yemen, Siria, area settentrionale della Nigeria, Iraq, Libano, Medio Oriente, Afghanistan, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo sono solo alcune delle terre più martoriate, dei teatri di conflitti sanguinosi su cui il successore di Pietro, nel messaggio Urbi et Orbi del Natale 2021, ha impartito la sua benedizione, affinché giunga al più presto la pace e cessino le armi. Stiamo vivendo quello che 7 anni fa Papa Francesco ebbe a definire come una «guerra mondiale a pezzi».

Il Global Humanitarian Overview 2022, pubblicato il 2 dicembre scorso dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Unocha), avverte che il numero di persone che nel 2022 avranno bisogno di aiuti umanitari potrebbe aumentare del 17 per cento: si tratta di 274 milioni di persone, in un mondo che sta combattendo la peggiore crisi della fame di questo secolo. Di fronte al grave paradosso che stiamo vivendo urgono iniziative efficaci e che diano risultati su larga scala e nel lungo periodo.

Il Papa ha più volte invocato, si pensi al discorso nell’incontro interreligioso del 4 febbraio 2019 e al discorso nell’incontro di preghiera del 7 ottobre 2021, il contributo di tutti e ciascuno per «smilitarizzare il cuore dell’uomo», per «estirpare dai cuori l’odio e condannare ogni forma di violenza». Un invito, questo, a denunciare ogni forma di conflitto, «alimentato da fiumi di denaro sotterranei», affinché non rimanga nell’ombra e perché le ingiustizie vengano smascherate e condannate. Il Santo Padre ha inoltre caldeggiato a tramutare lo sprone in azioni concrete e generative di buone opere, per combattere la fame nel mondo e per garantire lo sviluppo e una pace duratura. Per questo il Papa ha a più riprese chiesto che venisse costituito un «Fondo mondiale» (Fratelli tutti, n. 262 e messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione 2020) in cui confluissero i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari, in modo da eliminare la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri, aggiungendo, nel messaggio per la 55ª Giornata mondiale della pace 2022, che «il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio». L’invito è quello di disinvestire dall’industria militare e convertire le risorse a essa destinate in sanità e servizi per la collettività. Si tratta di una richiesta più che conferente, da tempo avanzata anche dalle organizzazioni della società civile: Rete italiana per il disarmo, Sbilanciamoci e Rete della pace annualmente propone una campagna, Global Campaign on Military Spending (Gcoms), che a livello internazionale è sostenuta dall’International Peace Bureau (Ipb), che mira a ridurre i fondi per nuove armi allocati presso i ministeri della Difesa e dello Sviluppo economico nazionali e a stornare il denaro risparmiato nelle iniziative volte a realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Un richiamo, questo, che è stato sostenuto dall’appello dei 50 premi nobel e accademici, noto come “Una semplice e concreta proposta per l’umanità”. L’idea degli studiosi è quella di convincere i governi a negoziare un accordo globale per la riduzione delle spese militari del 2 per cento all’anno per un periodo di 5 anni, in modo da liberare un “dividendo di pace” con cui far fronte alle sfide comuni. Un’iniziativa che mette al centro un concetto fondamentale: le minacce globali richiedono risposte incentrate sulla cooperazione internazionale e su un approccio multilaterale. Ogni attore deve però sentirsi parte del processo ed essere disposto a fare il primo passo. Per intraprenderla, bisogna corroborare la certezza che l’obiettivo di una pace duratura si conseguirà solo se tutte le Nazioni manifesteranno la medesima volontà politica di combattere la fame e le carestie che affliggono l’umanità, non le guerre.

di Fernando Chica Arellano