2 febbraio XXVI Giornata mondiale della vita consacrata

Icona della sinodalità

 Icona della sinodalità  QUO-025
01 febbraio 2022

Nel corso della storia della Chiesa, la vita consacrata, in particolare gli istituti religiosi, è stata espressione della vita sinodale. Già secondo la Regola di San Benedetto i monaci dovevano riunirsi quotidianamente per trattare sulla vita del monastero. Gli ordini mendicanti si presentano come una fraternità in cui tutti vengono considerati fratelli e le decisioni sono prese nel Capitolo, generalmente per consenso. Negli altri Istituti posteriori il Capitolo rimane l’autorità ultima.

La sinodalità esige che si cammini nel respiro della Trinità. Ora, la vita fraterna in comunità, in virtù della quale le persone consacrate tentano di vivere in Cristo con «un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32), è proposta come un’eloquente "confessione trinitaria" (Vita Consecrata, 21). Nella stessa linea, la vita consacrata è presentata come signum fraternitatis in quanto spazio umano abitato dalla Trinità. In questo modo, la vita consacrata, in particolare la vita religiosa, si mostra come icona della sinodalità.

Possiamo dire lo stesso della vita consacrata come della Chiesa: entrambe sono di natura sinodale. I consacrati realizzano il loro autentico modo di essere e di vivere nell’arte della relazione, coltivando l’incontro. È nelle relazioni fraterne, vivendo la «mistica del vivere insieme», ascoltando gli altri e cercando insieme il cammino da seguire, il tutto animato dallo Spirito, che il consacrato convalida e plasma la sua identità e una vita con stile sinodale.

Nella vita consacrata, particolarmente nella vita religiosa, ci sono molti ambiti in cui è chiamata a vivere e manifestare la sinodalità.

La vita fraterna in comunità

La vita fraterna in comunità è il modo privilegiato di vivere e manifestare lo stile sinodale nella vita consacrata. Per realizzare questo stile sinodale, è necessario passare dalla semplice vita comunitaria alla vita fraterna in comunità, in modo da sostituire un sistema rappresentato dalla piramide, al cui vertice c’è chi detiene il potere, con un altro sistema basato sul cerchio, al cui centro non c’è il superiore ma Cristo. Non basta vivere in comunità. Si potrebbe vivere come zitelloni (Papa Francesco), senza conoscere il fratello che sta accanto. È necessario sentirsi e vivere come fratelli e sorelle, vivere un’autentica vita fraterna in comunità.

Questo comporta un cambiamento di mentalità affinché tutti siano consapevoli che «siamo tutti sulla stessa barca» (Papa Francesco); che siamo tutti chiamati a costruire la fraternità e non semplicemente a consumarla. Una vita fraterna in stile sinodale implica anche che l’autorità si metta al servizio della costruzione di una vera fraternità attraverso: «il servizio dell’ascolto e del dialogo; la creazione di un clima favorevole alla condivisione e alla corresponsabilità; la partecipazione di tutti alle cose di tutti; un servizio equilibrato alle persone e alla comunità; il discernimento e la promozione, infine, dell’obbedienza fraterna» (Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica ( civcsva ), Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, 20). Solo così sarà possibile il discernimento, frutto del contributo di tutti sulla via della verità.

Tutto ciò richiede, in molti casi, un’evangelizzazione del servizio dell’autorità in modo che essa sia segnato dalla docilità allo Spirito che conduce all’unità, e che viva e promuova tra i fratelli e le sorelle una spiritualità di comunione e di santità fraterna.

Purtroppo continuiamo a constatare situazioni in cui si tende ad un accentramento dall’alto verso il basso nell’esercizio dell’autorità, tralasciando la necessaria sussidiarietà e favorendo così ogni tipo di abuso di potere, sia spirituale che di coscienza. Dobbiamo passare da una concezione dell’autorità in cui tutto ruota intorno a chi detiene il potere a un servizio dell’autorità in cui l’autorità sia al servizio della crescita degli altri. Dobbiamo passare da una concezione dell’autorità in cui i consigli e i capitoli (generale, provinciale e locale) sono praticamente svuotati del loro contenuto, a un’autorità partecipativa, che riconosca a ciascuno il suo posto nella costruzione della vita fraterna. Un’autorità al servizio di uno stile sinodale è quella che pone la comunità in un atteggiamento di discernimento e favorisce un’obbedienza alla volontà di Dio percepita da tutti. Né sottomissione né autoritarismo. Per quanto possibile, obbedienza partecipata, autorità sussidiaria. Il superiore, in situazioni molto concrete, avrà l’ultima parola, ma mai l’unica.

La sfida è passare da comunità zombie, in cui ognuno cammina al proprio ritmo, a comunità abbraccio, in cui fratelli e sorelle camminano insieme, accogliendosi come sono e esercitando l’ascolto del cuore, una comunità nella quale tutti imparano a essere fratelli; passare da comunità di pura osservanza, di semplice autorealizzazione, da comunità impresa, a comunità di comunione, con un progetto fraterno elaborato da tutti i membri della fraternità in modo che sia un progetto condiviso.

A partire da una visione sinodale della vita fraterna in comunità, si deve ribadire con forza la necessità di una conversione dall’“io” (individualismo) al “noi”, in cui ogni membro si senta responsabile della crescita dell’altro. Una vita fraterna in comunità che vuole presentarsi in stile sinodale deve essere aperta alla partecipazione di tutti, all’ascolto di tutti, a contare su tutti quando si tratta di discernimento.

L’intercongregazionalità

Un altro degli ambiti in cui la vita consacrata è chiamata a manifestare uno stile sinodale è l’intercongregazionalità. La vita fraterna in comunità ad intra è chiamata ad essere vissuta anche ad extra. La vita consacrata è chiamata ad andare in pellegrinaggio con altre persone consacrate, in modo intercongregazionale, in un atteggiamento di dialogo carismatico che rende possibile che le ricchezze di un carisma arricchiscano gli altri. Ogni carisma è un dono per la Chiesa e nella Chiesa un dono per gli altri.

È il momento di unire le forze per portare avanti progetti comuni, per cercare risposte alle sfide del momento storico che stiamo vivendo. L’orizzonte del futuro è camminare insieme, accogliendo le nostre differenze e valorizzando il meglio che ognuno di noi ha per costruire, a partire dalla fraternità intercongregazionale, un progetto di missione comune.

La missione condivisa

Chiamati ad evangelizzare, siamo chiamati ad evangelizzare in missione condivisa, con le altre persone consacrate, come abbiamo appena detto, ma anche con il clero diocesano e con i laici.

In questo senso, l’inserimento delle comunità religiose nelle diocesi è fondamentale nel campo della missione. Le diocesi hanno bisogno dei carismi e i consacrati hanno bisogno di un vero inserimento nelle diocesi. Abbiamo bisogno di ringiovanire le mutue relazioni, così spesso arrugginite dalla routine e dai conflitti che non hanno nulla a che vedere con il bene delle comunità alle quali siamo stati mandati, gli uni e gli altri, a portare la buona notizia.

In una Chiesa sinodale, i vescovi devono riconoscere e rispettare i carismi, così come le persone consacrate devono riconoscere e rispettare il carisma dei vescovi e lavorare in comunione affettiva ed effettiva con i Pastori, in particolare con il Papa, centro di unità della Chiesa. Questo è un modo concreto di applicare il sentire con la Chiesa.

Per favorire questa sinergia tra i consacrati e la comunità presbiterale diocesana, è sempre più urgente che nei centri di formazione sacerdotale si studi la teologia della vita consacrata e che i consacrati studino e conoscano la spiritualità sacerdotale. Solo conoscendoci ci ameremo di più e meglio e lasceremo da parte sospetti e pregiudizi che ci impediscono di camminare insieme.

D’altra parte, i consacrati devono capire che hanno bisogno dei laici. Dobbiamo trarre tutte le conseguenze della dottrina conciliare sull’ecclesiologia del popolo di Dio: popolo messianico, sacerdotale e chiamato da Dio. Nessuno è più cristiano di un altro, anche se le funzioni sono diverse. I laici non sono solo mano d’opera, aiutanti o materiale di supporto. Sono agenti necessari di evangelizzazione nella Chiesa, e non solo soggetti da evangelizzare. Se la Chiesa deve essere «una comunità dalle porte aperte» (Papa Francesco), anche le comunità di vita consacrata devono aprire le loro porte alla missione condivisa con i laici.

Ciò richiede un’adeguata formazione delle persone consacrate nel campo della teologia del laicato e, da parte dei laici, una formazione che tenga conto della spiritualità e del carisma dell’Istituto. È necessario anche molto dialogo. Solo in questo modo sarà possibile sfruttare al massimo la diversità dei doni di cui la Chiesa si è arricchita.

Mano nella mano con i laici, sarà più facile per i consacrati attraversare le frontiere per contemplare con gli occhi di Dio la realtà di ogni popolo e le situazioni in cui è necessaria la luce del Vangelo; sarà più facile aprire gli occhi per individuare i luoghi dove la vita continua ad essere minacciata di morte ed essere portatori di una parola e di una testimonianza che permetta di optare per la giustizia, di motivare al perdono e di esprimere con gesti di tenerezza l’amore del Padre per l’umanità ferita; sarà più facile prendere un impegno profetico, aprire il nostro cuore ai poveri e lasciarci sfidare, “disturbare” e convertire dalla loro parola.

Tutti — presbiterio diocesano, consacrati e laici — siamo terreno sacro, possibilità e tesoro. Tutti, secondo la vocazione a cui siamo stati chiamati, siamo necessari nel compito di evangelizzazione in stile sinodale.

Strutture sinodali

Nella vita consacrata ci sono molte strutture che sono sinodali in se stesse, strutture di partecipazione, di ascolto e discernimento comunitario.

Tra le altre, vale la pena menzionare: i Capitoli generali, provinciali o locali; i Consigli generali, provinciali e anche locali; le Commissioni nelle varie aree di animazione della vita consacrata.

In tutti questi casi è importante coinvolgere il maggior numero possibile di fratelli e sorelle nel discernimento e nel processo decisionale, tenendo sempre presente le giuste competenze del servizio di autorità, a cui in molti casi compete la decisione finale. Nessuno può essere escluso, perché il Signore può rivelare ai "piccoli" ciò che nasconde ai "grandi", secondo il mondo.

Affinché tutte queste istituzioni abbiano uno stile sinodale, è essenziale assicurare un clima di dialogo, di preghiera e bandire la "politica" di partito nella presa di decisioni.

Per concludere

La Chiesa, così come la vita consacrata, sono sinodali in se stesse, in quanto per loro la sinodalità fa parte della loro identità più profonda. Per loro, la sinodalità è una sfida, una vocazione e una chiamata costante.

La sinodalità è possibile solo sulla base della fiducia tra tutti i membri della Chiesa — pastori, consacrati e laici — in un clima in cui il dibattito possa svolgersi in pace, libertà e onestà, e nella misura in cui il dialogo possa avvenire su tutte le questioni scottanti proprie della missione ecclesiale o della vita consacrata in un atteggiamento di apertura allo Spirito Santo, per creare un consenso in linea con la tradizione di fede. Quest’ultimo aspetto è fondamentale perché la sinodalità è un esercizio di obbedienza e docilità allo Spirito Santo che aiuta tutti i battezzati a discernere veramente ciò che viene da Dio e ciò che gli è contrario.

Camminare verso uno stile sinodale è un invito che ci viene dalla Chiesa, particolarmente in questo momento in cui siamo entrati pienamente nel Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità. La Chiesa ci invita tutti a partecipare in un clima di preghiera e di conversione, con entusiasmo, creatività e parresia. Questo è ciò che ci si aspetta da tutti e in particolare dai consacrati. Mani al lavoro! (cfr. Aggeo 2, 4).

di José Rodríguez Carballo
Arcivescovo Segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica

 

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