La buona Notizia Il Vangelo della iv domenica del Tempo ordinario ( Luca 4, 21-30)

L’unica parola che resta

 L’unica parola che resta  QUO-019
25 gennaio 2022

Impleta est. La scrittura è compiuta. Oggi. In auribus vestris. Nei vostri orecchi. Come la figura nell’interpretazione allegorica. Quando è impleta raccoglie, riunisce, ricompone e rinnova tutti i livelli di significato a partire da quello storico-letterale e li porta a compimento. E Cristo è figura impleta di tutta la Scrittura. In lui il cammino scritto da Dio nei secoli si realizza, legato con amore in un volume, direbbe Dante.

Un volume nuovo, in cui abita tutta la pienezza della divinità, che chiude quello antico e lo riconsegna al tempo, affidandolo alle mani dell’inserviente, per rimanere unica parola nell’eternità. È Gesù il nutrimento della vedova di Sarepta di Sidone. Lui la purificazione di Naaman il Siro. Lui l’ardore infuocato di Elia, la tenacia di Eliseo, la forza creatrice della Genesi. Lui il compimento di tutte le parole dei profeti. Come aveva promesso ai nostri padri. La parola è mantenuta.

Maria lo aveva detto. Anche lei era di Nazareth, ma aveva lasciato che la lampada dei profeti ardesse in lei in tutto il suo splendore. Aveva creduto. E la parola si era compiuta nel suo grembo. Come negli orecchi degli israeliti. Eppure nella sinagoga non si eleva nessun Magnificat, non si vede nessuno correre a proclamare: Vi annunziamo ciò che noi abbiamo udito. La vita eterna si è resa visibile a noi.

Il seminatore uscì a seminare. Maria era piena di grazia, gli israeliti pieni di sdegno (thumòs). Ne andava del prestigio della città. Se era un impostore bisognava smascherarlo, se era un uomo mandato da Dio doveva guadagnarsi l’approvazione dei suoi concittadini. Doveva dare ampio riconoscimento alla comunità da cui aveva ricevuto insegnamenti ed educazione religiosa. Ossequiarli, per ottenere dai suoi maestri la licenza di profeta. Thumòs. Fumo. Pensieri torbidi. Oscurità. Nei quali la parola chiara e luminosa torna a velarsi e a parlare per traslati e sottintesi. Si oscura perché non trova luce nella quale risplendere.

Parole di grazia uscivano dalla sua bocca. Ma non trovano orecchi pieni di grazia. Né cuori. E così nessuna anima esulta, ma tutte si agitano tumultuosamente. Nessuna nuova vita è generata. Nascono solo progetti di morte. Dove c’è fumo c’è sempre una vittima. Il fumo delle passioni si confonde con quello dell’olocausto.

Il legame è svelato. Thumòs affonda le radici in thùo, il verbo dell’immolazione e dell’offerta del sacrificio. La Parola passa in mezzo al furore e si compie nel suo significato più profondo. Amore che si offre. Le torbide fumosità del male immolano, il fuoco d’amore della vittima le brucia. E vince. Impleta est. C’è un potere più grande. Se il male «potesse penetrare nelle tenebre profonde e nell’assoluta immobilità che erano prima del tempo vedrebbe che c’è un magia più grande. E saprebbe che quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la morte stessa torna indietro». È Aslan a parlare. Il leone creato dalla luminosa penna di C. S. Lewis. Nell’alba della sua risurrezione ci svela la misteriosa forza che regge il mondo. E ne rivela la maestosa regalità.

La stessa con cui Gesù passa tra coloro che credono di poterlo trascinare nel loro baratro di morte. Non hanno nessun potere le passioni. Fumo. Solo la parola regge il mondo. Amore. Ma deve passare in mezzo a loro. Come il cavaliere bianco dell’Apocalisse che esce vittorioso per cavalcare insieme al male fino al culmine della sua corsa. La morte. E in quel limite estremo vincere ancora.

Tornerà a passare in mezzo a loro, in mezzo a quello sdegno, in mezzo a quel clamore. Tornerà a dare loro potere su di lui. Perché lo vuole il Padre. Perché lo ha scelto. Perché ha desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con noi. Tornerà a passare in mezzo a loro, portando la croce che fa di lui l’unica parola che resta nell’eternità: Amore.

di Enza Ricciardi