La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani vista da Gerusalemme

L’arte dell’attendersi

 L’arte dell’attendersi  QUO-017
22 gennaio 2022

Le liturgie e le preghiere pubbliche a Gerusalemme hanno sempre qualcosa di diverso rispetto al resto del mondo. Particolari situazioni locali, eredità storiche, relazioni complesse hanno portato questa Chiesa a vivere con tempi, forme e modalità uniche. Le diverse comunità religiose ed ecclesiali che qui convivono, ciascuna con le proprie tradizioni e con i loro rispettivi calendari, ci costringono ad essere sempre in attesa. Dalle attese più piccole a quelle più impegnative. Attendiamo la fine della preghiera degli “altri”, per cominciare la nostra. Attendiamo di metterci d’accordo su ogni dettaglio delle nostre celebrazioni nei Luoghi Santi; attendiamo di stabilire, di anno in anno, secondo quale calendario religioso fissare le date degli appuntamenti scolastici per i nostri ragazzi. L’attesa è una caratteristica della vita della Città Santa. È tutto un’attesa che sembra non finire mai: attendiamo l’arrivo dei pellegrini, i permessi di ingresso per i nostri fedeli di Betlemme, attendiamo soprattutto una soluzione ai suoi problemi politici, che sono poi anche religiosi e sociali. Sappiamo che non arriverà secondo i nostri tempi, ma continuiamo ad attenderla. Chi vive nella Città Santa, insomma, deve imparare a fare quotidianamente i conti con l’altro da sé. Non si può decidere nulla da soli, senza prendere in considerazione l’esistenza, le esigenze e i diritti altrui. Si deve imparare a respirare e camminare con i ritmi che sono propri di questa città, e che sono il risultato della convivenza delle diverse comunità che la compongono. Del resto, questa è una città unica per complessità e simbolicità e non poteva essere diversamente.

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani non fa eccezione. Anche a Gerusalemme, ovviamente, si prega per l’unità tra i cristiani, ma con tempi diversi: anche in questo caso, infatti, dobbiamo attendere che finiscano le celebrazioni natalizie della comunità armena, con il suo calendario, che si concludono dopo il 18 gennaio. La nostra settimana di preghiera, quindi, inizia il 22 gennaio per concludersi il 30.

Ogni comunità ha la sua diversa comprensione di tempi, e guai a forzarli. Si ferisce.

La Settimana di preghiera per l’unita dei cristiani è caratterizzata da un quotidiano pellegrinaggio alle diverse comunità, ciascuna delle quali organizza la preghiera molto liberamente. Si comincia con gli anglicani e si finisce con la greco cattolica. Va detto con onestà che non tutte le Chiese partecipano allo stesso modo. La Chiesa greco ortodossa non ha ancora deciso di partecipare. Permette però che si assista all’ufficio di compieta al Calvario. Dobbiamo attendere, insomma, che anche i loro tempi siano pronti.

Le dinamiche delle istituzioni ecclesiali gerosolimitane sono uniche. Ma anche la vita pastorale ha delle caratteristiche peculiari. Oltre il 90% delle famiglie cristiane è misto, composto cioè da membri appartenenti alle diverse Chiese. E ciò fa sì che dialogo ecumenico, in Terra Santa, sia innanzitutto una necessità pastorale. In nessuna parrocchia, gruppo, movimento e associazione si trovano membri di un’unica Chiesa solamente. Per la gente la prima appartenenza, ciò che costituisce la propria identità, è essere cristiano. La denominazione cristiana viene dopo. Ed è proprio il desiderio sempre più forte delle famiglie cristiane ad una maggiore collaborazione tra le Chiese a spingere anche le autorità ecclesiastiche più recalcitranti ad un dialogo concreto e costruttivo.

Uno dei temi più sofferti riguarda i due calendari principali, il gregoriano (Chiesa cattolica e protestanti) e il giuliano (Chiese ortodosse), che costringono ad avere doppie celebrazioni: doppio Natale, doppia Pasqua, e così via. Per le famiglie che, come dicevo, sono quasi tutte miste, è un dramma dover scegliere ogni volta con chi fare festa. Le celebrazioni principali non sono solo liturgiche, ma anche sociali, con marce e celebrazioni pubbliche tradizionali, che sono però a loro volta legate alla data delle cerimonie religiose. L’aspetto sociale della festa è comune a tutti e si fa una sola volta, ovviamente, per cui si deve decidere ogni volta quando farlo, mettendo d’accordo cattolici, ortodossi e protestanti. Già all’inizio dell’anno pastorale, a settembre, la prima domanda che mi rivolgono i parroci è: «In che data celebreremo la Pasqua?» È la loro prima preoccupazione. Per ovviare a questo problema, diversi anni fa fu deciso che i cattolici celebrino la Pasqua secondo il calendario giuliano ortodosso, mentre per Natale si resta con il nostro. Ma anche questa soluzione non accontenta tutti. La Terra Santa è terra di pellegrinaggio e i pellegrini che giungono da tutto il mondo seguono il calendario gregoriano, per cui nei Luoghi Santi e soprattutto a Gerusalemme, seguiamo il calendario universale, per permettere ai pellegrini di partecipare. E così può succedere che quando il Patriarca celebra la Pasqua a Gerusalemme, la sua diocesi sia ancora in quaresima. Ogni anno c’è qualcuno che spinge per un calendario o l’altro, con discussioni anche piuttosto accese. Ogni anno qualche sindaco viene a chiedere che si favorisca questo o quello... insomma, qualunque cosa si decida, qualcuno resterà escluso. Anche in questo caso dobbiamo imparare ad attenderci.

È un’attesa che deve essere sostenuta dall’ascolto, dalla preghiera, nella quale consegnare anche ciò che non riusciamo a comprendere e che ci ferisce il cuore.

Ci sono però ambiti dove la collaborazione ha dato risultati positivi, come le scuole. Siamo riusciti ad avere testi di formazione cristiana unici in tutte le nostre scuole, per tutti gli studenti cristiani. Ortodossi, cattolici e protestanti studiano sugli stessi testi e imparano le rispettive tradizioni. E non ci sono problemi a studiare il primato di Pietro, la storia della devozione mariana, o qualsiasi altro argomento tipico di qualcuna delle diverse Chiese. Dal momento poi che le celebrazioni a Gerusalemme non sono raggiungibili per buona parte dei nostri fedeli, per motivi logistici e politici (non sempre si hanno i permessi di ingresso a Gerusalemme), abbiamo cominciato a celebrare questa settimana di preghiera anche nelle parrocchie e nelle scuole, invitando i nostri studenti non solo a studiare la storia delle Chiese, ma anche a pregare perché «siano una sola cosa» (Giovanni, 17, 21). Sono solo alcuni esempi della complessità che la storia ci ha consegnato, ma anche dello sforzo reale e concreto per essere sempre di più un’unica comunità cristiana, seppur con tradizioni diverse.

La convivenza delle diverse Chiese, insomma, rende la nostra vita ecclesiale un po’ più complicata che altrove. Ma sarebbe un peccato fermarsi solo a questa considerazione. Le diverse tradizioni ecclesiali, le bellissime liturgie, le diverse lingue, i canti, e anche i profumi e i colori tipici delle diverse tradizioni religiose cristiane, rendono questa Città un mosaico meraviglioso e unico. Certo il dolore della divisione tra le Chiese nel mondo, a Gerusalemme non manca di farsi sentire, concreto e tangibile, ferita sempre aperta. Ma è anche il luogo dove la bellezza della vita cristiana, con tutte e sue ricchissime e antichissime tradizioni, non cessa di risplendere e illuminare la vita dei suoi abitanti e dei suoi pellegrini.

di Pierbattista Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini