L’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa

Rigettare la logica dell’audience

  Rigettare  la logica dell’audience   QUO-016
21 gennaio 2022

L’appello di Papa Francesco ai media lanciato il 16 ottobre 2021, in occasione del iv incontro mondiale dei movimenti popolari, coglie l’importanza vitale assunta dai mezzi dell’informazione nell’ecologia sociale. Non da oggi stampa, radio, TV e web sono gli elementi fondamentali di una logica della comunicazione complessa e interdipendente. Tuttavia, il loro ruolo è divenuto centrale man mano che l’informazione è divenuta sovrabbondante rispetto alla conoscenza, e con la trasformazione delle persone da utenti a produttori di contenuti. Tale comunicazione orizzontale — pur con le disuguaglianze create dal divario digitale — connette ormai potenzialmente tutti, ma allo stesso tempo ha anche amplificato i problemi, le distorsioni e le questioni etiche ad essi collegate.

Per questo motivo, progressivamente, l’insegnamento pontificio nel xx e xxi secolo si è occupato non solo dei benefici, ma anche dei danni connessi alla disinformazione, alle fake news e al discorso d’odio, soprattutto online. Dalle Encicliche di Pio xii ai Decreti del Concilio Vaticano ii , fino agli interventi più attuali del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e ai documenti delle Conferenze Episcopali, il tema dei mass media è stato attentamente considerato. Già nel 1971, con Paolo vi , l’Istruzione Pastorale Communio et progressio sugli strumenti della Comunicazione Sociale, pubblicata per disposizione del Concilio Ecumenico Vaticano ii , metteva in evidenza la dimensione comunitaria e globale della comunicazione, che distrugge le barriere e avvicina le persone: un’anticipazione di ciò che la grande rete di Internet avrebbe creato.

Solo recentemente, però, si è posto in modo specifico il tema del discorso d’odio nelle comunicazioni, ed in particolare sul web. Ancora nel 2002 il documento “Etica in Internet” del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali analizzava le problematiche di utilizzo della rete evidenziando i temi del “digital divide”, l’esigenza di non censurare la libertà d’espressione, o ancora il corretto uso del mezzo da parte dei più giovani, senza tuttavia trattare l’argomento del linguaggio d’odio. Iniziava, infatti, proprio alla fine degli anni Novanta, l’evoluzione che ha messo in discussione la mitologia della rete. Pur restando Internet uno strumento straordinario di comunicazione, che ha rivoluzionato il mondo, si iniziava a cogliere anche il suo “lato oscuro”, cioè la preoccupante proliferazione del discorso ostile e violento. Proprio le caratteristiche della rete — istantaneità, distanza, presunzione di anonimato — potevano contribuire a tali derive.

Quindi, mentre progressivamente il web diveniva anche luogo di conflitti e aggressività, la dottrina sociale della Chiesa prestava maggiore attenzione alla problematica. I messaggi per la Giornata annuale delle comunicazioni sociali testimoniano tale crescente consapevolezza. Nel 2003 Giovanni Paolo ii poneva in relazione la costruzione della pace con i media che possono propagare o invece mitigare il dominio dell’odio e della sete di vendetta. (Messaggio per la xxxvii Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “I mezzi della comunicazione sociale a servizio di un’autentica pace alla luce della Pacem in Terris”). Nel 2009, nel messaggio di Benedetto xvi “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia” compare la richiesta di evitare «la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi» (Messaggio per la xliii Giornata mondiale delle comunicazioni sociali). I messaggi iniziano ad essere rivolti a tutti coloro che possono condividere la comunicazione, e non solo a chi la gestisce: segno della nuova orizzontalità che investe i media, non più in mano solo ai professionisti della comunicazione o all’autorità politica, ma a tutti.

Nel 2016 il fenomeno dell’hate speech è già dilagante. Papa Francesco scrive: «Le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione» (Messaggio per la 50ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”).

Senza ingenuità, oggi Papa Francesco rivolge una appello alle grandi piattaforme ( i “giganti della tecnologia”) perché non sfruttino le divisioni e le polarizzazioni tra persone e gruppi. È infatti innegabile e sempre più evidente che l’hate speech, cioè il linguaggio basato su insulti o diffamazione, può creare profitti dal punto di vista economico. Quotidianamente, nella rete ci si contende l’attenzione degli utenti, attratti soprattutto dai contenuti ad alta intensità emotiva. Calunnie, disprezzo, falsità e mentalità cospiratoria attirano in particolare le persone vulnerabili, aumentano la polarizzazione e le contrapposizioni alimentando gli scambi dal punto di vista economico. Le piattaforme dei social media si trovano quindi a gestire quello che possiamo chiamare il “mercato delle emozioni” dove avviene un continuo “contagio”. Il sistema stesso, costruito sulla condivisione all’interno delle proprie tribù, può favorire le emozioni ostili.

Proprio nel Messaggio di Papa Francesco per la 53ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali nel 2019, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef 4, 25). Dalle social network communities alla comunità umana”, si trova una descrizione di questa polarizzazione: «Ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio».

Il punto messo in evidenza nel messaggio ai movimenti popolari risiede nella “logica” dell’audience che facilita e diffonde post-verità, disinformazione, calunnie. I media, specie del mondo digitale, hanno cioè l’enorme potere di sottrarre empatia e vicinanza umana. Possono manipolare le persone, alimentando i conflitti e creando distanza anziché solidarietà. Osservando che “i movimenti digitali di odio” possono diventare “associazioni contro un nemico” l’Enciclica Fratelli tutti descrive le offese e la manipolazione delle coscienze dentro tali reti di violenza verbale (43-50).

Tuttavia, ed è l’aspetto più importante, è possibile per il grande mondo della comunicazione non solo togliere empatia, senso di fraternità e vicinanza, ma anche crearle. Dalla foto del bimbo curdo Aylan morto nella traversata del Mediterraneo, alle immagini degli abbracci con gli anziani reclusi per la pandemia di covid-19, il grande potere dei media può essere sfruttato per rendere vicino l’estraneo, e fratello chi si credeva nemico. Se il linguaggio d’odio tende a disumanizzare le persone, è la stessa comunicazione che invece può loro restituire umanità e dignità.

di Milena Santerini
Università Cattolica del Sacro Cuore