Bailamme
La logica nostalgica del mondo e la novità di Dio

L’uovo, la gallina
e il vino nuovo

 L’uovo, la gallina e il vino nuovo  QUO-016
21 gennaio 2022

Lo abbiamo ascoltato domenica scorsa alla messa, è uno dei brani del Vangelo più conosciuti, quello che finisce con i complimenti del maestro di tavola allo sposo: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono» (Gv 2, 10). Niente di nuovo quindi, la fine è nota, anche per i non credenti: il vino buono è quello trasformato da Gesù nel suo primo e forse più famoso miracolo, a Cana di Galilea. Colpiscono però quelle parole che iniziano con quel “tutti”, ad indicare che questo modo di fare è quello generale, tipico di tutti gli uomini.

Cosa fanno gli uomini? Fanno vedere subito di cosa sono capaci, mettono le mani avanti subito, prima che ci pensino gli altri, stupiscono con effetti speciali, mostrano i muscoli e cercano di portare a casa subito il risultato lasciando per il dopo solo gli scarti. La logica insomma è quella del “tutto e subito”, oppure del “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”.

Questo sposo di Cana però è diverso. Anche perché non è lui, che non sa niente, ma è Gesù. È Gesù che è diverso. Lui ha quella che il Papa chiama «l’inaudita logica di Dio», come ha detto nell’Angelus dell’Epifania. Tutti fanno in un modo, Dio fa l’opposto. Tutti afferrano l’uovo e invece Dio attende, cioè “tende a” domani, alla gallina di domani. Dio non afferra il prodotto (che produce scarti) ma risale alla fonte, alla sorgente generativa, a quell’acqua che zampilla per sempre.

La foga con cui si consuma il vino buono subito, restituisce efficacemente proprio l’atmosfera dei matrimoni, dove tutti diventano inevitabilmente «un po’ brilli» come annota l’evangelista Giovanni.

Parlando della città di cui era arcivescovo, Giacomo Biffi parlò di una società «sazia e disperata». Questa è la logica del mondo: saziarsi subito, prendere tutto e quindi stordirsi, e poi, lentamente, degradare, passare dal vino buono a quello meno buono.

A questo istinto corrisponde una mentalità, una logica, che è quella della decadenza e della nostalgia. C’è una precisa visione della storia dietro questa logica, la visione dell’età dell’oro che è sempre dietro di noi, ci ha preceduti e che possiamo solo rimpiangere.

Questo sentimento della storia era diffuso nel mondo greco, il mondo del nostos, del ritorno e quindi della nostalgia, ma è vivo e presente anche nel nostro mondo post-moderno e contemporaneo. Siamo qui, colti di sorpresa dalla pandemia e lo sguardo, che non riesce a scrutare in avanti, diventa retroflesso, si volge indietro con un languore malinconico che diventa facilmente risentimento, rabbia.

A questa logica antica, anzi vecchia, risponde la logica inaudita di Dio che l’episodio di Cana evidenzia splendidamente. Il vino buono non è buttato via subito nell’ingordigia dell’attimo ma si fa attendere, sembra mancare ma arriverà. Alla furia della gola si contrappone la calma dell’attesa fiduciosa. È la pazienza di Dio che chiede all’uomo di fare lo stesso. La visione della storia è rovesciata: nessuna decadenza da una vagheggiata e fantastica età dell’oro ma la fede certa che il meglio deve ancora venire. E anche se si vivono momenti di crisi, in cui il vino sembra mancare, c’è la consapevolezza che qualcosa sta per av-venire.

Come diceva il teologo gesuita Teilhard de Chardin: l’avvenire è migliore dei nostri passati. Ecco il futuro, questo grande dono che la Bibbia ha regalato a un mondo che vedeva la storia umana chiusa dentro un Fato cieco, ciclico e ineluttabile. All’eterno ritorno dell’identico la Bibbia risponde con la novità del Vangelo, di un Dio fatto uomo che viene “in mezzo a noi” a spezzare le catene del tempo e della morte.

C’è una parola che prima non c’era e che proprio nel segno di Cana s’incomincia a intuire: speranza. Proprio come dice il poeta Claudio Damiani nella sua nuova raccolta che uscirà il prossimo 3 febbraio (Prima di nascere, Fazi editore): «Il mistero è così fitto/ e noi così fragili/ che non ci sono speranze/ o meglio, possono esserci solo speranze,/ la speranza è la nostra scienza».

di Andrea Monda