Il dominio dell’algoritmo e il rischio delle “echo chambers”

Officials direct commuters wearing face masks waiting outside the Pienaarspoort Station, East of ...
21 gennaio 2022

Mai come nel corso degli ultimi due anni le problematiche legate alla disinformazione e alla diffamazione sono risultate tanto importanti e pervasive a livello politico e sociale. Concetti sempre più spesso menzionati dalla stampa come “post-verità” o “bolla culturale” rappresentano infatti i sintomi di un profondo cambiamento culturale in corso, con conseguenze rilevanti in diversi ambiti della vita nel Ventunesimo secolo.

L’espressione “post-verità”, scelta nel 2016 come parola dell’anno dallo storico dizionario dell’università di Oxford, descrive un processo per il quale i fatti oggettivi vengono completamente messi in secondo piano dalla fonte, che si serve invece di appelli a valori, idee, convinzioni, emozioni ed esperienze condivise per esercitare una maggiore presa sull’opinione pubblica. Il risultato principale di questa dinamica è una progressiva perdita di importanza della verità fattuale, che arriva infine a diventare totalmente irrilevante. Ciò determina di conseguenza l’indebolimento dei media tradizionali, messi progressivamente in ombra dalle fonti che impiegano un linguaggio più potente e aggressivo per attrarre un maggior numero di fruitori.

Alcuni studiosi di comunicazione spiegano questo processo come una reazione di rottura rispetto alle propagande totalitarie del secolo scorso. In questa prospettiva, il monopolio dell’informazione esercitato da tali regimi avrebbe infatti indotto i cittadini, nel corso del tempo, a cercare narrative sempre più distanti da quella dominante.

La causa primaria dell’affermarsi della “post-verità” viene spesso individuata nella diffusione di fake news attraverso la rete. Numerose ricerche hanno infatti segnalato un incremento esponenziale nella circolazione di notizie false negli ultimi anni, identificando i social network come il loro principale mezzo di diffusione. Le piattaforme social costituiscono effettivamente un terreno fertile per la circolazione di contenuti provenienti da fonti non verificate, a causa della loro elevata fruibilità e di meccanismi di verifica delle notizie non ancora perfezionati.

Sempre dai social network ha origine il termine “clickbait”, definito dal vocabolario statunitense Merriam-Webster come un elemento (solitamente il titolo di un articolo) concepito per spingere l’utente digitale ad aprire una pagina dal contenuto di dubbia rilevanza o veridicità. Attualmente utilizzata anche in contesti neutri, come i contenuti pubblicati su YouTube dai videogiocatori nel tentativo di dare maggiore rilevanza ai propri canali, la pratica del “clickbait” rappresenta tuttavia l’esempio pratico del concetto di “post-verità”.

I social network sono inoltre governati da algoritmi che seguono le preferenze personali dell’utilizzatore, un concetto in apparenza innocuo in quanto originariamente pensato per aiutare l’utente a coltivare i propri interessi, ma che presenta anch’esso inquietanti risvolti. È da questa dinamica che hanno infatti origine le cosiddette “echo chambers” (letteralmente, camere dell’eco) o “bolle culturali”, ovvero spazi virtuali che mettono in contatto unicamente persone accomunate dalle stesse visioni politiche, sociali e culturali, con un elevato rischio di isolamento e radicalizzazione dei partecipanti.

Come accennato in precedenza, queste problematiche sono state notevolmente aggravate dallo scoppio della pandemia covid-19. L’isolamento forzato e l’imponente flusso di informazioni sul virus ai quali sono state sottoposte le persone in questo periodo hanno infatti portato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a coniare il termine “infodemia”, riferito alla massiccia circolazione di fake news e dicerie riguardanti l’epidemia.

Diverse organizzazioni internazionali si sono mobilitate nell’ultimo periodo per contrastare la problematica della disinformazione. La stessa Oms ha infatti avviato l’iniziativa “mythbusters” (letteralmente, “sfatatori di miti”) in collaborazione con aziende come Meta, Google, YouTube, Twitter e TikTok, allo scopo di identificare e sfatare le notizie false che circolano su internet. Le Nazioni Unite hanno invece sviluppato “Verified”, una rete di volontari che si occupano di contrastare la disinformazione relativa alla pandemia covid-19. Numerose campagne digitali, come ad esempio #PledgeToPause e #TakeCareBeforeYouShare, sono poi state lanciate in questo contesto. L’Assemblea Generale dell’Onu ha poi indetto nel 2021 la Settimana mondiale dell’alfabetizzazione mediatica e dell’informazione dal 24 al 31 ottobre.

Nell’aprile 2021 è stato poi presentato in seno all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr) il primo Rapporto sulla disinformazione, a cura del Relatore speciale Irene Khan. Il documento contiene un appello, diretto sia agli stati sovrani che alle grandi multinazionali, che invita a promuovere un’informazione libera, indipendente e diversificata e a investire sull’alfabetizzazione digitale al fine di emancipare gli individui e rafforzare la fiducia nelle istituzioni.

Iniziative analoghe sono state intraprese anche a livello statale: innovativo a questo riguardo è il caso della Svezia, che negli scorsi giorni ha annunciato l’inaugurazione dell’Agenzia per la difesa psicologica, una task force con lo scopo di identificare gli attori responsabili delle campagne di disinformazione per «salvaguardare la società democratica e aperta, l’informazione libera e l’indipendenza dello stato». In Italia, invece, il Ministero della Salute ha dedicato una pagina del suo sito internet alle fake news, nella quale esperti ministeriali e dell’Istituto superiore di sanità analizzano le più comuni notizie riguardanti la pandemia covid-19.

Le conseguenze della disinformazione sono tangibili: in un recente sondaggio, il 93% dei medici italiani ha dichiarato di vedere le fake news come una minaccia diretta alla propria attività professionale. Trattandosi di un fenomeno relativamente recente e tuttora in evoluzione, la diffusione della “post-verità” appare complessa da contrastare. Le iniziative governative e internazionali citate sopra rappresentano una base per i cittadini, che dovranno fare ricorso anche ai propri strumenti come l’uso del senso critico e l’istruzione.

di Giovanni Benedetti