Oggi in primo piano - Racconti dal “braccio della morte”

Danno collaterale

 Danno collaterale  QUO-015
20 gennaio 2022

Durante il quarto di secolo trascorso a stretto contatto con la pena di morte americana, ho potuto osservare i danni che le uccisioni non necessarie, volute dal governo, provocano sistematicamente a terze parti innocenti. Solo da poco tempo, però, studiosi ed esperti di giustizia criminale hanno iniziato ad esaminare su vasta scala il fenomeno.

Nel suo articolo, pubblicato il 6 giugno 2021 dal quotidiano statale del South Carolina, Ron McAndrew, ex direttore del carcere dove si svolgono le esecuzioni in Florida, supplica i politici e i funzionari governativi del South Carolina di annullare il progetto di ripristino delle esecuzioni nel loro stato. Il motivo? Per il danno che le esecuzioni causano alle guardie e al personale che è presente e porta a termine le uccisioni statali.1

McAndrew parla per esperienza diretta quando descrive i suoi incubi e la sindrome da stress post-traumatico che gli derivano dall’aver gestito le esecuzioni in Florida durante il suo mandato.

Ancora oggi quasi nessuno parla del danno che le esecuzioni non necessarie volute dallo stato causano ai consiglieri spirituali e agli assistenti. La risposta, superficiale e insignificante, che i politici favorevoli alla pena di morte oppongono a questo danno umano è solitamente un sarcastico: «Se la cosa vi disturba, cambiate lavoro». In altre parole, lasciate che sia un altro a dover affrontare il trauma delle uccisioni statali motivate dalla politica.

Per quanto mi riguarda, nel 2016 — dopo 18 anni di assistenza spirituale dei condannati alla pena capitale della Florida — mi rendo conto che dovrei chiudere presto questa attività. A quel punto, ho seguito oltre 30 condannati nei loro ultimi giorni nella casa della morte e ho assistito a 15 esecuzioni, inclusa quella, tragicamente fallita, portata a termine due settimane prima di Natale nel 2006. I vescovi della Florida concordano nell’avviare la ricerca a livello nazionale di un mio possibile sostituto e a finanziare questa nuova occupazione con un salario e dei benefit.

La persona scelta è un candidato notevole. Anzi, l’aggettivo “notevole” non rende abbastanza l’idea. Ognuno ha pregi individuali, ma nel diacono Jason, la sua unicità, spontaneità e intensità di sentimenti, il suo modo di assaporare la vita, sono un’arte.

Sia che ingolli ostriche e birra con i suoi figli adulti, o che racconti aneddoti di quando ristrutturò il caminetto con sua moglie Linda, tutto il suo corpo ne è coinvolto. Nessuno sa raccontare aneddoti meglio di Jason e lui riesce sempre a trovare il modo di far sorridere, o ridere, tutti.

È un venditore esperto. Quando lo incontro per la prima volta, sta organizzandosi per passare dalla vendita di beni commerciali a quella di beni eterni.

Quasi 30 anni prima, Jason aveva accettato con riluttanza di collaborare a uno studio della Bibbia in un carcere della Georgia. Non era particolarmente felice all’idea di andare in una prigione, ma ci andò, e uscì da quell’esperienza contagiato da una nuova missione — portare la speranza e la Buona Novella di Gesù Cristo agli uomini e alle donne in carcere.

Quando lo incontro nel 2010, Jason viene nell’ufficio dove lavoro part-time al Christian Healing Ministries per discutere con me il suo progetto pastorale per il programma di diaconato. Pianifichiamo un programma per le famiglie che hanno un congiunto in carcere. Jason conduce questo programma nella sua parrocchia di San Giuseppe, a Mandarin Jacksonville, nel Cody Center.

Dopo l’ordinazione al diaconato permanente, accompagno Jason alla sua prima funzione eucaristica in carcere in qualità di diacono, nel North Florida Reception Center, una grande prigione a Lake Butler in Florida. Mi colpisce l’impatto che il suo entusiasmo e la sua intensità hanno sui detenuti durante questa funzione. Nessuno è più veloce di un detenuto nel cercare scappatoie, invece questi uomini lo adorano. È circa a quell’epoca che il diacono Jason si unisce al nostro gruppo di volontari per assistere i condannati a morte e i reclusi in isolamento a lungo termine.

Poi, nel 2015, Jason inizia a seguirmi nei bracci della morte — fsp e uci — per diventare cappellano cattolico dei condannati alla pena capitale e dei reclusi in isolamento a lungo termine. È perfetto per il ruolo, ha un bagaglio di assistenza spirituale ai detenuti, ed è conosciuto dai cappellani del carcere per i molti anni in cui era stato coinvolto nel Kairos, un ritiro semestrale per i detenuti.

In quell’epoca anche un seminarista di Tallahassee desidera dedicarsi all’assistenza dei condannati a morte: si tratta di fr. Dustin. Per un’intera estate il diacono Jason, il seminarista Dustin e io svolgiamo insieme l’assistenza dei condannati a morte e dei detenuti in isolamento, visitandoli di cella in cella.

Avviene così che le cameriere e il personale femminile di Macclenny e di Raiford notino che il diacono Jason assomiglia in modo impressionante a Magnum pi — Tom Selleck. Chiamano Jason Magnum pi .

Mi ricordo una mattina in cui facevo colazione con il diacono Jason e il seminarista Dustin al Sixth Street Restaurant di Macclenny. Una delle cameriere più giovani si avvicina al tavolo. «Lo sa che assomiglia a Tom Selleck?», chiede, ovviamente rivolta al Diacono Jason.

«Beh, non è del tutto esatto», risponde Jason, sorridendo da un orecchio all’altro, «In realtà, è Tom Selleck che assomiglia a me!»

I dipendenti del Dollar General Discount Store sulla Statale 121, dove Jason si ferma ogni mattina, andando da Macclenny alle prigioni con i bracci della morte, per comprare un “sigaro liscio”, hanno un altro soprannome per lui: Sig. Liscio.

Jason è un tamburellatore — non solo nel gesto, ma con tutto il corpo. I suoi amici mi spiegano che il termine esatto è percussionista. Lui è sempre uguale, all’interno e all’esterno del carcere. Non indossa una maschera per qualcuno o in qualche luogo. È esattamente ciò che vedi.

Una volta, agli inizi di quando mi seguiva nel braccio della morte, cominciammo a far visita ai condannati partendo dai due estremi opposti del corridoio. Ci sono circa 15 celle, tutte sullo stesso lato. Siamo costantemente monitorati da sorveglianza audio e video — c’è sempre qualcuno che ci guarda e ci ascolta durante queste visite ai condannati.

In questa particolare occasione, il sergente entra nel corridoio e mi fa cenno di seguirlo nel locale di controllo.

«Lei vuole parlarle», il sergente mi indica la guardia che sorveglia accigliata i monitor nella stanza.

«Sì, signora», la saluto entrando. «Come posso esserle utile?»

«Cosa sta facendo?», mi chiede, indicando lo schermo che mostra Jason al fondo del corridoio, dove sta chiacchierando con un detenuto, mentre batte ritmicamente le dita sulle sbarre della cella.

«Sta tamburellando, signora. Segue sempre un ritmo con le dita».

«Ma non c’è nessuna musica!», abbaia il sergente alle mie spalle. «Come può tamburellare se non c’è musica?».

«Lui porta la musica con sé», rispondo. «Dentro di lui c’è sempre musica».

Come posso quindi riassumere la figura del diacono Jason Roy, un enigma che tutti conosciamo e amiamo?

Un predicatore della chiesa Metodista Episcopale ad Americus, Georgia, disse una volta: «Un giorno ciascuno di noi morirà. E dopo la cerimonia in chiesa, comunque essa venga svolta, tutti i presenti si raduneranno fuori e, mangiando pollo fritto e insalata di patate, parleranno di ciò che avremo fatto nella vita. Non di quello che avremo detto, perché questo è insignificante e irrilevante. Parleranno di ciò che avremo FATTO!»

E allora, percorriamo insieme gli ultimi cinque giorni di vita del diacono Jason e guardiamo cosa fece.

Parla al telefono con suo figlio Chris ogni giorno, come sempre. E a casa, rientrando dal carcere o prima di recarvisi, vede sua moglie Linda e il figlio minore Bryan ogni giorno.

Sabato sera, 17 dicembre 2016, è con Linda al Centro di Ritiro Diocesano Marywood per la riunione natalizia dei diaconi e delle loro mogli.

Domenica 18 dicembre, presenzia alla santa messa di Natale a uci , dove oltre 50 detenuti assistono di persona, e molti altri (i condannati a morte) seguono dalle loro celle su una tv a circuito chiuso. Sono presenti il vescovo Estévez, fr. Slavek e il seminarista Dustin Feddon. C’è anche il diacono Ken, che nel 2020 morirà per complicazioni da Covid. Subito dopo c’è un incontro natalizio cattolico nel cortile della cappella. Il diacono Jason abbraccia tutti, senza eccezioni. Mentre gira intorno nel cortile, si dimentica di avermi già abbracciato e mi stritola in un secondo abbraccio. «La faccenda si fa preoccupante», lo prendo in giro, «e stanno anche riprendendoci».

«E allora, che ne dici di un altro abbraccio?», ride mentre lo respingo. Ma il diacono Jason non resisteva all’occasione di prendermi in giro.

«Sai, Fratello Dale», i suoi occhi brillano avvertendomi che sta per colpirmi con un diretto. «Il motivo per cui stai lasciando l’incarico e io sto prendendo il tuo posto, è che sono molto più giovane di te».

«E allora?», fingo di essere seccato. «Non è una novità!».

«Beh, quando arriverà il momento, sarò probabilmente io il diacono che parlerà al tuo funerale. E dirò loro tutto…».

«Se ti azzarderai a mettermi in imbarazzo al mio funerale, ti prometto che ritornerò come fantasma e ti perseguiterò!».

Ridiamo di cuore, ma il diacono Jason non ha ancora finito.

«In questo caso», mi punzecchia con l’indice, «parlerò solo dei tuoi antenati italiani».

«Se al mio funerale dirai qualsiasi cosa che possa mettere in imbarazzo i miei antenati, la mia mamma tornerà e ti tormenterà! E credimi, non ti conviene metterti nei guai con la mia mamma!».

Stiamo ridendo così di gusto che dobbiamo fermarci un attimo sulla panca di cemento vicina al cancello 5 d’ingresso al corridoio del braccio della morte.

In quel momento sereno, nessuno dei due avrebbe potuto immaginare che entro pochi giorni, prima di Capodanno, sarei stato nella chiesa cattolica di San Giuseppe, davanti a 1200 persone, a tenere l’elogio funebre del mio caro amico diacono Jason.

Lunedì 19 dicembre, il giorno successivo al nostro scambio di battute allegre, Jason effettua un giro di visite di cella in cella ai detenuti in isolamento. È duro descrivere questa attività. Molti dei nostri volontari da anni vanno a trovare i 2500 condannati in isolamento stando davanti alla porta di acciaio delle loro celle. Bisogna parlare e assisterli attraverso un buco nella porta, che rende solitamente necessario inginocchiarsi sul cemento. È ciò che Jason fa per tutto il giorno a uci , il lunedì prima di Natale.

Martedì ripete la stessa cosa a fsp .

Mercoledì 21 dicembre, Jason fa commissioni per Linda poi torna ad uci alle 16, 30 per condurre con me un programma natalizio dedicato a circa 100 detenuti del reparto che segue programmi di fede. Distribuiamo dolci italiani natalizi e proiettiamo il video di un concerto dei Gaither Trio in Sudafrica. Sono seduto accanto a Jason, il percussionista, che tamburella il ritmo sulla sedia durante ogni canzone. Ripartiamo alle 21 per tornare a casa.

Giovedì mattina, 22 dicembre, alle 8 è di nuovo ad uci per distribuire dolci italiani natalizi alle guardie e al personale. Nel pomeriggio fa la stessa cosa a fsp .

Giovedì notte, anzi, di fatto venerdì mattina, 23 dicembre, alle 2,30 circa, Jason riceve una telefonata da suo figlio Chris. Chris e la moglie Risa sono in ospedale perché Risa è in travaglio. Chris insiste perché il papà aspetti che il travaglio sia più avanzato prima di raggiungere l’ospedale. Ma Jason non la pensa così. Alle 3,30 il Diacono Jason saluta suo figlio e la nuora nella stanza dell’ospedale. Jason è raggiante.

Questa sarà la prima nipote sua e di Linda. Jason mi chiama nel tardo pomeriggio di venerdì, è al settimo cielo mentre mi descrive la gioia di aver tenuto tra le braccia la nuova nipotina. La sua esuberanza è solo offuscata dall’improvvisa intrusione di un’esecuzione imminente.

La sospensione dell’esecuzione di un condannato a morte è stata appena annullata dalla Corte Suprema della Florida, subito prima che i giudici interrompessero le attività per le feste natalizie.

Il passaggio nella cella di attesa della morte ha inizio. Jason ha appena inviato una e-mail al carcere delle esecuzioni fissando un appuntamento per l’assistenza pastorale del condannato il 27 dicembre.

Il diacono Jason aveva seguito la prima esecuzione in qualità di assistente spirituale un anno prima, nell’ottobre 2015. Fu scioccato dal pesante tributo che questo causò su di lui fisicamente, emotivamente e spiritualmente.

«Assistere all’uccisione non necessaria di una persona che ti è cara è come assistere all’assassinio di un amico», mi disse in quell’occasione. «Non credo che lo supererò mai».

«Non lo supererai fratello. Imparerai solo a conviverci, come si impara a convivere con una gamba zoppa».

Vigilia di Natale 24 dicembre, il diacono Jason avrebbe dovuto presenziare alla santa messa delle 19,30 e a quella di mezzanotte nella sua parrocchia di San Giuseppe. Ma non ci sarà.

Durante la notte tra il 23 e la vigilia di Natale, mentre dorme pacificamente, il diacono Jason è chiamato alla Casa del Padre da un grave infarto, definito il “fabbricante di vedove”.

Ricevo la telefonata di sua moglie Linda nel tardo pomeriggio della vigilia di Natale. Entro l’ora di cena, ottengo l’autorizzazione istituzionale a sostituire il diacono Jason alla casa della morte il 27 dicembre per l’incontro pastorale con il condannato. Al mio 64° compleanno, il giorno dopo Natale, Susan mi accompagna in auto da Tallahassee al carcere delle esecuzioni, dove con la direzione definiamo tutti i dettagli di questa assistenza spirituale al condannato in attesa di morire.

Il 30 dicembre, dopo un veloce rientro a casa a Tallahassee, Susan mi riporta in auto a Jacksonville. Questa volta al mio residence di Hampton per il funerale del diacono Jason alla vigilia di Capodanno. Oltre 1200 persone assistono per onorare e dire addio a quest’uomo notevole.

I mandati di esecuzione e le esecuzioni nel periodo natalizio non sono insoliti in Florida. Ma io credo che questo mandato di esecuzione causò un terribile danno collaterale portandoci via anzitempo il nostro caro amico e fratello, il diacono Jason.

di Dale S. Recinella
 

1Ron McAndrew, «South Carolina death penalty is traumatic for those who have to carry out executions” (“La pena di morte nel South Carolina traumatizza chi deve portare a termine le esecuzioni”), quotidiano «The State» (6 giugno 2021).