Bailamme

Quando un bambino ci guarda negli occhi

14 gennaio 2022

«Adesso, nella mia attuale condizione, adesso che sono in procinto di lasciare questo mondo, mi rendo conto che non c’è nulla di più straordinario di un viso umano». John Ames, il protagonista del romanzo Gilead, di Marilynne Robinson, è un pastore protestante, ormai vecchio e sul punto di morire, che scrive a suo figlio di soli sette anni, una lunga lettera per salutarlo e introdurlo alla vita in quanto mistero. E per far questo parte dalla constatazione su quanto sia misterioso e affascinante il volto di ogni essere umano. A partire dal volto dei più piccoli. Il tema qui è quello dello stupore, di cui ha parlato il Papa nell’omelia per i vespri dell’ultimo dell’anno: «Lo stupore cristiano non trae origine da effetti speciali, da mondi fantastici, ma dal mistero della realtà: non c’è nulla di più meraviglioso e stupefacente della realtà! Un fiore, una zolla di terra, una storia di vita, un incontro… Il volto rugoso di un vecchio e il viso appena sbocciato di un bimbo. Una mamma che tiene in braccio il suo bambino e lo allatta. Il mistero traspare lì».

Questo struggente brano tratto dal romanzo della Robinson del 2004 è ritornato all’attenzione del grande pubblico grazie a una scena della prima puntata di Stories of a Generation, il documentario trasmesso a Natale da Netflix e realizzato da Simona Ercolani con la consulenza di padre Spadaro che ha intervistato Papa Francesco sul tema del rapporto appunto tra generazioni. In questa scena si vede Martin Scorsese, il noto regista italo-americano, che legge alla figlia Francesca proprio questa pagina che vale la pena di rileggere:«Dicono che un bambino piccolo non ci vede, però lei aprì gli occhi, e mi guardò. Era una creaturina piccolissima. Mentre la tenevo in braccio aprì gli occhi. Lo so che in realtà non mi scrutò in viso. La memoria può far apparire una cosa molto più densa di significato di quanto non fosse in realtà. Ma so che la bambina mi guardò dritto negli occhi. È una cosa bellissima. E sono contento di averlo capito allora, perché adesso, nella mia attuale condizione, adesso che sono in procinto di lasciare questo mondo, mi rendo conto che non c’è nulla di più straordinario di un viso umano. Ha a che fare con l’incarnazione. Quando hai visto un bambino e lo hai tenuto in braccio ti senti obbligato nei suoi confronti. Ogni volto umano esige qualcosa da te, perché non puoi fare a meno di capire la sua unicità, il suo coraggio e la sua solitudine. E questo è ancora più vero nel caso del viso di un neonato. Considero quest’esperienza una sorta di visione, altrettanto mistica di tante altre».

Il Natale è il momento in cui ci si ferma di fronte a questa scena: un bambino deposto ed esposto. Deposto in una grotta, presagio di quell’altra scena, al termine dell’avventura umana di quel bambino, la scena della pietà. Ed esposto, al freddo e ai pericoli, c’è già una “taglia” messa sulla sua persona dal monarca sanguinario della Giudea, ed esposto allo sguardo del mondo, degli occhi distratti degli uomini di tutte le epoche che da oltre venti secoli si pongono su questo neonato. Ma la Robinson, tramite John Ames, ci ricorda un’altra cosa: che è il neonato a guardarci, è lui che aprendo gli occhi ci fissa, ci scruta, ci interroga e già ci perdona. Perché lui apre gli occhi non come facciamo noi ogni giorno, i suoi occhi non sono appesantiti dalla polvere di millenni di abitudine ma sono quelli di una vita appena cominciata. A questo sguardo siamo chiamati a rispondere, a corrispondere. Il Papa lo ha detto spesso in questi quasi nove anni di pontificato: siamo in grado di guardare e lasciarci guardare negli occhi dai bambini? È qui che si valuta il nostro valore, la nostra altezza, come sottolinea acutamente la poesia Dite di Janus Korczack:

Dite:
è faticoso frequentare bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
bisogna mettersi al loro livello,
abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi
fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

di Andrea Monda