Il magistero

 Il magistero  QUO-009
13 gennaio 2022

Venerdì 7

Imprenditori al servizio
di tutti e non di interessi privati
o ristretti

Trovo coraggioso che nel mondo attuale segnato da individualismo, indifferenza ed emarginazione delle persone più vulnerabili, alcuni imprenditori e dirigenti d’impresa abbiano a cuore il servizio di tutti e non solo di interessi privati o di circoli ristretti.

Vorrei condividere due coppie di concetti che sembrano in tensione ma che il cristiano, aiutato dalla grazia, può unificare nella propria vita: ideale e realtà; autorità e servizio.

Ideale e realtà

Ho evocato qualche giorno fa quell’“urto”, quello choc, di cui ogni cristiano fa spesso esperienza, tra l’ideale che sogna e il reale che incontra. (Omelia, 1° gennaio 2022).

La ricerca del bene comune è motivo di preoccupazione, un ideale nel quadro delle vostre responsabilità professionali. È un elemento determinante del vostro discernimento e delle vostre scelte, ma deve fare i conti con gli obblighi imposti da sistemi economici e finanziari che spesso si prendono gioco dei principi di giustizia sociale e carità.

Immagino che la vostra coscienza entri in conflitto quando l’ideale di giustizia e di bene comune non ha potuto realizzarsi e la dura realtà si presenta come una mancanza, uno scacco, un rimorso, uno choc.

È importante che possiate superare questo e viverlo nella fede.

Davanti allo “scandalo della mangiatoia” Maria non si è scoraggiata, non si è ribellata, ma ha reagito dimostrando una fede adulta, che si fortifica nella prova.

Custodire è accogliere, malgrado l’oscurità e nell’umiltà, le cose difficili che non abbiamo potuto impedire; non cercare di camuffare o “truccare” la vita, sfuggire alle responsabilità.

E meditare è, nella preghiera, unificare le cose belle e quelle brutte di cui è fatta la vita, coglierne l’intreccio e il senso nella prospettiva di Dio.

Autorità
e servizio

Quando gli Apostoli discutono su chi sia il più grande, Gesù interviene: «Se qualcuno vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti» .

La missione del dirigente cristiano assomiglia a quella del pastore, di cui Gesù è il modello, e che sa andare davanti al gregge per indicare la via, sa stare in mezzo per vedere quello che accade, e sa anche stare dietro, per assicurarsi che nessuno perda contatto.

Ho esortato spesso preti e vescovi ad avere “l’odore delle pecore”, a immergersi nella realtà di quanti sono loro affidati, conoscerli, farsi prossimi. Vale anche per voi!

Vi incoraggio a essere vicini a coloro che collaborano con voi: a interessarvi alla loro vita, a rendervi conto delle loro difficoltà, delle sofferenze, delle inquietudini, ma anche delle loro gioie, dei progetti, delle speranze.

Esercitare l’autorità come un servizio richiede di condividerla. Siete invitati a mettere in atto la sussidiarietà con la quale si valorizza «l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti, specialmente degli ultimi».

Il dirigente cristiano è chiamato a considerare con attenzione il posto assegnato a tutte le persone della sua azienda, comprese quelle le cui mansioni potrebbero sembrare di minore importanza.

Anche se l’esercizio dell’autorità richiede di prendere decisioni coraggiose, la sussidiarietà permette a ciascuno di dare il meglio di sé, di sentirsi partecipe, di portare la propria parte di responsabilità e contribuire al bene dell’insieme.

La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza.

(Discorso a una delegazione
di imprenditori dalla Francia ricevuti nella Sala Clementina)

Domenica 9

Il compito
di custodire
l’identità
cristiana

I vostri figli riceveranno oggi l’identità cristiana. E voi, genitori e padrini, dovete custodire questa identità. Questo è il vostro compito.

È un impegno di tutti i giorni: farli crescere con la luce che oggi riceveranno.

Questa cerimonia è un po’ lunghetta, i bambini si sentono strani in un ambiente che non conoscono.

Loro sono i protagonisti: fate in modo che non abbiano troppo caldo, che si sentano a loro agio.

E se hanno fame, allattateli tranquillamente qui, davanti al Signore, non c’è problema.

E se gridano, lasciateli gridare, perché loro hanno uno spirito di comunità, “spirito di banda”; basta che uno incominci, perché tutti sono musicali, e subito viene l’orchestra! Lasciateli piangere tranquilli.

(Omelia a braccio nella messa
in Cappella Sistina per il battesimo di 16 neonati)

Con l’anima e i piedi nudi come il popolo

Il Vangelo odierno mostra l’inizio della vita pubblica di Gesù: il Messia va sulle rive del fiume Giordano e si fa battezzare da Giovanni.

Dopo trent’anni nel nascondimento, non si presenta con qualche miracolo o salendo in cattedra per insegnare. Si mette in fila con il popolo che andava a ricevere il battesimo.

L’inno liturgico di oggi dice che il popolo andava a farsi battezzare con l’anima e i piedi nudi, umilmente.

Gesù condivide la sorte di noi peccatori, scende verso di noi: discende nel fiume come nella storia ferita dell’umanità, si immerge nelle nostre acque per risanarle, si immerge in mezzo a noi.

Non sale al di sopra di noi. Non va solo, né con un gruppo di eletti privilegiati. Appartiene al popolo e va a farsi battezzare con quel popolo.

La preghiera di Cristo

Gesù prega. Ma come? prega come noi? Sì.

La sua preghiera è un dialogo, una relazione con il Padre.

Possiamo vedere i “due movimenti” della vita di Gesù: da una parte scende verso di noi, nelle acque del Giordano; dall’altra eleva lo sguardo pregando il Padre.

Tutti siamo immersi nei problemi della vita e in tante situazioni intricate, chiamati ad affrontare momenti e scelte difficili che ci tirano in basso. Ma, se non vogliamo restare schiacciati, abbiamo bisogno di elevare tutto verso l’alto.

E questo lo fa la preghiera, che non è una via di fuga, un rito magico o una ripetizione di cantilene a memoria.

Pregare è il modo per lasciare agire Dio in noi, per cogliere quello che vuole comunicarci anche nelle situazioni difficili.

Tanta gente sente che non ce la fa e prega: “Signore, dammi la forza”.

La preghiera aiuta perché ci unisce a Dio, apre all’incontro... è la chiave che apre il cuore al Signore.

Dialogo
e ascolto

È dialogare con Lui, è ascoltare la sua Parola, è adorare: stare in silenzio affidandogli ciò che viviamo.

A volte è anche gridare come Giobbe, sfogarsi con Lui che è padre, ci capisce, mai si arrabbia.

La preghiera apre il cielo: dà ossigeno alla vita, dà respiro in mezzo agli affanni e fa vedere le cose in modo più ampio.

Figli amati

Soprattutto, permette di fare la stessa esperienza di Gesù al Giordano: ci fa sentire figli amati dal Padre.

Anche a noi il Padre dice, come a Gesù: “Tu sei mio figlio, l’amato”.

Questo nostro essere figli è cominciato il giorno del Battesimo, che ci ha immersi in Cristo. Non dimentichiamo la data del Battesimo!

Perché è la nostra rinascita, il momento nel quale siamo diventai figli di Dio.

Tra tante cose che facciamo nella giornata non trascuriamo la preghiera: dedichiamole tempo, usiamo brevi invocazioni da ripetere spesso, leggiamo il Vangelo ogni giorno.

(Angelus in piazza San Pietro)

Martedì 11

Formare
i giovani
al “ministero del pensiero”

L’11 gennaio 1397, su richiesta della Regina Santa Edwige e di suo marito Ladislao, Papa Bonifacio ix , con la Bolla “Eximiae devotionis affectus”, eresse la Facoltà di Teologia dell’allora Accademia di Cracovia, poi Università Jagellonica.

La sua continuazione è l’attuale Facoltà di Teologia della Pontificia Università Giovanni Paolo ii . Sono passati 625 anni da questo evento che segna l’inizio della storia del vostro relativamente giovane Ateneo.

I tempi odierni richiedono di non dimenticare la tradizione, ma al contempo di guardare con speranza al futuro.

Il motto della vostra Università è “Andate e fate discepoli” e il documento sulla sua missione afferma che consiste nella riflessione scientifica sul contenuto della Rivelazione.

San Giovanni Paolo ii ha sottolineato la necessità di un tale “ministero del pensiero”, attraverso il quale gli ambienti universitari si uniscono alla missione della Chiesa.

La vostra Università sia un luogo di formazione di nuove generazioni di cristiani, non solo con lo studio scientifico e la ricerca della verità, ma anche attraverso la testimonianza sociale di vivere la fede.

Sia una comunità in cui la conoscenza si combini con la promozione del rispetto di ogni uomo e con la cura della formazione dei cuori, aprendoli a ciò che è più importante, che è durevole e non passa.

I giovani hanno i loro sogni e le loro mete, e un’Università cattolica dovrebbe aiutarli a realizzarli sulla base della verità, del bene e della bellezza che hanno la fonte in Dio.

Il ministero del pensiero e di ricerca della verità è necessario oggi alla Chiesa in Polonia e nel mondo. Portatelo avanti con responsabilità!

(Messaggio per il 625° della Facoltà Teologica della Pontificia Università Giovanni Paolo ii a Cracovia)

Mercoledì 12

Il lavoro
questione
di dignità
e di giustizia

Gli evangelisti definiscono Giuseppe “falegname” o “carpentiere”... E Gesù praticò il mestiere del padre.

Il termine greco tekton è stato tradotto in vari modi... nella Palestina di Gesù il legno serviva, a fabbricare aratri e mobili, e a costruire case, che avevano serramenti e di legno.

“Falegname” o “carpentiere” era una qualifica generica, che indicava artigiani del legno e operai impegnati nell’edilizia.

Un mestiere duro, dovendo lavorare materiale pesante, come il legno, la pietra e il ferro.

Dal punto di vista economico non assicurava grandi guadagni, come si deduce dal fatto che Maria e Giuseppe, quando presentarono Gesù nel Tempio, offrirono solo una coppia di tortore o colombi, come prescriveva la Legge per i poveri.

Questo mi fa pensare a tutti i lavoratori del mondo, in modo particolare a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche; a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro — in Italia ultimamente ce ne sono state parecchie —; ai bambini costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare.

Il dramma
della
disoccupazione

Pensiamo alle vittime del lavoro, degli incidenti sul lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare: questo è terribile!

Nell’età del gioco devono giocare, invece sono costretti a lavorare come persone adulte.

Tutti sono fratelli e sorelle nostri, che si guadagnano la vita con lavori che non riconoscono la loro dignità!

Penso anche a chi è senza lavoro: quanta gente va a bussare alle porte delle fabbriche, delle imprese: “Ma, c’è qualcosa da fare?” — “No, non c’è”.

E penso a quanti si sentono feriti nella loro dignità perché non trovano lavoro. Tornano a casa: “Hai trovato?” — “No, niente... sono passato dalla Caritas e porto il pane”.

Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa... e se noi non diamo alla nostra gente, ai nostri uomini e alle nostre donne, la capacità di guadagnare, questa è un’ingiustizia sociale.

I governanti devono dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane. Il lavoro è un’unzione di dignità.

Molti giovani, molti padri e molte madri vivono il dramma di non avere un lavoro. E la ricerca diventa così drammatica da portarli a perdere ogni speranza e desiderio.

In questi tempi di pandemia tante persone hanno perso il lavoro e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati a togliersi la vita.

Vorrei ricordare ognuno di loro e le loro famiglie. Facciamo un istante di silenzio.

Il lavoro è componente essenziale nella vita umana e nel cammino di santificazione.

Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale.

Purtroppo è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale.

Con che spirito noi facciamo il nostro lavoro? Come affrontiamo la fatica? Vediamo la nostra attività legata solo al nostro destino o anche al destino degli altri?

Il lavoro è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale.

È anche un modo per esprimere la nostra creatività: ognuno fa il lavoro a suo modo, con il proprio stile.

È bello pensare che Gesù abbia lavorato e abbia appreso quest’arte da Giuseppe.

No alla mera logica
del profitto

Dobbiamo domandarci cosa fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona.

(Udienza generale
nell’Aula Paolo vi )