La Chiesa di Dio convocata in sinodo

Comunità evangelizzatrice

 Comunità evangelizzatrice  QUO-005
08 gennaio 2022

Il testo qui presentato, di cui pubblichiamo stralci, è tratto dal numero 4 della rivista trimestrale «Testimoni nel mondo. Pagine di spiritualità e vita cristiana» che si propone di offrire occasioni di riflessione e approfondimento e un sostegno semplice ed efficace al cammino spirituale. Un percorso che sta muovendo i primi passi sulla scia di una grande tradizione e durante il quale saranno affrontati temi che spazieranno dalla spiritualità alla liturgia, da esperienze di vita cristiana a testimonianze di cultura e dialogo, nonché questioni relative al mondo delle parrocchie e alle nuove sfide che chiamano in causa i cristiani oggi.

Il 9 e 10 ottobre scorsi a Roma e il 17 ottobre in ogni Chiesa particolare si è aperto il cammino «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». È un percorso pensato in tre fasi, che vanno da ottobre 2021 a ottobre 2023: la prima sarà diocesana, la seconda continentale e la terza universale. Attraverso questa metodologia, che prevede l’elaborazione di due Instrumentum laboris diversi, si vuole coinvolgere tutto il popolo di Dio in questo processo sinodale, le cui parole chiave sono partecipazione, ascolto e discernimento. Papa Francesco è convinto che il ministero di vescovo di Roma sia legato alla sinodalità quale metodo, ed è questo il fondamento della sua visione ecclesiologica, la quale apre la strada verso il futuro. Convinzione, questa, annunciata fin dai primi momenti del suo pontificato. La sinodalità non è solo uno strumento, ma dà il senso di quella che Francesco chiama la «trasformazione missionaria della Chiesa» (Evangelii gaudium, 19-49), che deve attraversare tutti gli aspetti e le strutture della comunità cristiana a partire dalle Chiese diocesane alle comunità parrocchiali (28), ai movimenti e alle associazioni (29), ivi comprese anche le stesse conferenze episcopali e le strutture centrali della Chiesa universale (32). Ogni realtà è chiamata a una conversione pastorale e missionaria secondo il cuore del Vangelo, rappresentato da Papa Francesco nell’immagine di una «Chiesa in uscita» (20-23) che vive la «dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre» (21). Una “Chiesa sinodale”, appunto. Una Chiesa “comunità evangelizzatrice” che sperimenta il protagonismo cui è chiamato ogni battezzato costituendo «la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano (24).

Al centro di questo cammino sta il comando dato da Gesù ai suoi, la missione di annunciare il Vangelo. Non a caso Papa Francesco ha espressamente fatto riferimento, fin dall’inizio del suo pontificato, a quel profetico documento sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo che è l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo vi : «la Chiesa esiste per evangelizzare».

Ci possiamo chiedere: che momento vive la Chiesa? Escono volumi con titoli preoccupati e da più parti si parla di “chiese vuote”, ma non ci vuole molto a constatare già all’interno di una parrocchia la fatica che si sta vivendo. Chi tra noi è nato all’impegno sulla scia del Concilio e ha memoria dell’entusiasmo, della vivacità di quella stagione, non può che registrare un contrasto. A che punto è la catechesi nelle nostre parrocchie? In quante sono ancora presenti gruppi giovanili? E dove invece la fuga del dopo cresima è diventata non più un problema ma una realtà pacificamente accettata? E ancora: la parrocchia è realtà missionaria, opera con lo sguardo largo rivolto a coloro che abitano quel territorio oppure si limita a coloro che la frequentano, agli habitué che talvolta sono più un tappo che un ponte? La provocazione posta con forza dal Papa, di aprire un Sinodo, o meglio di chiedere alla Chiesa di porsi in stato di sinodo può essere una grande opportunità. Può far uscire dall’astrattezza parole come “comunione” e “missione” promuovendo, come il Papa chiede, il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno, vivendo una “partecipazione vera” e questo, ha precisato il Papa, parlando il 9 ottobre, non per esigenze di stile, ma di fede. La partecipazione è un’esigenza della fede battesimale. Come afferma l’apostolo Paolo, «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo» ( 1 Corinzi, 12, 13). Il punto di partenza, nel corpo ecclesiale, è questo e nessun altro: il battesimo. Da esso, nostra sorgente di vita, deriva l’uguale dignità dei figli di Dio, pur nella differenza di ministeri e carismi. Per questo, tutti sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Se manca una reale partecipazione di tutto il popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare “pie intenzioni”. È necessario allora andare alla sostanza di una Chiesa sinodale aprendo un dialogo vero tra battezzati, tra credenti che camminano nella storia di oggi, tra sacerdoti e laici, tutti consapevoli del comune battesimo (che tristezza vedere ancora, in piena crisi delle vocazioni sacerdotali, parroci che si atteggiano, magari involontariamente — l’espressione è del Papa — a “padroni della baracca”). Se ci si incontra, se si accoglie e ascolta, se si guarda la realtà, non è solo per noi ma per i tanti fratelli e sorelle che abbiamo intorno. Non è facile e molto spesso chiede di cambiare mentalità. Ma che paura dovremmo avere se cambiamo sulla parola del Vangelo?

La Chiesa non può separarsi dalla vita, così come non può non farsi carico delle gioie e dei dolori di questo tempo. E deve farlo con lo stile di Dio: “vicinanza, compassione e tenerezza”. Il Papa ci invita ad abbandonare gli ancoraggi rassicuranti alle nostre idee e dei nostri gusti personali e propone una citazione: «Il padre Congar, di santa memoria, ricordava: “Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa” (Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano, 1994, 193). E questa è la sfida».

Ora la palla passa al livello diocesano, dove si può concretamente incontrare il “popolo cristiano” nella sua dimensione ordinaria.

È questo il terreno più difficile, ma forse quello dove si gioca la sfida decisiva. Infatti, la possibilità di coinvolgere i soggetti pastorali che operano concretamente sul territorio (dalle parrocchie alle associazioni), ma anche la bella possibilità di interpellare liberamente le persone — praticanti e non — in una riflessione schietta sulle “ansie e speranze” in relazione alla proposta cristiana e alla vita delle comunità ecclesiali. Analogamente si apre l’opportunità di un dialogo con le Chiese protestanti e ortodosse e con le comunità di altre religioni, coinvolgendo anche loro in un percorso di ricerca circa il futuro della dimensione religiosa, oltre che del dialogo ecumenico e interreligioso.

di Ernesto Preziosi