La buona Notizia Il Vangelo della festa del Battesimo del Signore (Luca 3, 15-16.21-22)

La chiave che apre il cielo

04 gennaio 2022

Il tempo di Natale si conclude con una scena che evidenzia il realismo dell’incarnazione: Gesù in fila con i peccatori lungo le rive del Giordano per ricevere il battesimo. Il Dio fatto uomo vive in pienezza la vita del suo popolo e lui, che è il santo, pur non avendone bisogno, partecipa ad una prassi penitenziale, segno che nulla di ciò che è umano è estraneo a lui.

Luca apre la pagina del suo Vangelo partendo dall’attesa che abita il cuore del popolo (cfr. Lc 3, 15). Cosa ci si aspetta? Una visita speciale? Una risposta al proprio desiderio di salvezza? Di certo un’attesa che si innalza verso Dio non resta mai incompiuta. Con occhi e orecchi aperti sul mondo Dio, infatti, segue i ritmi della storia, ascolta i palpiti del cuore umano, mette le mani in pasta, fa sentire la sua vicinanza. Da sempre non si risparmia nel dispiegare la sua infaticabile arte della prossimità e manda i suoi collaboratori a dissodare i terreni dell’interiorità e a seminare il risveglio.

Giovanni Battista è un uomo che sa di Dio, che attrae a sé ma solo per muovere i cuori e sollecitarli al ritorno. Per molti potrebbe essere il Cristo tanto atteso, ma Giovanni sa bene chi è, non confonde i piani, le opere, le missioni. È un uomo libero da se stesso che non ha nulla da difendere, ha talmente poco che non deve fare alcuno sforzo per custodirlo. Ha solo la sua vita che grida, che invita a prepararsi a un incontro e a decidersi per la giustizia. La forza di Giovanni sta nell’amministrare un battesimo di acqua che provoca alla conversione. Lui non è il Cristo, ma è colui che sa presentarlo agli altri come il Messia venuto a conferire un battesimo di fuoco che purifica e trasforma radicalmente le vite.

Giovanni sa di essere semplicemente un tramite, uno strumento, un intermediario, colui che avvicina gli altri a Cristo e mentre ne parla, ecco che l’Atteso si fa vedere, gli viene incontro. Non attende di essere trovato, ma lui stesso si muove verso Giovanni e verso quanti ricevono il suo battesimo. Il Dio che «è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19, 10) comincia la sua missione proprio in mezzo ai perduti. È lì che il Forte si fa trovare: tra i deboli. Cristo si manifesta tra chi si riconosce peccatore, senza far sfolgorare la sua santità ma facendola scendere con lui nelle acque limacciose del fiume Giordano.

Le acque in cui si sono immerse le pecore accolgono il pastore e vengono da lui santificate. Così il pastore s’impregna dell’odore delle pecore e lo fa salire al Padre. Al momento del suo abbassamento i cieli si aprono e non c’è più separazione: la terra ha accesso al Cielo e il Cielo può comunicarsi alla terra. L’odore delle pecore sale al Padre per mezzo di un pastore compassionevole che non umilia il gregge con giudizi violenti, ma lo innalza con sé per sottrarlo alla dispersione, abbracciarlo e rigenerarlo con tenerezza.

Entrato nelle acque, il Figlio prega. Dialoga amorevolmente con il Padre suo, intercede per il popolo numeroso dei perduti per i quali egli ha un debole e… il Cielo si apre. La preghiera del Figlio è la chiave che spalanca il cuore del Padre, lo fa battere forte e piove abbondante la grazia dall’alto. Risuona sulla terra la voce del Padre, fiero dell’umiltà del Figlio: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3, 22).

Il Padre parla al Figlio e offre a noi il lieto annuncio con cui si compie il tempo di Natale: la vita di fede non è un’impresa titanica ma un lasciarsi raggiungere in profondità dall’amore del Padre manifestato nel Figlio, è vita filiale che si consolida nella preghiera, chiave che apre ogni porta. A noi che riprendiamo il cammino del tempo ordinario tocca ora far fruttificare la ricchezza del nostro battesimo rimanendo nell’amore nel quale siamo stati immersi e lasciando che questo amore emerga da ogni nostro gesto e da ogni nostra parola.

di Rosalba Manes