A 130 anni dalla nascita di Tolkien

L’epica del Novecento

03 gennaio 2022

In un saggio su Lovecraft Michael Houellebecq, si lascia sfuggire questa “profezia”: «Probabilmente, una volta dissipate le nebbie morbose delle avanguardie molli, il ventesimo secolo rimarrà l’epoca d’oro della letteratura epica e fantastica». Al di là del tono urticante c’è del vero nell’azzardo del romanziere francese e la figura di Tolkien ne è la più emblematica conferma. Nato esattamente 130 anni fa, J.R.R. Tolkien a metà del Novecento ha composto le sue saghe sugli Hobbit della Terra di Mezzo, con “meticolosità da storico” e in particolare Il signore degli anelli, che secondo alcune statistiche è il libro più letto al mondo dopo la Bibbia.

Con Tolkien in effetti il genere epico e fantastico, che è il primo genere della storia della letteratura, ritorna in auge dopo essere quasi scomparso dai radar a partire dalla fine del Cinquecento. Il suo è un romanzo epico del Novecento, ed è, ormai si può dire, un classico. Anche nel senso calviniano per cui un classico è quel testo che non ha finito di dire quello che ha da dire. Già oggi possiamo usare l’aggettivo “tolkieniano” così come si può dire “kafkiano” o “felliniano”.

Lo schivo professore di filologia a Oxford ha piantato le sue radici nel cuore del Novecento ed è destinato a restarci a lungo. Anche perché non è attuale, non lo è mai stato, ma è profetico. Se infatti il Novecento è il secolo della morte di Dio e dell’avvento del super-uomo, Tolkien con la sua più grande invenzione letteraria, gli Hobbit, ci dice che il super-uomo non ci salva perché chi ci salva può essere solo il mezzo-uomo (e la sua umiltà).

di Andrea Monda