DONNE CHIESA MONDO

Tribuna

La mia Santiago
senza zaino in spalla

 La mia Santiago   senza zaino in spalla  DCM-003
05 marzo 2022

Il pellegrinaggio chiede mobilità, e la mia è molto limitata. Amiche e amici hanno fatto in questi anni tutto o in parte il cammino di Santiago, io sono arrivata a Santiago in aereo. Non mi vergogno però. La famosa conchiglia che garantiva ai pellegrini di un tempo di raccogliere l’acqua dai fiumi per potersi dissetare e venduta per la gioia dei turisti in tutti i negozietti della città, è appesa su una delle pareti del mio studio: è memoria di quello che anch’io ho sperimentato arrivando in quella piazza ed entrando in quella maestosa cattedrale che domina nel cuore della città. Perché, se è vero che il pellegrinaggio chiede gambe e sudore, è anche vero, però, che non è jogging e i pellegrini non sono dei runner.

Tutte le religioni hanno fatto del pellegrinaggio un caposaldo della prassi di fede. La storia anche solo dei pellegrinaggi cristiani ci fa vedere, però, che mai le motivazioni che spingono intere masse di uomini e donne a mettersi in cammino sono univoche né, tanto meno, univocamente religiose. Il pellegrinaggio è un fenomeno complesso come tutti i fenomeni che appartengono alla sociologia religiosa. Resta, però, un fenomeno religioso. E richiede una mèta religiosa, sia essa una città come Gerusalemme o La Mecca, oppure un santuario. Non è un muoversi per muoversi, ma un andare verso un preciso luogo a cui si riconoscono forza attrattiva e al contempo propulsiva, alone mistico, credito morale incrementatosi nel tempo.

Per questo anche per me andare a Santiago è stato, comunque, un pellegrinaggio: l’emozione di trovarsi di fronte a quell’imponente basilica che i secoli hanno reso luogo di riferimento per generazioni di uomini e donne in cerca del proprio Dio; la commozione di mettersi in fila per fare il gesto che suggella l’arrivo e l’ingresso in quel luogo santo, cioè poggiare la mano sulla colonna che regge la statua di San Giacomo, e dall’incavo creatosi nel marmo capire che milioni e milioni di altri pellegrini hanno fatto prima di te quello stesso gesto; gustare il buio e il silenzio, che solo il suono dell’organo può permettersi di fendere, e capire che non sei lì come turista, ma come pellegrino alla ricerca di un Dio che sempre ti precede; restare incantati dal realismo del botafumeiro, il gigantesco incensiere la cui sofistica meccanica ha permesso che con il suo fumo profumato non rendesse soltanto gloria all’Altissimo, ma assicurasse anche che il puzzo delle migliaia di pellegrini non rendesse impossibile respirare. Ed avere la netta percezione che qualsiasi pellegrinaggio altro non è se non figura e metafora del fatto che «non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (Lettera agli Ebrei 13,14).

di Marinella Perroni
Biblista, Pontificio Ateneo S. Anselmo