I cristiani indiani di fronte alle aggressioni subite durante le festività

Sopportare la violenza predicando la speranza

Christian devotees offer prayers at the Church of Our Lady of Light on the eve of Christmas in ...
28 dicembre 2021

Rispondere al male con il bene. Sopportare la violenza e l’odio, predicando la speranza e testimoniando la carità nella società. Scossa dalle aggressioni subite, ma salda nella fede, la comunità cristiana in India replica con mitezza evangelica all’ondata di violenza che l’ha colpita negli ultimi giorni, proprio in concomitanza con la festività del Natale, in diversi territori della vasta nazione asiatica.

«Il Natale è la nostra certezza, la compagnia di Dio che cammina con noi. Il Signore ha già vinto e consola gli uomini nella sofferenza, scaccia ogni tristezza. Il Natale è la sconfitta del male», commenta il gesuita indiano Cedric Prakash, attento osservatore della condizioni in cui vivono i fedeli in quella che orgogliosamente si definisce «la democrazia più grande al mondo», con oltre 1,3 miliardi di cittadini. Padre Prakash, che da anni monitora i casi di violenza sui cristiani indiani, circa il 2 per cento della popolazione, rileva che «negli ultimi tempi soprusi sulle comunità di fede sono avvenuti con spaventosa regolarità in tutta l’India, in particolare negli Stati governati dal Bharatiya Janata Party».

Tra gli episodi più scioccanti, ad Agra, nello Stato di Uttar Pradesh, alcuni estremisti indù hanno bruciato immagini natalizie all’esterno di una scuola cristiana. E nel centro di preghiera Matridham Ashram, nella diocesi cattolica di Varanasi, sempre in Uttar Pradesh, un gruppo di militanti ha assediato e intimorito una celebrazione natalizia gridando slogan come «morte ai missionari». In Assam, Stato dell’India orientale, la notte di Natale due estremisti hanno fatto irruzione in una chiesa presbiteriana, interrompendo le celebrazioni e chiedendo a tutti gli indù, presenti per spirito di condivisione interreligiosa, di lasciare l’edificio. Nello Stato settentrionale di Haryana, la notte della vigilia, un concerto natalizio di ragazzi è stato interrotto con l’accusa di usare i tradizionali carols come “strumento di conversione religiosa”. Nel medesimo Stato, il giorno di Santo Stefano, una statua di Cristo è stata distrutta e la chiesa cattolica del Santo Redentore ad Ambala è stata oggetto di atti vandalici, con grande sconcerto dei padri redentoristi. Questi ed altri casi di aggressioni, secondo padre Prakash danno la cifra di «una campagna ben orchestrata per denigrare e demonizzare i cristiani, spesso condotta con finalità politiche». La campagna, rileva il gesuita, ha il pericoloso effetto di «polarizzare la società su base religiosa, dividendo la maggioranza indù dalle altre comunità di fede, come quelle cristiane o musulmane».

Alla radice vi è lo spauracchio delle cosiddette “conversioni forzate”, del presunto proselitismo condotto da comunità cristiane che vivono la loro vita di fede alla luce del sole, che agiscono per il bene della società con opere di carità senza alcuna discriminazione o distinzione di casta. È il caso delle missionarie della carità, la congregazione religiosa fondata da Madre Teresa di Calcutta, che due settimane fa hanno subito una denuncia con l’accusa di «aver attirato ragazze al cristianesimo e ferito sentimenti religiosi indù», e che hanno visto non ancora rinnovata l’autorizzazione ad operare a livello economico e finanziario come ente di carità riconosciuto. Rileva perplesso padre Prakash che «tra l’altro si fomentano timori infondati, sostenendo che la popolazione cristiana sia in aumento mentre le statistiche lo smentiscono», osserva. E mentre lo Stato del Karnataka nei giorni scorsi ha approvato una legge per vietare le conversioni religiose, tale provvedimento rischia di provocare ulteriori tensioni interreligiose. In tali difficoltà, i cristiani continuano ad annunciare e vivere il Vangelo di Cristo, il Dio-con-noi.

di Paolo Affatato