Davvero Gesù nacque in una grotta di fortuna perché nessuno volle ospitare Maria e Giuseppe?

La Mangiatoia venerata a Betlemme

23 dicembre 2021

Quando si leggono i due racconti evangelici del Natale (Matteo e Luca) e li si confronta da un lato con la tradizione (davvero antichissima) della Grotta della Natività a Betlemme, e dall’altro coi resti delle semplici abitazioni del tempo sui rilievi collinari di Terra Santa, si può restare sorpresi: al punto da guardare in un modo nuovo al Natale (e – perché no – anche fare il Presepio in un altro modo).

Scorrendo le pagine di Matteo, ci si imbatte subito in due notizie: una che riguarda il tempo, l’altra il luogo. I Magi videro il piccolo re quando poteva avere da pochi mesi a due anni. E lo videro «entrando in una casa» (Mt 2, 11). Si parla espressamente di una casa della città di Betlemme: in essa si trovavano Giuseppe, Maria e il bambino, dove vivranno per un discreto periodo. Tuttavia Matteo non parla delle circostanze della nascita, sarà Luca a soffermarvisi: essendo Giuseppe discendente di Davide, il suo clan familiare era nella città di Betlemme. Lì a Betlemme, mentre già erano in città, si compirono per Maria i giorni del parto.

Dunque erano già in città quando Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia» (Lc 2, 7). Qui, alla descrizione dei gesti di Maria, l’autore fa seguire il motivo per il quale la coppia di sposi si trovasse, per il parto, in un ambiente munito di mangiatoia per animali: «perché per loro non c’era posto nel katályma».

Prima di approfondire questa parola greca che riveste qui un ruolo chiave, bisogna notare che alle azioni di Maria dopo il parto corrispondono perfettamente, nel Vangelo di Luca, le azioni svolte da Giuseppe d’Arimatea alla sepoltura di Gesù. Nacque come morì: le circostanze in cui Maria e Giuseppe si trovarono resero profetico questo gesto. Nel suo Natale si intravede già la sua Pasqua. A un banco funebre scavato nella roccia corrisponde il ripiano della mangiatoia scavata nella roccia.

Ma a cosa ci si riferisce con la parola greca katályma? Il katályma è un ambiente che prende il nome dalla sua funzione: l’accoglienza, cioè, degli ospiti. L’evangelista Luca usa questa parola con grande coerenza: è la stanza al piano superiore nella quale, ospitato da un amico benestante di Gerusalemme, Gesù mangerà la Pasqua coi suoi discepoli, così come, quando l’evangelista vuole riferirsi invece a un albergo o a una locanda nella celeberrima parabola del Buon Samaritano, usa il vocabolo pertinente pandochéion.

L’aver partorito, dunque, e deposto il bambino in una mangiatoia scavata nella roccia — che evidentemente si trovava in un vano per animali, in una grotta — non deve necessariamente implicare che non ci fu ospitalità per loro a Betlemme. Essi si trovavano già in città prima del parto, come Luca afferma, e sono in una casa nei mesi successivi alla nascita, come afferma Matteo. Qual è allora il motivo di questo parto in grotta e di questa deposizione in una mangiatoia per animali, profezia della Pasqua? Per l’epoca evangelica, specialmente in ambienti rurali di collina, non era affatto raro che le case, molto semplici, si articolassero tra ambienti in muratura all’esterno e vani più interni, anche sotterranei, che sfruttassero cavità naturali, grotte. Probabilmente, quindi, fu per l’osservanza della Legge mosaica e del comune pudore che Maria e Giuseppe furono profetici per il bambino: si ritirarono nel vano degli animali — non il massimo, ma di certo caldo e riservato — per mettere al mondo Gesù.

La conoscenza della Grotta in cui Gesù nacque si trova già in S. Giustino, nel suo Dialogo con Trifone (160 d.C. ca.). La Grotta venerata a Betlemme è pure menzionata nell’apocrifo Protovangelo di Giacomo. In questi scritti, a metà ii secolo d.C., che si afferma che la Grotta si trovava fuori dal villaggio, ma ad esso «molto vicina» (Giustino, Dialogo con Trifone 78, 5). Certamente quindi, verso il 150 d.C., la Grotta e la Mangiatoia tramandate dalle prime generazioni cristiane si trovavano fuori dall’abitato di Betlemme..

La ricerca archeologica, condotta più di cinquant’anni fa da padre Bellarmino Bagatti nelle grotte sottostanti la basilica della Natività a Betlemme, ha potuto osservare e descrivere la precoce vocazione funeraria ( ii-iv secolo d.C.) delle grotte adiacenti alla Grotta venerata: sepolture privilegiate, vicinissime al Luogo Santo della Natività, che si ebbero già molto prima della costruzione della basilica costantiniana.

La Grotta della Natività con al suo interno, sulla parete di fondo, la Mangiatoia (così come era in origine, quando vi si accedeva da oriente, dal declivio della collina), poteva far parte in epoca evangelica di un ambiente domestico che collegava sottosuolo e superficie?

E fu questa la medesima casa nella quale i Magi entrarono per incontrare il re bambino?

Forse, in questo particolare caso, i Vangeli, le memorie dei Luoghi Santi e l’archeologia, hanno ancora molto da dirci.

di Amedeo Ricco