Il divino si incarna nell’uomo per trasfigurarlo e risvegliarlo alla vita eterna

Il mistero che salva

 Il mistero che salva   QUO-292
23 dicembre 2021

Il mistero dell’incarnazione, su cui il tempo di Avvento invita a riflettere, riguarda un processo in atto che investe l’intera umanità. Dal momento in cui ha raggiunto il suo pieno compimento attualizzandosi nella divina umanità di Gesù, è divenuto concreta potenzialità della vita umana. Ogni uomo e ogni donna, che lo sappiano o no, che lo desiderino o restino del tutto indifferenti, ne sono investiti. Il tempo liturgico, di anno in anno, tiene sveglia la memoria affinché il mistero dell’incarnazione e gli eventi della vita del Verbo incarnato, rimangano attivi, dinamici nella psiche e nello spirito. Solo rimanendo vivi divengono efficaci in coloro che si aprono a contemplarli.

È così che tempo storico e tempo liturgico si intersecano e accelerano il tempo escatologico, spingono verso la pienezza, a volte anche con passaggi forti, catartici. È importante mettere a fuoco questo intrecciarsi di tempi che attraversa la nostra vita e trasforma gli automatismi di destini considerati ciechi perché assuefatti all’inganno che domina il tempo storico e la sua falsa coscienza. Ma l’azione dello Spirito Santo, che passa attraverso il tempo liturgico, escatologico e catartico, rompe gli anelli delle catene e fa della ineluttabile necessità, un tempo necessario alla crescita umana, un tempo di prova e di esperienza attraverso cui ogni singolo è invitato a intraprendere quel cammino di verità capace di smascherare l’inganno.

C’è una grandiosa opera spirituale in corso tesa a smuovere i cardini più ossificati della storia. A prima vista sembra che in duemila anni sia cambiato poco o niente, che come dice Qohelet non ci sia «nulla di nuovo sotto il sole» (Qo 1, 9). In realtà quel regno annunciato da Gesù è in costante espansione e la comunione dei santi abbraccia in unico corpo tutti coloro che si aprono alla Buona novella. Questo salva il mondo da se stesso, dalla sua tendenza autodistruttiva che, in nome di una falsa illusione di autosufficienza, lo porterebbe all’annientamento. In duemila anni, i risorti in Cristo costituiscono quel regno invisibile dell’amore che deve venire, ma che intanto già pervade la terra e unisce fra loro tutti i viventi, siano già trapassati o ancora quaggiù. La luce dei santi mai si spegne e tiene aperto l’orizzonte seppure i ciechi non la possano vedere.

Ma chi vede, vede per tutti, cosicché l’oscurità non potrà mai permettere all’inganno di sopraffare la luce della verità. C’è sempre un occhio illuminato che irradia luce e salva il mondo da se stesso e dalla sua cecità, altrimenti la morte avrebbe preso il sopravvento sulla vita, cosa che tradirebbe la promessa.

Mistero dell’incarnazione e mistero della risurrezione rinviano al medesimo evento: il divino si incarna nell’umano per trasfigurarlo e risvegliarlo alla vita eterna perché la verità genera vita, mentre l’inganno genera morte.

E l’inganno supremo che tiene incatenato il mondo al suo falso potere è proprio quello di far credere che la vita finisca con la morte fisica. Mistero dell’incarnazione e mistero della risurrezione appartengono al medesimo registro, annunciano la vita eterna. Più il tempo storico è oscuro, più l’inganno impera, ma altrettanto di più si accelerano i tempi escatologici, si accelera l’opera della luce che scardina per dilatare le menti e le coscienze e che certe volte ha anche bisogno di provocare qualche scossone per risvegliare. Meglio sarebbe però risvegliarsi prima di toccare il fondo. Il tempo liturgico, tenendo accesa la memoria, invita a guardare verso l’orizzonte aperto per favorire la presenza della luce e diradare le tenebre che continuamente tentano e deviano. Il Natale invita a riposare nella pace del regno dei cieli che già attraversa la terra. A vivere il silenzio che aiuta a sostare nella comunione degli angeli e dei santi. A gustare la beatitudine della pienezza come neonati in braccio alla loro madre. Rinati alla vita dello Spirito che cura, consola, santifica.

Di fatto all’inizio dell’Avvento, il tempo liturgico colloca la festa dell’Immacolata Concezione e propone il passo dell’Annunciazione, associando insieme concezione immacolata di Maria, e concezione immacolata di Gesù per opera dello Spirito Santo. Nel brano lucano l’angelo Gabriele saluta Maria con il titolo di “piena grazia”. È questo titolo che fa dei due eventi un evento unico. L’angelo Gabriele, il cui nome in ebraico vuol dire il “forte di Dio” appare all’anima fortificata nello Spirito. Maria incarna la totale fedeltà alla alleanza che implica la liberazione dal potere degli idoli. Una fedeltà stabile, sostenuta dalla grazia. Pura, innocente, ma consapevole. Una fedeltà semplice che riconduce allo stato originario, maturato però attraverso quel lungo cammino che riguarda la storia della salvezza. La vergine fanciulla di Nazareth costituisce questo punto di arrivo predisponendo la svolta. Il concepimento immacolato del figlio di Dio ad opera dello Spiro Santo, richiede lo stato di grazia, presuppone che la coscienza faccia proprio lo stato originario di profonda unione con Dio.

Affinché la vita del verbo cominci a incarnarsi in noi è necessario predisporsi all’azione dello Spirito Santo che sempre concepisce la vita immacolata e ci aiuta a ricordare che siamo sempre nell’in principio, nell’attimo in cui Dio crea la sua creazione. Contemplare la nostra propria concezione immacolata ci riconcilia all’innocenza originaria. Fa riscoprire il mistero della bellezza, scioglie paure e inganni. È come un tuffo nell’amore puro che eternamente genera amore e lo genera anche dentro di noi. Contemplare la nostra origine, seppure obliata nella memoria, riaccende il desiderio dello Spirito Santo, fa sentire la nostalgia verso la luce da cui proveniamo. Rende possibile al Verbo, all’atto creativo che ci ha generati e ha impresso il suo sigillo nel nostro cuore, di prendere campo nella nostra umanità, di manifestarsi nella vita di tutti i giorni, attraverso pensieri ed azioni conformi alla sua misura.

Incarnare il Verbo, non richiede perfezione, sforzi di volontà, ma abbandono, resa, nudità. Chiede di stabilire un rapporto semplice, vero con Dio, di custodire nell’intimo la presenza viva di Gesù. Implica umiltà, quella affabilità di chi cede e si affida. L’incarnazione del Verbo è dunque un processo in atto nella storia che rende possibile al divino di attecchire nell’umano, di promuovere la santificazione della vita ordinaria, la liberazione dallo spirito malato del mondo. Attendere il Natale significa aprirsi alla meraviglia, alla luce, alla bellezza, all’azione efficace di questo processo in atto che ci invita a nascere alla vita dello Spirito e fa nuove tutte le cose.

di Antonella Lumini