Francesco abbraccia la famiglia afghana appena giunta da Lesbo

Finalmente Amir

 Finalmente Amir  QUO-291
22 dicembre 2021

Davvero un viaggio del successore di Pietro non finisce mai. E così stamani in Aula Paolo vi , all’udienza generale, la visita nel campo profughi di Lesbo è proseguita con l’abbraccio — particolarmente atteso da Francesco — con Amir Ali, il bambino di un anno e mezzo che aveva incontrato lì il 5 dicembre e che lunedì 20 è arrivato in Italia, con la sua famiglia (sono afghani di etnia tagika), attraverso l’accordo concordato con le diverse autorità.

Venerdì scorso, incontrando nel Palazzo apostolico un primo gruppo di una decina rifugiati, il Papa aveva chiesto espressamente notizie di Amir. E stamani l’abbraccio è stato particolarmente caloroso. Con lui, i due fratelli, la sorella e i genitori.

Per Amir sono già pronte le carte per il ricovero all’ospedale pediatrico Bambino Gesù dove oggi stesso, dopo l’incontro con il Pontefice, sarà ricoverato per un intervento che, finalmente, risolverà la malformazione del palato con la quale è nato.

Mamma Zahra, giovanissima, non perde un attimo di vista Amir e gli altri tre figli: ha voluto fortemente, con tutta se stessa, «esaudire la speranza» per la sua famiglia. Sì, proprio «esaudire la speranza».

Porta con sé, e le mostra con le lacrime agli occhi, le fotografie delle persone con le quali ha vissuto 3 anni nel campo di Mavrovouni a Lesbo. Gli occhi di queste donne e di questi uomini ritratti negli scatti sono il simbolo stesso della disperazione. «Tre anni» ripete Zahra. Un tempo «infinito» che avrebbe potuto inghiottire la sua speranza. E invece no, con la forza di una donna, la forza di una mamma, Zahra ha lottato davvero «contro ogni ostacolo» che si è frapposto alla tenace speranza che costruiva e ri-costruiva coraggiosamente, ora dopo ora, minuto dopo minuto, per la sua famiglia.

Per la famiglia è già pronto un appartamento ed è stata anche elaborata la strategia educativa per l’inserimento scolastico dei figli. Per imparare la lingua italiana, anzitutto. E poi sarà il momento di trovare un lavoro. Per ri-iniziare a vivere.

«Benvenuti» ha detto a questa famiglia il Pontefice nell’appello lanciato durante l’udienza (pubblicato integralmente in questa pagina). «Durante il mio viaggio a Cipro e in Grecia ho potuto toccare con mano, ancora una volta, l’umanità ferita dei profughi e dei migranti» ha proseguito Francesco. E, come “frutto” di quella visita, «grazie alla generosa apertura delle autorità italiane, ho potuto portare a Roma un gruppo di persone, che ho conosciuto durante il mio viaggio: oggi sono qui in mezzo a noi alcuni di loro. Ce ne faremo carico, come Chiesa, nei prossimi mesi». Un «piccolo segno», certo. Ma servirà «da stimolo» per ciascuno, a ogni livello.

E tutto è nato dal viaggio del successore di Pietro. Un viaggio che, evidentemente, non è finito il 6 dicembre ma continua nelle storie dei più fragili.

di Giampaolo Mattei