Con il metodo Del Giudice

Misurare la distanza

 Misurare  la distanza  QUO-284
14 dicembre 2021

«Quando passiamo nel pezzo stretto tra le rocce e il mare, all’uscita dalla città — scrive Daniele Del Giudice in Lo stadio di Wimbledon (Torino, Einaudi 2021) —, una sciabolata di luce abbaglia il finestrino, e per un istante disegna a terra i contorni delle cose. Ho guardato fuori il faro, bianco e monumentale: si poteva immaginare la traiettoria di quel lampo fino agli occhi del mare (…). Il navigante segue il faro calcolando continuamente la distanza; è un buon modo, credo, quello di avvicinarsi alle cose misurando sempre quanto se ne è lontani». Avvicinandoci al mare d’inverno, tema di questo numero di «Quattro Pagine», e alle sue due possibili declinazioni, proviamo ad applicare il metodo Del Giudice.

Avvicinandoci innanzitutto a coloro che, anche nella stagione più impervia, solcano l’acqua per tentare di sfuggire alla disperazione verso un futuro migliore. Lo ha fatto, molto recentemente, Papa Francesco nel corso del suo ultimo viaggio apostolico: ed è proprio il racconto di Silvina Pérez, inviata di questo giornale a Cipro e in Grecia, ad aprire «Quattro Pagine» con la storia di tre ragazzini (12, 14 e 15 anni) confinati a Lesbo, isola amata dalla letteratura greca antica e oggi volutamente dimenticata dall’Europa e dal mondo. Con Silvia Camisasca ascoltiamo quindi le parole di Elena Carletti, assistente sociale dell’ufficio immigrazione del comune di Bari, perché le partenze dalla Libia proseguono nei mesi più freddi. Assieme ai migranti, il mare d’inverno viene solcato però anche dai marinai, come emerge da tante pagine di letteratura, tra le quali Silvia Gusmano ha scelto di ripercorrerne alcune provenienti dall’emisfero nordico (tra gli altri, Einar Kárason e Björn Larsson).

Oltre che solcato, il mare d’inverno può essere osservato dalla riva, nutrendo la riflessione, grazie anche al silenzio e a tanti dettagli. Accanto ai colori e ai suoni diversi rispetto a quelli dell’estate, Giulia Alberico del suo mare d’Abruzzo («fatto di roccia e sassi, trabocchi e piccole baie») tratteggia l’odore che muta: «Sa di amaro, di legno delle barche riparate nelle rimesse, di erba tagliata». È invece Enrica Riera a ricordarci un racconto poco conosciuto di Pier Vittorio Tondelli, Il mare d’inverno appunto (1989), una sorta di summa delle tematiche che stavano a cuore del ragazzo di Correggio — il senso di precarietà, il sentimento d’attesa e un segnale di speranza per emarginati, scartati, rifiutati e senza bussola. Chiude il cinema: Cristiano Governa veleggia tra Fellini, Valerio Zurlini, Matteo Garrone, Mike Leigh e Gabriele Salvatores, senza dimenticare quella «bella e misteriosa canzone» di Enrico Ruggeri portata al successo da un’ispirata Loredana Bertè.

Avvicinandoci al mare d’inverno, ascoltandone i racconti, cerchiamo però di tenere sempre a mente il metodo Del Giudice. Calcolando continuamente la distanza, misurando quanto ne siamo ormai lontani, avremo forse la consapevolezza che essa è diventata veramente tanta. Troppa per definirla solo in termini di pigrizia o ignavia.

di Giulia Galeotti