Il cardinale Parolin chiude le celebrazioni giubilari nel santuario mariano

Tra preghiera e carità, a Loreto ci si sente sempre a casa

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11 dicembre 2021

Resta spiritualmente più spalancata che mai — tra «preghiera e carità» — la porta della “Santa casa”, chiusa solennemente nel pomeriggio di venerdì 10 dicembre dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, a conclusione del Giubileo lauretano. Con lui l’arcivescovo Fabio Dal Cin, prelato di Loreto e delegato pontificio per il santuario.

Il porporato, che aveva aperto la porta santa due anni fa (il Giubileo è stato infatti prorogato di un anno per la pandemia), ha anzitutto portato «il saluto e la benedizione del Santo Padre» che, all’Angelus dell’8 dicembre, proprio in riferimento alla celebrazione lauretana, aveva chiesto al Signore che questo Giubileo continuasse a «operare nella vita nostra e delle nostre comunità». Papa Francesco aveva inoltre associato la conclusione dell’evento giubilare a quella, pressoché concomitante, dell’anno dedicato a san Giuseppe.

E infatti a Loreto, ha fatto presente il cardinale, si avverte «un intimo senso di pace e di gioia: pace perché qui ci si sente veramente a casa e si è portati ad assaporare la fede e a vivere la preghiera in una dimensione familiare, in un clima domestico, in un’atmosfera lieta e consolante che rasserena il cuore». E si avverte gioia, appunto, per la conclusione del Giubileo lauretano Maria Regina et Janua Coeli, «pensando a quante persone, in questi due anni, hanno potuto beneficiare delle grazie di tale evento, concesso da Papa Francesco».

Il segretario di Stato ha espresso «vivo apprezzamento per l’opera che, specialmente nel difficile contesto pandemico, questo santuario ha offerto con continuità e vivacità, divenendo prezioso punto di riferimento per molte parrocchie, associazioni e gruppi». In particolare, Parolin ha ringraziato l’Aeronautica civile e militare. «Anche nel recente viaggio apostolico a Cipro e in Grecia — ha detto — l’effige della Madonna di Loreto ha accompagnato il volo del Santo Padre, occupando il consueto posto davanti alla sua postazione: continui ad accompagnare e proteggere lui, i lavoratori e i viaggiatori che solcano le vie del cielo».

«La casa di Nazaret, ambiente di vita della sacra famiglia, evoca le parole dell’angelo a Maria e la Parola stessa, Gesù, che in lei si è fatta carne» ha affermato il cardinale. «Ma richiama — ha aggiunto — anche il silenzio di san Giuseppe, del quale non risulta alcuna parola nei Vangeli. Sappiamo però che a quel tempo l’avere un padre, il portarne il riferimento nel nome, consentiva a un figlio di parlare e insegnare in pubblico. Per cui Cristo, il Verbo del Padre, entrato nel mondo attraverso il docile di Maria, ha potuto proferire parola grazie alla presenza silenziosa di Giuseppe».

«Docilità, disponibilità, silenzio: la santa casa ci porta a riflettere su queste disposizioni dell’animo che permettono al Signore di operare, non solo nella storia della salvezza, ma anche nella storia personale di ciascuno» ha proseguito il segretario di Stato. «Sorprende sempre — ha fatto notare — come l’evento che ha cambiato il corso del mondo sia avvenuto lontano dai riflettori, nell’umile dimora di un piccolo villaggio poco considerato». In effetti, l’angelo «non è sceso in piazza, non ha proclamato un annuncio solenne presso il tempio di Gerusalemme, ma si è recato, senza che alcuno lo sapesse, tra le mura di un’umile dimora».

La parola chiave, ha suggerito, è «semplicità: Dio ama la semplicità che noi spesso sottovalutiamo, in quanto stimiamo il valore di ogni idea e azione in base alla visibilità e ai risultati che ne conseguono». E la «semplicità emerge non solo dalla casa di Nazaret» ma anche nel dialogo tra Maria e l’angelo.

Forti di questo incoraggiamento, ha rilanciato il porporato, «accogliamo anche noi l’invito alla semplicità. La vita che trascorriamo ogni giorno è sicuramente complessa e così pure i tempi che viviamo. Eppure dobbiamo vigilare perché questa complessità non intacchi, oltre i ritmi e le giornate, anche il cuore».

«Appesantirsi di cose, affannarsi, è frammentarsi: è il rischio di perdere di vista l’essenziale» ha spiegato il cardinale Parolin. Ed ecco perché «il Signore insiste nel raccomandare, per quanto sta a noi, di farci una vita semplice, di dire no a ciò che è superfluo e inquina il cuore, per saper dedicare tempo a ciò che conta». Alla preghiera, anzitutto: «A volte, presi dagli affanni e dalla frenesia quotidiana, dedicare tempo al Signore, al silenzio, alla Parola, alla preghiera, pare un’impresa. Non solo per la mancanza di tempo, ma anche perché si ha l’impressione che non si sta facendo qualcosa di concreto». Eppure «è in questo “vuoto del cuore”, in questo “fare spazio dentro” che il Signore viene: molto meno nel frastuono, nella fretta, nelle corse».

Preghiera, ma senza «rinunciare al servizio» della carità. «L’eredità del Giubileo lauretano, mentre si chiude oggi la porta di questo tempio» — ha concluso il segretario di Stato — consista nel «lasciare fuori dalla soglia del cuore quelle attese vane e inutili, quei rimpianti e affanni che ci distolgono da ciò che conta, quelle preoccupazioni non animate dal bene, ma da tristezza e risentimenti che paralizzano il cuore».