Lettera del cardinale penitenziere maggiore Piacenza ai confessori in occasione del Natale

La guarigione passa attraverso il ministero della consolazione

 La guarigione passa attraverso  il ministero della consolazione  QUO-282
11 dicembre 2021

In un contesto storico come quello che l’umanità sta vivendo da due anni, proprio mentre la pandemia da Covid-19 rialza la testa, anche l’esperienza spirituale del «colloquio della confessione» può diventare un vero e proprio percorso di «guarigione». Lo scrive il cardinale penitenziere maggiore Mauro Piacenza in una lettera augurale in occasione del Natale inviata ai penitenzieri delle basiliche papali di Roma e a tutti i confessori. Il porporato li invita a guardare a Giovanni il Battista e a immedesimarsi con lui, ripetendo al mondo: «Ecco l’agnello di Dio».

«Con l’esercizio umile e fedele del proprio ministero», infatti, il confessore «indica al mondo che il Signore è presente». Ed è presente, sottolinea il porporato, come «abbraccio misericordioso, come amore e giustizia, come verità e grazia, come consolazione e tenerezza». Nel disorientamento contemporaneo, che «genera solitudine esistenziale talora drammatica», diviene «urgente e necessario» indicare, «con luminosa chiarezza, la presenza del Signore nel mondo, accanto agli uomini, come unico Salvatore».

Il penitenziere maggiore spiega che non appartiene alla fede cristiana un «dio estraneo» alle vicende umane, un «dio lontano». Infatti, il Signore ha scelto di «rivelarsi, di entrare nella storia, di divenire partecipe della vicenda umana, di salvarci dall’interno stesso di questa vicenda, permanendo nel tempo, attraverso il mistero della Chiesa e della sua identità ed azione sacramentale».

D’altra parte, evidenzia il cardinale, l’unicità salvifica di Cristo, «inclusiva del vero e del bene, presenti in modo seminale per via dello Spirito Santo in altre tradizioni religiose o culturali», è la condizione di possibilità e di realtà della salvezza: «Se Gesù di Nazareth non fosse l’unico Salvatore — puntualizza Piacenza — semplicemente non ci sarebbe salvezza».

Il ministero della riconciliazione è chiamato, perciò, ad «annunciare tale unicità salvifica», in circostanze nelle quali si moltiplicano le «grida disorientanti» e, paradossalmente ma realmente, «cresce negli uomini la sete di verità e giustizia, la sete di reale libertà e liberazione».

Oltre ad indicare la presenza dell’Agnello di Dio nel mondo, il confessore è chiamato a «immedesimarsi con tale Presenza», essendo «reso partecipe, per il sacramento dell’ordine, della potestà del Figlio nell’Uomo di “rimettere sulla terra i peccati” (cfr. Mc 2, 1-12)». Per questo, ciascun confessore prolunga, «nella e con la Chiesa, la missione stessa di Gesù: riconciliare gli uomini in Dio, nella giustizia e nella verità, che nel Padre si chiamano misericordia».

Non esiste missione più urgente per l’umanità, dato che «il male del mondo è sempre in certo modo legato al peccato». Per questo, non vi è niente di più utile e necessario che «liberare dal male compiuto», attraverso il ministero della riconciliazione.

D’altra parte, non è certo facile la missione del confessore che, «nel nascondimento dell’esercizio di questo prezioso ministero», è ignorato e perfino «attaccato da un mondo talmente secolarizzato da non comprenderne più la natura e le imprescindibili esigenze». In questo senso, egli sa bene di «partecipare alla sola autentica rivoluzione: quella della misericordia e del bene, della verità e della giustizia», cioè alla “rivoluzione dell’Amore” inaugurata da Gesù Cristo, il quale «ci ha rivelato che Dio stesso è Amore».

Nel fare riferimento a questa realtà, il penitenziere maggiore afferma che la conversione personale «all’Amore, che è la Persona di Cristo», costituisce il «solo necessario presupposto di ogni altra possibile conversione, sia ecclesiale sia sociale»: è il presupposto perfino di «ogni conversione pastorale». Al di fuori di una chiara prospettiva cristocentrica, ogni «promessa salvifica è utopia, distrazione funzionale al potere e menzogna che viene dal falsario». Infatti, solo la conversione personale a Cristo costruisce la Chiesa e il mondo.

Il cardinale ha poi esortato il confessore a essere attento e a esercitare la paternità nei confronti dei fratelli, con la consapevolezza che, ancor più in questo periodo, occorre esercitare il «ministero della consolazione», che è «solo un altro nome della misericordia». Quindi, ha concluso rimarcando che l’essere presenti e disponibili «sarà di incoraggiamento ai fedeli che vorranno accostarsi alla riconciliazione», perché la conversione avviene «solo per una presenza, mai per una assenza».