Francesco a Lesbo

Combattere l’indifferenza che uccide

07 dicembre 2021

Una bambina che chiede acqua, implora di avere un sorso d’acqua, una bambina che non si lascia intimorire dai soldati schierati, ma chiede, chiede per sé e per gli altri bambini. «Ho sete».

Un’immagine che si è conficcata nel cuore e speriamo che vi resti. Emblema di un’indifferenza che è penetrata nelle viscere più profonde dell’Europa e che da sola ci consente di reggere questa scena senza reagire.

Un’indifferenza che ci consente di restare in piedi di fronte a questa bambina senza che la pietà umana ci pieghi. Un’indifferenza che è il più terribile dei muri, molto più potente di quelli che si stanno alzando in Europa e nel mondo, perché è un muro che tiene fuori da noi la sofferenza dell’altro, anche di un bambino che chiede acqua. Così noi restiamo in piedi, difendiamo quello che abbiamo, non sentiamo il grido del fratello, nemmeno quando questo è una bambina.

«Ho sete». Forse siamo diventati di gomma, non più di carne? Acqua, un sorso d’acqua, il primo dei bisogni, dissetarsi. L’ultima richiesta di Gesù in croce. Papa Francesco a Lesbo: «Guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro…». «Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo».

Non ci commuove il bambino Gesù, ci straziano questi bambini, lasciati fuori dalle nostre case, dai nostri paesi... ci strazia questa bambina che chiede un sorso d’acqua, non un barile di petrolio! È con i guanti di velluto e un cuore di gomma che noi deponiamo Gesù bambino nella culla, se in questo Natale non sentiamo il cuore sanguinare di fronte ai bambini che muoiono di freddo nel gelo delle foreste del nord Europa o nelle gelide acque del mar Mediterraneo a dicembre.

Isola di Lesbo, Grecia, dove la civiltà europea ha le sue radici… «È un’illusione pensare che basti salvaguardare sé stessi, difendendosi dai più deboli che bussano alla porta. Il futuro ci metterà ancora più in contatto gli uni con gli altri. Per volgerlo al bene, non servono azioni unilaterali, ma politiche di ampio respiro». Cinque anni sono passati dalla visita di Papa Francesco: «Dopo tutto questo tempo constatiamo che sulla questione migratoria poco è cambiato... Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi…».

L’acqua non dimentica e non dimenticherà tutti i figli persi in fondo al mare. L’acqua non dimentica e non ci perdonerà tutte le promesse di arrivare… Sono le parole profonde e strazianti della cantautrice Erica Boschiero (da La memoria dell’acqua).

Ancora il Papa: «Non è alzando barriere che si risolvono i problemi e si migliora la convivenza. È triste sentir proporre, come soluzioni, l’impiego di fondi comuni per costruire muri, per costruire fili spinati».

La questione migratoria ha delle soluzioni concrete. Manca una volontà politica comune all’Europa. È quello che emerge dal libro Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa (edizione Nuova Dimensione). Vi è contenuta la storia della nostra famiglia che dal 2015 al 2020 ha vissuto insieme a sei ragazzi dell’Africa sub sahariana: due genitori (Nicoletta e Antonio) e 10 figli (Ibrahim, Andrea, Sahiou, Mohamed, Giovanni, Tidjani, Elena, Saeed, Siaka e Francesco).

Questa esperienza è diventata prima un laboratorio e poi un modello di accoglienza diffusa, partendo dal valore dell’interazione e della convivenza costruttiva, e scegliendo l’accompagnamento come azione costante per riuscire veramente a inserire questi ragazzi nel nuovo contesto.

«La paralisi della paura, l’indifferenza che uccide, il cinico disinteresse che con guanti di velluto condanna a morte chi sta ai margini! ... Occorrono azioni concertate» così sottolinea Francesco. Il modello di accoglienza diffusa elaborato è diventato un progetto europeo, “Embracin” (abbracciamoci).

Capofila di questo progetto è il Comune di Padova. Hanno aderito altri sei comuni di sei Paesi europei. Il progetto ha trovato l’approvazione della Commissione europea ed è già attivo a Cipro, in Grecia, in Italia, in Spagna, in Slovenia e in Svezia (La Germania è Paese osservatore).

L’intento è realizzare concretamente l’accoglienza diffusa in Europa. Papa Francesco, citando Elie Wiesel, fa sue queste parole: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti»

Il libro Si può fare dedica un capitolo di 22 pagine ai ringraziamenti, perché «ringraziare sembra un atto formale, ma se ci pensiamo attentamente è il modo più bello di comprendere che nella vita da soli non possiamo fare nulla... il grazie è un grande atto di umiltà e di riconoscimento».

Non è la singola famiglia che può risolvere il problema migratorio, ma è solo una comunità in dialogo e in ascolto dei più bisognosi che può avviare un processo di accoglienza reciproca, perché tutti potremmo essere migranti, tutto il mondo conosce il valore dell’ospitalità e tutti gli uomini vogliono sentirsi accolti per quello che sono. L’accoglienza non riguarda solo i migranti e profughi, ma è il tema della vita.

«C’è in gioco il futuro di tutti, che sarà sereno solo se sarà integrato. Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace» afferma Papa Francesco.

In un mondo globalizzato, fondato sulla comunicazione, è triste dover constatare che il tema dei migranti e dei profughi è sempre volto al negativo. La narrazione in questi anni ha trasformato queste persone in nemici. Intervengono sempre i ministeri degli Interni, della Difesa, degli Esteri, perché dobbiamo difenderci, dobbiamo respingere, c’è il pericolo di un’invasione, vengono minacciate le nostre identità…

C’è bisogno di una nuova narrazione. Il modello nato dalla nostra esperienza e che proponiamo all’Europa, fa vedere che l’accoglienza diffusa e l’inserimento graduale è una risorsa, e diventa un bene reale per tutti. «Chiusure e nazionalismi, la storia lo insegna, portano a conseguenze disastrose. Non si voltino le spalle alla realtà, finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria».

Romano Prodi scrive nella postfazione di Si può fare che il modello è «un laboratorio di esperienze... che tende a responsabilizzare chi accoglie in modo reale e concreto e richiede una grande consapevolezza della strada che si è scelto di seguire…».

Forse all’Europa manca proprio una visione aperta che includa l’altro. A Lesbo Francesco ancora una volta si è appellato alla nostra coscienza: «Contrastiamo alla radice il pensiero dominante, quello che ruota attorno al proprio io, ai propri egoismi personali e nazionali, che diventano misura e criterio di ogni cosa».

di Nicoletta Ferrara
e Antonio Silvio Calò