Le testimonianze di un ospite e di un volontario

Se una mano tesa in amicizia

 Se una mano tesa in amicizia  QUO-278
06 dicembre 2021

A presentare a Papa Francesco la quotidianità di Lesbo sono stati un rifugiato e un rappresentante della piccola comunità cattolica dell’isola.

Christian Tango Mukaya, 30 anni, rifugiato della Repubblica Democratica del Congo, è arrivato in Grecia, a Lesbo, il 28 novembre dello scorso anno. «Sono padre di 3 bambini piccoli: due sono con me, l’altro è con la madre ma non hanno avuto la possibilità di raggiungermi in Grecia e non ho più avuto loro notizie» ha detto a Francesco.

«Sono venuto per ringraziarla, prima di tutto, per la preoccupazione paterna e lo spirito di umanità che dimostra verso di noi, i suoi figli migranti e rifugiati, quelli che oggi sono a Lesbo, in Grecia, e poi in tutto il mondo. Che Dio La ripaghi cento volte!» ha detto a Francesco.

«Allo stesso tempo ringrazio il governo greco e il suo popolo — ha proseguito — perché con umanità mi ha accolto e concesso un po’ di pace, un alloggio e il necessario per sopravvivere, nonostante le difficoltà».

«Non posso dimenticare — ha aggiunto Christian — la parrocchia della Chiesa cattolica, la mia attuale parrocchia di Mytileni a Lesbo, che mi ha curato e amato come un bambino, nella quale prego il Signore nostro Dio».

«Ho affidato i momenti difficili a Dio» ha confidato. «Con la forza della preghiera e per l’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre e Madre della Chiesa, ho potuto superare le difficoltà che ho incontrato nella mia vita di rifugiato».

«Come rifugiato, lei lo sa meglio di me, sono un pellegrino — ha detto Christian — richiedente asilo, alla ricerca di un luogo e di un ricovero sicuro, della pace, della sopravvivenza per la mia famiglia e dell’educazione dei miei due figli, in seguito alla persecuzione e alla minaccia di morte nel mio Paese d’origine».

Al Pontefice ha raccontato le «difficoltà enormi incontrate per arrivare» a Lesbo. «Non posso descriverle tutte, ma grazie a Dio le abbiamo superate». E a Francesco ha chiesto «di pregare perché io e tutti i miei compagni rifugiati possiamo superare queste difficoltà, in modo da poter trovare un posto sicuro in Europa per il futuro delle nostre famiglie e specialmente per i nostri figli che hanno bisogno di una buona istruzione».

Ha preso poi la parola Len Meachim, in rappresentanza della comunità cattolica di Lesbo. «La ringraziamo per la sua presenza di nuovo qui tra noi, per essere al fianco dei nostri fratelli e sorelle rifugiati e migranti in tutto il mondo» ha detto al Papa. «Lei ispira e dà forza a quelli di noi, di tutte le fedi o di nessuna, che condividono» l’impegno di accoglienza. «I componenti della nostra piccola comunità cattolica, dapprima, si incontravano con altre persone di quest’isola, sulle coste, per aiutare coloro che avevano fatto il viaggio, spesso pericoloso, dalla Turchia». E «un uomo — ha raccontato Len — ci ha detto che la mano dell’amicizia tesa in segno di benvenuto ha significato per lui anche più del cibo e dei vestiti asciutti che gli abbiamo dato».

«In seguito abbiamo potuto estendere questa mano di benvenuto ai richiedenti asilo cristiani, per lo più provenienti dall’Africa occidentale, che sono venuti nella nostra chiesa parrocchiale» ha proseguito. «Credo che siamo stati benedetti dalla loro presenza: i nostri fratelli e sorelle hanno portato nuova vita nella nostra comunità, e non solo in termini di numero». Infatti, ha spiegato Len, «la forza della loro fede e della loro speranza, nonostante le sofferenze del passato e del presente, nonostante la loro ansiosa incertezza sul futuro, è stata un esempio per noi. Hanno arricchito la nostra fede con la loro gioia, il loro entusiasmo, la loro vitalità giovanile e la loro partecipazione attiva».

«La nostra comunità ha anche offerto sostegno materiale a coloro che chiedono asilo, a coloro a cui è stato concesso, a coloro che condividono la nostra fede e a coloro che non la condividono» ha fatto presente. «Essendo una comunità piccola, non avremmo potuto farlo senza il sostegno pratico degli amici sull’isola e il sostegno finanziario degli amici di altri luoghi. Siamo loro molto grati».

E, ha rilanciato Len, «siamo anche grati ai rifugiati stessi: avremmo ottenuto ben poco senza l’aiuto di alcune persone eccezionali tra loro; persone che sono fuggite dal loro Paese, uomini e donne, con o senza credi religiosi, ma tutti accomunati da una profonda compassione per i loro fratelli e sorelle; persone capaci, responsabili, con doti e qualità». Proprio loro «ci hanno offerto un aiuto inestimabile, un aiuto senza aspettative di ricompensa personale».

«I richiedenti asilo vengono qui con la speranza di una nuova vita, una vita degna di essere vissuta» ha concluso Len. «I nostri amici alla fine lasciano noi e quest’isola, continuando il loro viaggio. È mia profonda speranza che una mano di amicizia sia loro tesa e li sostenga quando raggiungono la destinazione finale, la “terra promessa”. La mia esperienza personale mi porta a una ferma convinzione: la convinzione che loro hanno tanto da offrirci, quanto noi abbiamo da offrire loro».