Le voci della nuova generazione di cattolici greci

Quando la “piccolezza” è un dono

06 dicembre 2021

Consapevoli di essere “piccoli” ma forse proprio per questo ancor più pronti a dare testimonianza della loro fede tra i coetanei. Sì, sono «ragazzi e ragazze, pieni di gioia e di entusiasmo, che hanno viaggiato da ogni angolo della Grecia e con ogni mezzo per vedere e ascoltare il Papa, per poi continuare con rinnovato slancio il loro cammino di fede». È così che li ha presentati a Francesco il responsabile della pastorale giovanile, il vescovo Petros Stefanou, all’inizio dell’incontro.

Sanno di essere un «piccolo gregge, disperso in piccole comunità: alcuni vivono e studiano in città dove non c’è una comunità cattolica» ha fatto presente. «Esperienze come gli Incontri panellenici dei giovani e le Giornate mondiali della gioventù sostengono l’entusiasmo e alimentano in loro la consapevolezza di trovarsi in un cammino di fede insieme a giovani di tutto il mondo e in comunione con tutta la Chiesa».

Per prima ha preso la parola Katerina Binibini, di origine filippina. «Dio mi è sempre stato accanto attraverso la mia famiglia e la Chiesa. Questo però non significa che non ci siano momenti di dubbio» ha raccontato. Alle prese con le questioni sul senso stesso della vita, Katerina ha confidato che «durante la pandemia la mia fede si è rafforzata. Abbiamo perso una persona molto cara della nostra comunità, suor Emma. Ma non ho pensato di “incolpare” Dio». Anzi, mettendo da parte paure e risentimenti per le vicende della vita, «ho compreso che nei momenti difficili dobbiamo convertire la nostra mentalità individualista per aiutare il prossimo».

Poi a condividere con il Papa la propria esperienza di fede è stata Ioanna Vidali, 26 anni, della diocesi di Tinos, già studentessa di sociologia e oggi pasticcera. La giovane ha confidato che «le due donne più importanti della mia vita, mia madre e mia nonna, hanno avuto un ruolo centrale nel mio cammino di fede». E «un’altra grande donna, una suora orsolina — ha proseguito — è stata molto importante perché mi ha insegnato la gioia del dono e della solidarietà». Ioanna non ha nascosto che «con l’adolescenza e la ricerca della mia identità, il percorso della vita è diventato difficile. Ero diventata cieca, rifiutavo la volontà di Dio, ero arrabbiata». Un’esperienza di consapevolezza che il Signore c’è con amore anche se lo si ignora, ha rafforzato la fede della ragazza. E «mi sono ripromessa — ha concluso — che avrei cercato di aiutare altri ragazzi a scoprire questa sua grandezza. Così ho iniziato a occuparmi dell’animazione dei giovani».

Infine è stata la volta di Aboud Gabro, «originario della martoriata e insanguinata Siria», 18 anni. Accanto a lui il fratello minore, Mario, 12 anni. «Nel febbraio 2012 è cominciata la guerra nella nostra città di Aleppo» ha ricordato. «Nel marzo del 2012 gruppi di estremisti fecero irruzione nel nostro quartiere, ammazzando con raffiche di mitra chi si trovava sui balconi e nei condomini». Aboud aveva solo 9 anni.

«La guerra diventava ogni giorno più orrenda» è il racconto drammatico del ragazzo. «Per lunghi periodi mancavano luce e acqua. Siamo stati costretti a scavare pozzi in ogni quartiere. Il cibo quotidiano era un problema, soprattutto per le famiglie con bambini». Poi, era maggio 2014, «una bomba “cieca” deflagrò davanti a casa nostra, per miracolo siamo sopravvissuti». E «a mezzanotte del 9 novembre 2014 una bomba centrò la camera da letto dei miei genitori».

Chiaro che non fosse più possibile restare in Siria. Falliti i tentativi di avere un visto, «non ci rimaneva che arrivare in Grecia in barca, rischiando la vita. Dopo tre tentativi, siamo riusciti ad approdare sulla “costa della speranza”. È stato difficile rimanere su una roccia senza acqua e senza cibo, aspettando la guardia costiera che venisse a salvarci». E «la gente ci ha accolto a braccia aperte» ha detto al Papa: «Oggi sono alunno della terza di liceo, ho tanti sogni e vorrei continuare a studiare».