Nonostante la pandemia di covid-19

In aumento nel mondo la vendita di armi

06 dicembre 2021

Stoccolma , 6. La pandemia non ferma l’industria bellica. E’ quanto emerge da uno studio del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), secondo cui nel 2020 il fatturato dei cento maggiori gruppi mondiali che si occupano di difesa è aumentato dell’1,3 per cento. L’Istituto si occupa di ricerca sui temi quali conflitti, armamenti, controllo degli armamenti e disarmo e fornisce dati e analisi, sulla base di fonti libere, a politici, ricercatori, media e a tutto il pubblico interessato. Il fatturato più consistente è stato registrato dalle aziende americane, confermando un trend positivo per i colossi Usa quali la Lockheed-Martin e la Raytheon Technologies.

Per quel che riguarda il Vecchio Continente, la britannica Bae Systems figura al sesto posto nella classifica. Secondo i dati dell’Istituto di Stoccolma, l’onda lunga dell’incremento vendite parte dal 2015 e da allora non ha conosciuto battute d’arresto.

Sei anni fa, infatti, gli acquisti e i permessi, in particolare negli Stati Uniti, erano saliti del 10% attestandosi a 23,1 milioni di armi vendute, il numero più elevato dall’introduzione dei controlli federali sugli acquisti nel 1998. La crescita, il report Sipri, non ha riguardato le società russe e quelle francesi che continuano a presentare bilanci con il segno meno anche se il programma approvato nel 2016 dal governo di Mosca per modernizzare l'industria bellica russa ha previsto investimenti per un trilione di rubli, cioè 15,6 miliardi di dollari.

Parigi stessa, tre giorni fa, ha firmato un contratto da 16 miliardi di euro con gli Emirati Arabi Uniti per la vendita di 80 caccia da guerra Rafale. In Italia nei giorni scorsi è stata approvata una legge volta a contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine anti persona, di munizioni e submunizioni a grappolo. Sono infatti aumentate di oltre il 20% le vittime e i feriti di questi ordigni e la causa, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio sulle mine dell’Onu, che parla di 7.073 vittime nel 2020 a fronte di 5.853 del 2019, è stato il covid-19 che ha fermato il lavoro di recupero dei residuati bellici. Se nel 2013 le vittime erano in media 10 al giorno, nel 2020 sono salite a 19 al giorno. Nonostante negli ultimi venti anni siano state rimosse e distrutte oltre 55 milioni di mine al mondo, il numero dei morti civili è ancora molto alto: nel 2020 l’8’%, di questi 1.872 bambini.