Il saluto di Ieronymos ii

Azione comune per la tutela dell’ambiente

 Azione comune per la tutela dell’ambiente  QUO-278
06 dicembre 2021

È un periodo cruciale non soltanto per la Grecia, ma per tutto il mondo, in quanto la «crisi pandemica incalzante ha cambiato la vita delle persone su tutto il pianeta e continua a farlo». Lo ha detto l’arcivescovo Ieronymos ii di Atene e di tutta la Grecia, nel saluto a Papa Francesco.

Sono emersi diversi problemi, tra i quali «la violenza, l’insicurezza, la paura, la disperazione», mentre soprattutto «un senso di frustrazione ha preso il sopravvento sugli animi delle persone, indipendentemente da razza, religione, lingua o cultura».

L’arcivescovo si è detto onorato di accogliere il Pontefice in Grecia per la seconda volta, ricordando la visita comune all’isola di Lesvos del 16 aprile 2016, insieme al Patriarca ecumenico Bartolomeo i , con «l’intenzione di risvegliare la consapevolezza globale di fronte alla sfida della questione dei migranti e dei rifugiati».

Il cammino pacifico, ha aggiunto, «compiuto fianco a fianco da Chiesa e scienza ha contribuito e continua a dare un grande contributo nell’affrontare la pandemia». Insieme ai traguardi scientifici, ha rimarcato, «la parola di Cristo tutela il dono della vita, rafforza la fede del popolo, diffonde la pace da una condizione individuale a una condizione sociale».

Inoltre, è necessario che tutti i leader cristiani insieme rendano «testimonianza di ciò di cui il mondo ha bisogno in questo momento».

L’arcivescovo ha ricordato che il Patriarca ecumenico Bartolomeo i ha «correttamente sottolineato che la pandemia che ci ha colpiti non mette in pericolo la fede» quanto piuttosto la stessa vita dell’uomo. È nostro dovere, ha aggiunto Ieronymos, «chiarire questa differenza essenziale ed aiutare le persone a non avere più paura».

Quindi ha fatto notare che la Grecia «conosce bene la virtù della gentilezza e dell’ospitalità». Inoltre, in questo periodo «molte madri greche si prendono cura di tanti nostri fratelli rifugiati in tutto il Paese», così che gli «insegnamenti cristiani sono stati messi in pratica come un’esperienza vissuta» e non sono rimasti parole vuote. Queste madri continuano «ad insegnarci quanto di meglio l’animo umano contiene» e sappia offrire con il suo «altruismo, amore, accettazione, comprensione e agire disinteressato».

L’arcivescovo ha detto di riconoscere la grande sensibilità del Papa nei riguardi della situazione dei rifugiati e dei migranti. «Riconosco — ha aggiunto — la sua grande disponibilità all’integrazione e all’accoglienza di tanti rifugiati nel corso degli ultimi anni».

Allo stesso tempo, ha detto di sentire la necessità di unirsi al Pontefice «nel sottolineare che dobbiamo dare l’allarme di fronte a questa enorme sfida». Se la comunità globale, i leader degli Stati e le organizzazioni internazionali «non prendono decisioni davvero forti», la presenza «costantemente minacciata di rifugiati, donne e bambini senza protezione aumenterà costantemente e globalmente». Per questo, i diritti all’istruzione, alla libertà religiosa e all’eguaglianza continueranno a essere minacciati.

Insieme, ha spiegato, dovremo «smuovere le montagne, i muri e l’intransigenza dei potenti della terra. Non sono più sufficienti le belle parole». Infatti, i nostri fratelli «in Afghanistan non possono continuare a subire tanta sofferenza. È triste, ma saranno costretti a lasciare il loro Paese solo per essere strumentalizzati da altri Paesi». Costretti «a cercare porti sicuri, è facile che siano coinvolti in conflitti politici o religiosi». Per questo è nostro dovere «fermare il flusso migratorio prima ancora che si metta in moto, e cioè adesso. Siamo ormai fuori tempo massimo». Abbiamo questo dovere nei confronti «dei nostri figli e delle generazioni future». L’arcivescovo ha poi fatto riferimento al recente accordo di Glasgow sulla riduzione delle emissioni di gas serra che «ha scontentato la maggior parte delle persone». Quando però si arriva a parlare di ambiente, «non c’è più spazio per compromessi». Questo grande dono di Dio «è minacciato e a meno che non prendiamo iniziative importanti il futuro appare davvero molto cupo».

Da qui, l’appello al Pontefice, affinché «si unisca a me nella condanna di questa politica miope degli Stati più forti, potenti nella produzione dell’energia». Dicendosi sicuro che «le porte di Sua Santità sono aperte a questo appello» l’arcivescovo ha chiesto «formalmente di intraprendere un’azione comune in questa direzione», assicurando che la Chiesa di Atene «e tutte le sue istituzioni saranno a sua disposizione».

La cultura moderna, ha aggiunto, «si è allontanata dal significato tradizionalmente assegnatole dalla religione». Ora si fonda «sul significato prodotto da quella che, essenzialmente, rappresenta una nuova forma di religiosità: la tecnologia digitale». L’abolizione dei limiti di spazio e tempo «genera l’illusione che l’uomo non abbia limiti né limitazioni; che lui o lei abbiano raggiunto l’immortalità in terra, mentre noi rimandiamo l’immortalità» alla fine di questo mondo. E questa è la ragione per cui la gente «aspetta con sempre maggiore impazienza la prossima, miracolosa applicazione, arrivando a formare code interminabili per acquistarla». Sfortunatamente, però, sembra che «l’illusione promessa dall’Illuminismo si riveli un inganno».

Inoltre, l’arcivescovo ha detto di accogliere il Papa in una particolare «congiuntura storica della Patria: sono passati 200 anni dalla nostra rinascita nazionale». Questo bicentenario ricorda «le lotte e i sacrifici dei nostri eroi contro le tenebre che il giogo ottomano ha tentato di imporre in quel tempo. Però la luce ha vinto, la fede ha prevalso, i sacrifici sono stati ricompensati e la culla della democrazia è risorta».

Ieronymos ii ha infine rievocato come Papa Francesco abbia servito l’uomo a imitazione di Nostro Signore, che “non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10, 45). È nato, «cresciuto e ha servito in un Paese che ha conosciuto una storia difficile e grandi disuguaglianze finanziarie, di classe e razziali», ha commentato. E ha scelto, «e non a caso, di portare il nome di un Santo della sua Chiesa, Francesco di Assisi», del quale aveva giustamente detto che «aveva portato alla cristianità un’idea di povertà contraria al lusso, all’orgoglio, alla vanità del potere civile ed ecclesiastico della sua epoca». Questa è la ragione per cui sono certo che, in quanto «riformatore Primate della Chiesa cattolica romana, sappia come scrollare i pesi del passato», in particolare, quelli «collegati con gli avvenimenti della guerra d’indipendenza greca che hanno tristemente ferito il pleroma (interezza) della nostra Chiesa». Lo dobbiamo al «sangue versato da quegli eroi e quei martiri della Rivoluzione greca», che siano riabilitati nel processo storico. «Ho fiducia — ha aggiunto — nella sua capacità di giudizio, nella sua grandezza spirituale e nella sua lunga esperienza ecclesiale».

Infine, ha detto di accogliere il Pontefice riconoscendo «nella sua persona un umile e competente operaio del messaggio del Vangelo per la nostra unità nella nostra comune fede in Cristo». Infatti, il «cammino comune della Chiesa cattolica romana e della Chiesa ortodossa nel primo millennio della cristianità ha davvero molto da insegnarci».

Inoltre, l’impegno che gli ortodossi hanno preso, «nel corso del Santo e Grande sinodo di Creta del 2016 sotto la guida della nostra Madre Chiesa di Costantinopoli, a proseguire il dialogo teologico, è un elemento costitutivo della nostra missione». Pertanto, «dobbiamo continuare questo dialogo nella verità e con amore, senza compromessi e intolleranza “per non creare alcun ostacolo al Vangelo di Cristo” (Cor 1, 9-12)», nella sicura certezza che «non ci è permesso di lasciare divisa la tunica senza cuciture del Signore perché, come afferma l’Apostolo Paolo, Cristo non è diviso (Cor 1, 1-13)».