I racconti della domenica
Il profeta Isaia

Dio è fedele alla sua parola

  Dio è fedele alla sua parola  QUO-271
27 novembre 2021

Il profeta Isaia è l’autore più noto e il più citato nel Nuovo Testamento. Durante l’avvento la liturgia medita molti oracoli suoi. Nel medio Evo viene chiamato il quinto Vangelo. Nato nel 765 a.C. Isaia vive in un periodo di forti tensioni politiche durante le quali Israele è sotto la minaccia di un’invasione assira. La politica del profeta si scontra con quella ufficiale della corte. Nella prima parte del suo libro (cap. 1-39) prevalgono il giudizio e l’annuncio del castigo. Per il profeta, la salvezza di Giuda non può venire né dall’Assiria né dall’Egitto, ma da Yhwh che ha scelto Gerusalemme ed è legato alla casa di Davide (Is 7-8). L’unica possibilità di salvezza viene dalla fede (Is 7, 9). Isaia espone alcuni oracoli messianici importanti: un castigo drammatico sta per incombere sul popolo. Quando non c’è più alcuna speranza di evitarlo, ecco giungere all’improvviso la salvezza, che supera ogni attesa. L’intervento divino si congiunge alla nascita di un fanciullo che ha per nome “Emmanuele”, “Dio con noi”. La Sinagoga aggiunge una interpretazione messianica chiara ad alcuni oracoli.

Nel primo vaticinio (7, 1-17) Isaia invita il re Acaz a chiedere un segno. Generalmente è Dio a dare i segni. Il re non vuole provocare il Signore (v. 12), perché chiedere segni significa tentare Dio. In realtà Acaz respinge l’offerta: egli non vuole segni, poiché ritiene Dio lontano dalla sua vita. Questo atteggiamento viene considerato da Isaia come una ipocrisia, perché il re sta per chiedere aiuto all’Assiria, dato che non ha fiducia nel Signore. «Se non avete fede, non sussisterete» (v. 9), dichiara Isaia. In qualche modo il re è qui chiamato ad uscire allo scoperto, e riconoscere la sua dipendenza da Dio. Ma il Signore non rinuncia al suo progetto e manda al re un segno: la nascita di un bambino. «La giovane è incinta e darà alla luce un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio con noi» (v. 14). La giovane donna è probabilmente la sposa del re che non ha avuto ancora figli. La nascita realizza la promessa, assicura la continuità legata al trono di Davide. Il bambino si nutrirà di latte e miele, simboli della terra promessa. Nel testo ebraico la giovane (haalmah con l’articolo) è una donna nubile conosciuta. La traduzione greca fatta dalla Sinagoga di Alessandria parla di «una vergine (parthenos) che partorirà». La nascita del figlio di Acaz, Ezechia, trova compimento nelle generazioni seguenti. Dio è fedele alla sua parola. L’erede di Davide, il Messia, è l’Emmanuele, che si manifesta nella storia. Dio ha l’iniziativa, che si realizza nonostante la resistenza del re. L’oracolo dell’Emmanuele, pur con il chiaro annuncio di una nascita straordinaria è oscurato da un dramma: quello di un re incapace di una relazione sincera con Dio. L’oracolo viene ripreso nel vangelo di Matteo all’inizio (1, 22-23) per convalidare il racconto del concepimento verginale di Gesù da parte di Maria. Anche alla fine del Vangelo l’oracolo promette la presenza del Messia: «Io sono con voi (Emmanuele) sino alla fine dei tempi». Questa inclusione significa che Gesù viene a portare il compimento dell’oracolo.

Nel capitolo 8, 1-15 il nome “Emmanuele” ritorna due volte. Una prima volta in un oracolo di condanna, di cui si dà la motivazione: la prepotenza di Resin, re di Damasco, e del figlio di Romelia, re d’Israele, che vogliono conquistare Gerusalemme. Ma la minaccia di condanna provoca un oracolo di liberazione: vi sarà un’invasione tragica, ma i progetti degli invasori falliscono. Il nome del bambino significa difatti un annuncio di salvezza (vv. 8.10).

Un altro oracolo (8, 23-9,6) mette in risalto il fatto che il bambino viene da Dio. La profezia si riferisce a un tempo di oscurità e di tenebre: il re assiro ha seminato spavento nel Regno del Nord. Ora il flagello è finito e la sofferenza è terminata: Isaia proclama «una grande luce per il popolo che camminava nelle tenebre» (v. 1), e ne dà la ragione: «perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (v. 5). I nomi del bambino sono emblematici: «Consigliere meraviglioso, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (v. 5). Questo appellativi danno senso al nome “Emmanuele”. Il Targum Is 9, 6 aggiunge a questi titoli: «Il Messia nei cui giorni la pace abbonderà». Un bambino con la sua nascita prepara un futuro grandioso ed esprime il carattere dell’agire divino nella storia: Dio sceglie ciò che è debole. L’oracolo è chiaramente messianico. Il futuro Messia non è un semplice messaggero divino, ma partecipa della natura di Dio. Si tratta di uno dei rari testi dell’Antico Testamento in cui la Parola di Dio si esprime con sobrietà su un tema nuovo. Eppure colui che viene a liberare il popolo è «Dio potente».

Un ultimo oracolo (Is 11, 1-13) annunzia che «un germoglio spunta dal tronco di Iesse, un virgulto (nezer) germoglia dalle sue radici. Su di lui si posa lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore» (vv. 1-2). La versione sinagogale aggiunge in Is 11, 1: «Un Re nasce tra i figli di Iesse e il Messia è esaltato tra i figli dei suoi figli». Iesse è il padre di Davide, e la sua dinastia, umiliata dall’arroganza dell’Assiria, somiglia a un tronco spezzato. Ma da quel tronco nasce un virgulto: è un germoglio, e richiama qualcosa di delicato, di tenero, di fragile, ed è insieme la verga, cioè lo scettro del re. Questi ha lo Spirito di Dio. La sua opera si manifesta nella salvezza, soprattutto a favore degli oppressi e dei poveri. I suoi segni caratteristici sono la giustizia e la fedeltà. Porta la pace fra gli uomini. Egli «non giudica secondo le apparenze e non prende decisioni per sentito dire, ma giudica con giustizia i miseri e prende decisioni eque per gli umili della terra» (vv. 3-4). L’opera del Messia viene descritta con termini emozionanti: «Il lupo dimora insieme con l’agnello; il leopardo si sdraia accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascolano insieme… il lattante si trastulla sulla buca della vipera» (vv. 6-8). Nel v. 6 il Targum interpreta: «Nei giorni del Messia d’Israele la pace abbonda nel paese». L’umanità è riconciliata con sé stessa e con tutte le creature. Un nuovo paradiso appare.

Il Messia inaugura questo regno glorioso, e il germoglio di Iesse si erge a «vessillo per i popoli», poiché «la conoscenza del Signore riempie la terra come le acque ricoprono il mare» (vv. 9-10). L’oracolo ha un soffio universale, si riferisce a tutti i popoli della terra, apportando gioia e speranza. Il meravigliarsi davanti a questi misteri è lecito: la liturgia dell’Avvento lo fa e canta: «O Emmanuel veni ad salvandum nos».

di Frederic Manns