Bailamme

Non siamo fatti per la morte

26 novembre 2021

Un bambino sente un uccellino cantare. Prende una seggiolina, punta sulle manine, arriva appena al davanzale della finestra, guarda dal vetro. Sull’unico albero al centro del cortile un passerotto canta. «Perché piange?». Chiede intristito il bimbo. Non piange, vorresti rassicurarlo. Canta. «No, piange», insiste immalinconito. Forse è così,  e tornano a mente  i versi di Keats che mi ha  ricordato un amico, in Ode a un usignolo: «Tu non sei fatto per la morte, uccello immortale». Forse il suo canto è una pena, o forse un grido, non alla natura matrigna, ma all’uomo. È un’allerta, un segnale perché alziamo lo sguardo, allarghiamo il pensiero al desiderio più pieno, più profondo, più vero. L’immortalità, cioè la vita eterna, senza la quale tutto è pianto, o velato di pianto. Noi non siamo fatti per la morte. E il suo dolore, la sua presenza intridono il giorno più luminoso, il sorriso più pieno. Il bambino non sa, ma il cuore intuisce. 

Vita e pensiero pubblica con intelligenza e audacia pensatori non cristiani che propongono e rivelano una visione dell’uomo che più cristiana non si potrebbe. L’ultimo saggio di Josep Maria Esquirol, filosofo catalano, Umano più umano. Per un’antropologia della ferita infinita, che ha già nel titolo il passo di questa scoperta, di questa coscienza.  «L’eccellenza dell’essere umano consiste nell’aver raggiunto il davanzale della finestra — della finestra metafisica — al di sopra del quale si produce la ferita infinita».

Il bambino cresce, accorgendosi di questa ferita. Preghiamo che sappia prendere sempre la sua seggiolina, affacciarsi alla finestra, lasciarsi ferire dall’infinito. Che sappia anche da grande poi rasserenarsi, alla voce amica che gli sussurra «No, canta!». Fidati, c’è da cantare, non siamo fatti per la morte. L’eternità è già qui, ed è promessa per tutti. Scendere dalla seggiolina, e riprendere a correre e giocare. 

di Monica Mondo