La sete di Jamilah

Women queue at the water pump in Goudebou, a camp that welcomes more than 11,000 Malian refugees in ...
19 novembre 2021

Ogni giorno, anche più volte al giorno, percorre chilometri per andare a prendere l’acqua che serve ai bisogni della sua famiglia ma anche per irrigare l’orto e per abbeverare i pochi animali che i suoi genitori allevano. Da quando, a dieci anni, è stata in grado di sopportare il peso dei grossi recipienti che, sulla strada del ritorno, colmi d’acqua pesano come pietre, ha smesso di andare a scuola e il suo sogno ora è solo avere un asino.

Un asino sopporterebbe, al suo posto, il peso delle taniche piene d’acqua e le farebbe compagnia in questi lunghi tragitti che compie da sola, sempre con la paura di essere assalita, derubata dell’oro blu così faticosamente conquistato ma anche aggredita sessualmente. La storia di Jamilah è simile a quella di molte, troppe, bambine che vivono nei paesi più poveri dell’Africa. Il pericolo maggiore per le donne che abitano nelle zone rurali, senza acqua potabile in casa, è infatti, venire rapite o violentate per le strade che sono costrette a percorrere ogni giorno per arrivare ai pozzi.

L’acqua dunque che, la Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce essere un diritto di tutti, per tante donne nei Paesi in via di sviluppo, rappresenta invece una condanna a subire abusi, ad abbandonare gli studi e a finire sempre più nella povertà.

Nel mondo sono oltre 2 miliardi le persone che vivono in luoghi dove “l’oro blu” è un bene raro, e le stime rilevano che se nel 2018 sono state 3,6 miliardi le persone che hanno avuto un accesso inadeguato all'acqua per almeno un mese all'anno, entro il 2050 si prevede che questa cifra salirà a oltre cinque miliardi. E’ per questo che è necessario e urgente intervenire sull’emergenza idrica che non è causata solo dai cambiamenti climatici, che provocano eventi estremi come alluvioni e siccità, ma anche dalla cattiva gestione delle risorse idriche e dalla mancanza di monitoraggio delle riserve di acqua. Il documento finale del vertice di Glasgow ha indicato alcune misure indispensabili per contrastare la crisi idrica a cui il mondo va incontro come la costruzione di bacini per raccogliere l'acqua e di canali e acquedotti per distribuirla.

E qualcosa nei Paesi più “a rischio sete” si sta già facendo: in Nigeria, per esempio, dove solo l’11% della popolazione ha accesso a servizi igienico-sanitari e solo il 13% delle scuole è fornita di servizi idrici di base.

In questa parte del mondo accedere all’acqua pulita è ancora una chimera per una larga fetta della popolazione e qui, secondo l’Unicef, almeno 300.000 bambini di età inferiore ai cinque anni muoiono ogni anno per malattie causate da microrganismi patogeni trasmessi attraverso l’acqua.

In particolare, in Nigeria il problema idrico è grave nel nord dove è alta la prevalenza di malattie trasmesse dall'acqua, dove i mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori sono continuamente messi a rischio e la mancanza di acqua contribuisce a causare i bassi livelli di iscrizione scolastica, specialmente tra le ragazze. E’ qui che Usaid, l'agenzia governativa statunitense per la lotta alla povertà globale, in partnership con i governi locali e il settore privato, sta lavorando per aumentare l'accesso all'acqua sicura, ai servizi igienico-sanitari e all'educazione all'igiene tra alcune delle comunità. Ed è sempre qui che è nato il progetto “Clean Water” (Acqua Pulita), di Salesian Mission, la Procura Missionaria salesiana di New Rochelle per contrastare l’uso dell’acqua piovana o quella del fiume, che quasi sempre è contaminata. Il progetto dei salesiani ha previsto le trivellazioni negli Stati federati nigeriani di Bagbe, Litaye, Ondo, Akwa Ibom e Imo con la possibilità di garantire l’approvvigionamento idrico a 20.000.

«Migliorare l’accesso all’acqua e alle strutture igienico-sanitarie — hanno spiegato i responsabili del progetto — porta dignità alle comunità e promuove una corretta igiene. Questo riduce anche il numero di malattie trasmesse dall’acqua, che possono colpire le persone anche nelle nostre scuole e costringerle a stare lontano dallo studio per lunghi periodi».

In Niger, invece, dove solo la metà della popolazione ha accesso ai servizi idrici di base, un aiuto è recentemente arrivato dalla Banca mondiale che ha approvato un finanziamento di 400 milioni di dollari per aiutare il Paese a fare un uso migliore delle sue scarse risorse idriche e quindi rafforzare la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza della sua popolazione.

Il progetto Integrated Water Security Platform prevede l’utilizzo di tecnologie innovative per promuovere la gestione partecipativa delle risorse idriche del paese, ottimizzare l'approvvigionamento, i servizi igienico-sanitari e la fornitura di servizi di irrigazione, garantendo allo stesso tempo la sostenibilità a lungo termine di questi miglioramenti. Come risultato dei cambiamenti climatici, i modelli di precipitazioni sono diventati più brevi ma più intensi, danneggiando la produttività agricola e, dunque, la sicurezza alimentare. Inoltre, la cattiva gestione delle risorse idriche e il diffuso degrado del suolo, dovuto alle pratiche agricole e di pascolo eccessive, hanno limitato l’accesso all'acqua. Il progetto della Banca mondiale vuole dunque aumentare l'accesso ai servizi idrici e migliorare la resilienza alla sua variabilità tra le regioni del Paese. L’obiettivo è garantire acqua pulita a 3 milioni di persone, ma anche ripristinare l'ambiente per migliorare la resilienza dei mezzi di sussistenza agricoli, ampliare i servizi di sviluppo rurale, comprese le attività di irrigazione e di utilizzo dell'acqua su piccola scala per i pastori e l'acquacoltura, limitando al tempo stesso le emissioni di carbonio. Con una fonte vicina da cui attingere acqua tante ragazze in Africa, e non solo, potranno continuare a andare a scuola, studiare e migliorare il loro futuro.

di Annalisa Antonucci