Il magistero

 Il magistero  QUO-263
18 novembre 2021

Sabato 13

Il giornalismo è ascoltare
approfondire raccontare

Oggi festeggiamo due esperti giornalisti: una è Valentina Alazraki! Giovanissima era salita sull’aereo che portava Giovanni Paolo ii a Puebla, nel 1979, la prima volta, e aveva regalato al Papa un sombrero, un cappellone di questi messicani. L’altro è Phil Pullella, anch’egli veterano dell’informazione vaticana.

Il Papa vi vuole bene, vi segue, vi stima, vi considera preziosi.

Al giornalismo si arriva lanciandosi in una missione, come il medico.

La vostra è spiegare il mondo, renderlo meno oscuro, far sì che [se] ne abbia meno paura.

È complicato pensare, meditare, approfondire, raccogliere le idee e per studiare i contesti e i precedenti di una notizia.

Il rischio è lasciarsi schiacciare dalle notizie invece di dare a esse un senso.

Tre verbi mi pare possano caratterizzare il buon giornalismo: ascoltare, approfondire, raccontare.

Ascoltare... significa avere la pazienza di incontrare a tu per tu le persone da intervistare, i protagonisti delle storie, le fonti... [e] va sempre di pari passo con il vedere, l’esserci: certe sfumature, sensazioni, descrizioni possono essere trasmesse ai lettori, ascoltatori e spettatori solo se il giornalista ha ascoltato e ha visto di persona.

Questo significa sottrarsi — e so quanto è difficile — alla tirannia dell’essere sempre online, sui social, sul web.

Il buon giornalismo ha bisogno di tempo. Non tutto può essere raccontato attraverso le email, il telefono o uno schermo.

C’è bisogno di giornalisti disposti a consumare le suole delle scarpe, uscire dalle redazioni, camminare per le città, incontrare le persone, verificare le situazioni.

Approfondire è una conseguenza dell’ascoltare e del vedere. Ogni notizia, ogni fatto di cui parliamo, ogni realtà che descriviamo necessita di approfondimento.

Nel tempo in cui milioni di informazioni sono disponibili in rete e molte persone formano le loro opinioni sui social media, dove talvolta prevale la logica della semplificazione e della contrapposizione, il contributo più importante che può dare il buon giornalismo è l’approfondimento.

Cosa potete offrire in più, a chi legge o ascolta, rispetto a ciò che trova nel web? Potete offrire il contesto, i precedenti, chiavi di lettura che aiutino a situare il fatto.

Anche per ciò che riguarda l’informazione sulla Santa Sede, non ogni cosa detta è sempre “nuova” o “rivoluzionaria”.

Ho cercato di documentarlo nel recente discorso ai Movimenti popolari, quando ho indicato i riferimenti alla Dottrina sociale della Chiesa su cui si fondavano i miei appelli.

La Tradizione e il Magistero continuano e si sviluppano confrontandosi con le esigenze sempre nuove del tempo e illuminandole con il Vangelo.

Raccontare. Non lo devo spiegare a voi, che siete diventati giornalisti proprio perché curiosi di conoscere la realtà.

Significa non mettere sé stessi in primo piano, né ergersi a giudici, ma lasciarsi colpire, ferire dalle storie, per poterle narrare. La realtà... ciò che accade, la vita e la testimonianza delle persone.

Abbiamo bisogno di comunicatori capaci di trovare i tesori nascosti nelle pieghe della società.

La diversità di approcci, di stile, di punti di vista legati alle differenti culture o appartenenze religiose è una ricchezza.

Vi ringrazio anche per quanto raccontate su ciò che nella Chiesa non va e per la voce che avete dato alle vittime di abuso.

La Chiesa non è un’organizzazione politica. A volte, purtroppo, si riduce a questo... ma non è una multinazionale con a capo manager che studiano come vendere il prodotto.

La Chiesa non si auto-costruisce sulla base di un proprio progetto, non vive di strategie di marketing.

Ogni volta che cade in questa tentazione mondana, dimentica di essere il “mysterium lunae”... La Chiesa, composta da uomini e donne peccatori, esiste per riflettere la luce di Gesù, come la luna con il sole.

Esiste per rendere possibile oggi l’incontro con Lui vivente, rendendosi tramite del suo abbraccio di misericordia.

(Per il conferimento di onorificenze ai giornalisti Philip Pullella e Valentina Alazraki nella Sala del Concistoro alla presenza dei colleghi accreditati presso la Sala stampa della Santa Sede)

Per essere “cooperatores veritatis”

La dinamica della mente e dello spirito umano è senza confini nel conoscere e nel creare. Questo è effetto della “scintilla” accesa da Dio nella persona, capace di cercare e trovare significati sempre nuovi nel creato e nella storia, e di continuare a esprimere la vitalità dello spirito nel plasmare e trasfigurare la materia.

I frutti della ricerca e dell’arte non maturano per caso e senza fatica.

Il riconoscimento va quindi all’impegno prolungato e paziente che richiedono per giungere a maturazione.

La Scrittura parla della creazione di Dio come di un “lavoro”.

Rendiamo omaggio alla profondità del pensiero e degli scritti, alla bellezza delle opere artistiche, al lavoro speso con passione per anni, al fine di arricchire l’immenso patrimonio umano e spirituale. È un servizio inestimabile per l’elevazione dello spirito e della dignità della persona.

Questo Premio viene attribuito nel nome del mio Predecessore. È l’occasione per rivolgere a lui ancora il nostro pensiero affettuoso, riconoscente e ammirato.

Pochi mesi fa abbiamo reso grazie al Signore nel 70° anniversario della sua ordinazione sacerdotale; e sentiamo che egli ci accompagna con la preghiera, tenendo il suo sguardo continuamente rivolto verso l’orizzonte di Dio.

Lo ringraziamo perché è stato anche esempio di dedizione appassionata allo studio, alla ricerca, alla comunicazione scritta e orale; e perché ha sempre unito pienamente e armoniosamente la sua ricerca culturale con la sua fede e il suo servizio alla Chiesa.

Circa dieci anni fa, mentre adempiva le sue responsabilità di governo, era impegnato a completare la sua trilogia su Gesù e così lasciarci una testimonianza personale unica della sua costante ricerca del volto del Signore.

È la ricerca più importante di tutte, che egli ha continuato a portare avanti nella preghiera.

Le parole della Terza Lettera di Giovanni “cooperatores veritatis”, motto scelto [come] Arcivescovo di Monaco, esprimono il filo conduttore delle diverse tappe di tutta la sua vita, dallo studio all’insegnamento accademico, al ministero episcopale, al servizio per la Dottrina della Fede — a cui fu chiamato da san Giovanni Paolo ii 40 anni fa —, al Pontificato.

Cooperatores Veritatis è anche il motto che campeggia sul diploma che viene consegnato ai premiati, perché continui a ispirare il loro impegno.

(Per l’assegnazione del “Premio Ratzinger”
nella Sala Clementina
)

Domenica 14

Per non
costruire
sulla sabbia

Il brano evangelico della liturgia di oggi si apre con una frase di Gesù che lascia sbigottiti: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo» (Mc 13, 24-25).

Ma come, anche il Signore si mette a fare catastrofismo? No, non è sua intenzione. Egli vuole farci capire che tutto in questo mondo, prima o poi, passa.

Anche il sole, la luna e le stelle che formano il “firmamento” — parola che indica “fermezza”, “stabilità” — sono destinati a passare.

Alla fine, però, Gesù dice cosa non crolla: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».

Egli stabilisce una distinzione tra le cose penultime, che passano, e le cose ultime, che restano.

È un messaggio per orientarci nelle scelte importanti della vita, per orientarci su che cosa conviene investire la vita.

Su ciò che è transitorio o sulle parole del Signore, che rimangono per sempre? Evidentemente su queste. Ma non è facile.

Le cose che cadono sotto i nostri sensi e ci danno subito soddisfazione ci attirano, mentre le parole del Signore vanno oltre l’immediato e richiedono pazienza.

Siamo tentati di aggrapparci a quello che vediamo e tocchiamo e ci sembra più sicuro. È umano, la tentazione è quella.

Ma è un inganno... Ecco dunque l’invito: non costruire sulla sabbia.

Il discepolo fedele, per Gesù, è colui che fonda la vita sulla roccia, che è la sua Parola che non passa.

Chiediamoci qual è il centro, qual è il cuore pulsante della Parola? Cosa, insomma, dà solidità alla vita e non avrà fine?

Lo dice San Paolo. Il centro, quello che dà solidità, è la carità, cioè l’amore.

Chi fa il bene investe per l’eternità. Quando vediamo una persona generosa e servizievole, mite, paziente, che non è invidiosa, non chiacchiera, non si vanta, non si gonfia di orgoglio, non manca di rispetto, [essa] costruisce il Cielo in terra.

Magari non avrà visibilità, non farà carriera, non farà notizia sui giornali, eppure quello che fa non andrà perduto.

Perché il bene rimane per sempre.

E noi domandiamoci: in che cosa stiamo investendo la vita? Su cose che passano, come il denaro, il successo, l’apparenza, il benessere fisico?

Di queste cose, non porteremo nulla. Siamo attaccati alle cose terrene, come se dovessimo vivere qui per sempre?

Mentre siamo giovani, in salute, va bene tutto, ma quando arriva l’ora del congedo dobbiamo lasciare tutto.

La Parola di Dio oggi ci avverte: passa la scena di questo mondo. E rimarrà soltanto l’amore.

Fondare la vita sulla Parola di Dio non è evadere dalla storia, è immergersi nelle realtà terrene per renderle salde, per trasformarle con l’amore, imprimendovi il segno dell’eternità, il segno di Dio.

Ecco allora un consiglio per prendere le scelte importanti.

Quando io non so cosa fare, come prendere una scelta definitiva, una scelta importante, una scelta che comporta l’amore di Gesù, cosa devo fare?

Prima di decidere, immaginiamo di stare davanti a Gesù, come alla fine della vita, davanti a Lui che è amore.

E pensandoci lì, al suo cospetto, alla soglia dell’eternità, prendiamo la decisione per l’oggi.

Giornata
del Diabete

Ricorre anche la Giornata Mondiale del Diabete, malattia cronica che affligge molte persone, anche giovani e bambini. Prego per loro e per quanti ne condividono ogni giorno la fatica, come pure per gli operatori sanitari e i volontari che li assistono.

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 15

Carità creativa tra le nuove forme
di povertà

Il processo di conversione è così: Dio prende l’iniziativa... conduce il penitente in luoghi dove mai avrebbe voluto andare. Il penitente risponde accettando di porsi al servizio degli altri e usando con loro misericordia. E il risultato è la felicità.

Questo è ciò che vi esorto a realizzare. E non confondiamo “fare penitenza” con le “opere di penitenza”. Queste — digiuno, elemosina, mortificazione — sono conseguenze della decisione di aprire il cuore a Dio.

La vocazione del francescano secolare è vivere nel mondo il Vangelo nello stile del Poverello, sine glossa.

Sia il Vangelo a plasmare la vostra vita. Così assumerete la povertà, la minorità, la semplicità come segni distintivi.

Siete parte della Chiesa in uscita. Vostro luogo preferito è stare in mezzo alla gente, e lì dare testimonianza di Gesù con una vita semplice, senza pretese, contenti di seguire Cristo povero e crocifisso, come fece San Francesco.

Incoraggio voi a uscire verso le periferie esistenziali di oggi e lì a far risuonare la parola del Vangelo.

La vostra secolarità sia piena di vicinanza, compassione, tenerezza.

Possiate essere uomini e donne di speranza, impegnati a viverla e anche a “organizzarla”, traducendola nelle situazioni concrete di ogni giorno, nelle relazioni umane, nell’impegno sociale e politico; alleviando il dolore.

(Ai partecipanti al capitolo dell’ordine francescano secolare ricevuti nella Sala Clementina)

Mercoledì 17

Con Giuseppe nelle periferie
geografiche
ed esistenziali

L’8 dicembre 1870 il Beato Pio ix proclamò San Giuseppe patrono della Chiesa universale. A 150 anni da quell’evento, stiamo vivendo un anno speciale dedicato a San Giuseppe, e nella Lettera Apostolica Patris corde ho raccolto alcune riflessioni.

Mai come in questo tempo segnato da una crisi globale, egli può esserci di sostegno, di conforto e di guida.

Per questo ho deciso di dedicargli un ciclo di catechesi.

Nella Bibbia esistono più di dieci personaggi che portano [questo] nome. Il più importante è il figlio di Giacobbe e di Rachele, che, attraverso varie peripezie, da schiavo diventa la seconda persona più importante in Egitto dopo il faraone.

Il nome in ebraico significa “Dio accresca, Dio faccia crescere”. È un augurio, una benedizione fondata sulla fiducia nella provvidenza e riferita specialmente alla fecondità e alla crescita dei figli.

Questo nome rivela un aspetto essenziale della personalità di Giuseppe di Nazaret... uomo pieno di fede nella provvidenza di Dio.

Ogni sua azione narrata dal Vangelo è dettata dalla certezza che Dio “aumenta”, “aggiunge”.

Il Figlio di Dio non sceglie Gerusalemme come luogo della sua incarnazione, ma Betlemme e Nazaret, due villaggi periferici, lontani dai clamori della cronaca e del potere del tempo.

Gesù non nacque a Gerusalemme con tutta la corte [ma] in una periferia e ha trascorso la sua vita, fino a 30 anni, in quella periferia, facendo il falegname, come Giuseppe.

Non prendere sul serio questa realtà equivale a non prendere sul serio il Vangelo e l’opera di Dio, che continua a manifestarsi nelle periferie geografiche ed esistenziali... Gesù va a cercare i peccatori, entra nelle loro case, parla con loro, li chiama alla conversione.

Sotto questo aspetto, la società di allora non è molto diversa dalla nostra. E la Chiesa sa che è chiamata ad annunciare la buona novella a partire dalle periferie.

Oggi Giuseppe ci insegna questo: “Non guardare tanto le cose che il mondo loda, guarda agli angoli, alle ombre, alle periferie, a quello che il mondo non vuole”.

È un maestro dell’essenziale: ricorda che ciò che davvero vale non attira la nostra attenzione, ma esige un paziente discernimento per essere scoperto e valorizzato. Vorrei oggi mandare un messaggio a tutti gli uomini e le donne che vivono le periferie geografiche più dimenticate del mondo o che vivono situazioni di marginalità esistenziale. Possiate trovare in San Giuseppe il testimone e il protettore a cui guardare.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )

Coniugare
cura della casa comune
con fraternità e amicizia
sociale

Le commissioni Giustizia e Pace delle Conferenze episcopali svolgono un servizio indispensabile, nell’ambito della pastorale sociale... operando per la tutela della dignità della persona umana e dei suoi diritti, con un’opzione preferenziale per i poveri e gli ultimi... e contribuendo a far crescere la giustizia sociale, economica ed ecologica, e a costruire la pace.

Nel portare avanti questa missione, potete attingere ampiamente dalle Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, sforzandovi di coniugarle secondo le diverse situazioni locali, nei differenti contesti continentali, regionali e nazionali.

Vi incoraggio a portare avanti questo lavoro con speranza, determinazione e creatività... sapendo quanto sia impegnativo il contesto attuale, caratterizzato dalla pandemia di Covid-19 e da vecchi e nuovi focolai di conflitto, mentre si tende a regredire rispetto agli impegni assunti dopo le immani tragedie del secolo scorso.

Vi esorto ad affrontare tali questioni anche in collaborazione con altre realtà ecclesiali e civili locali e internazionali.

(Messaggio alle Commissioni giustizia e pace
delle Conferenze episcopali di tutto il mondo)