Non si può prescindere dalla condivisione

COP26 President Alok Sharma speaks at the UN Climate Change Conference (COP26) in Glasgow, Scotland, ...
15 novembre 2021

È stato un negoziato duro, quello che in Scozia ha coinvolto i 197 Paesi membri delle Nazioni Unite, per la definizione di una politica globale sul clima. Lo ha sottolineato efficacemente il mal celato nodo alla gola che, nel suo discorso conclusivo, ha tradito il presidente della Cop26, Alok Sharma. Non deve essere affatto facile gestire le tensioni di squilibri mondiali che si fanno sempre più marcati, sotto l'incombenza di un riscaldamento climatico ormai alle soglie dell'irreversibilità.

I Paesi fragili sono giunti a Glasgow con la speranza di vedere finalmente considerata l’enorme sofferenza dei loro popoli. Attendevano decisioni climatiche vincolanti. Chiedevano gli aiuti promessi loro molti anni prima — alla Cop15 del 2009 — per potersi almeno adattare ad un cambiamento climatico, che meno di tutti hanno contribuito a generare, ma che più di tutti sono costretti a pagare: 100 miliardi all’anno, che a distanza di 12 anni dalla loro definizione, appaiono del tutto inadeguati per fare fronte ai tanti danni subiti. La paura di spendere senza trarne profitto, che caratterizza la disumana economia del nostro tempo, ha fatto sì che ancora una volta questo impegno venisse rimandato al 2023, con la possibilità di un aumento degli importi solo a partire dal 2025. Ma poi in realtà tutto questo si discuterà concretamente l’anno prossimo in Egitto, alla Cop27 di Sharm El-Sheikh.

Possiamo realmente sperare che le più importanti economie planetarie riconoscano il diritto alla resilienza di questi Paesi, quando sono già così renitenti a sostenere i costi della loro stessa transizione ecologica?

Dal canto loro, i Paesi ricchi sono arrivati in Scozia con molti, forse troppi, problemi da risolvere. Da una parte i forti condizionamenti della competizione internazionale e della dipendenza dalle energie fossili. Dall’altra l’emergenza climatica, ormai dirompente e sotto gli occhi di tutti, ma impossibile da risolvere se non al prezzo di investimenti colossali. Impossibili anche da affrontare, se non a fronte di accordi multilaterali sui tempi della transizione, senza i quali nessuno vuole rischiare di rimanere indietro per fare il primo della classe. E così è successo che, mentre gli scienziati ci mostravano la progressiva mancanza di tempo per correre ai ripari — per la quale è oggi vitale dimezzare le emissioni nel 2030 e raggiungere la neutralità nel 2040 — i colossi economici hanno finito per ingaggiare negoziati completamente diversi, arrivando a parlare di neutralità climatica entro il 2050 (Europa ed Usa), 2060 (Cina) e addirittura 2070 (India). Colpisce che proprio mentre a Nuova Delhi le autorità locali chiudevano scuole e cantieri, a causa di un inquinamento 20 volte superiore alla soglia consentita dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’India costringeva le Nazioni Unite a modificare l'accordo di Cop26 per una “riduzione graduale”, anziché per una “uscita completa” dal carbone. Se valgano di più le vite dei suoi giovani studenti o i guadagni che l’India trae dal carbone, può stabilirlo facilmente il lettore. Di sicuro però, colpisce il pensiero che un leader come Narendra Modi sia andato a negoziare la politica globale sul clima nella solitudine di un uomo che rappresenta 1,38 miliardi di persone, organizzate in un sistema economico che dipende per il 70% dal carbone, con 4 milioni di suoi concittadini impiegati in questa industria energetica. Come si può sperare che il suo slancio per il futuro dell’umanità superi l'immanenza di una simile situazione socio-economica?

Dunque, sia dalla parte dei paesi fragili che da quella dei Paesi ricchi, più che in ogni altra Cop, a Glasgow abbiamo compreso quanto l'acuirsi dell’emergenza climatica penalizzi anche la capacità dei singoli Paesi di farvi fronte. Un’evidenza questa che spiega molto bene perché Papa Francesco abbia completato il luminoso magistero dell’enciclica Laudato si’ con quello, forse ancora più importante, dell’enciclica Fratelli Tutti. Ci troviamo di fronte ad un problema che non dipende da qualcuno in particolare bensì da tutti e da ciascuno. Ci troviamo davanti ad una distorsione evidente dei nostri modelli sociali ed economici, che solo ripartendo dal principio della fratellanza universale possiamo sperare di affrontare e risolvere. Non è un caso, infatti, che Papa Francesco abbia voluto invitare ogni cittadino a contribuire a questa grande sfida, mettendo in campo azioni concrete e condividendole poi con quelle di tanti altri nella Piattaforma Laudato si’. In questo modo Papa Francesco vuole offrire ad ognuno di noi la possibilità di non essere solo, nella lotta al cambiamento climatico, bensì di partecipare ad una grande azione mondiale, realmente capace di raggiungere quella massa critica necessaria ad innescare il cambiamento.

A dispetto delle enormi difficoltà incontrate nei negoziati, come anche dei tragici compromessi che tratteggiano il Glasgow Climate Pact, la Cop26 ha avuto il merito di tenere viva la speranza per la transizione ecologica di cui l’umanità ha sempre più urgente bisogno. Si è infatti stabilito che nel 2022 i Paesi dovranno evidenziare piani ben definiti per la loro transizione; si è mantenuta l’ambizione di contenere il riscaldamento globale entro 1,5° c ; si è accettato di ridurre le emissioni del 45% entro il 2030; ma soprattutto si è accolto definitivamente il principio di dover uscire dall'energia fossile. Passi avanti fatti nella giusta direzione, che non ci consegnano un successo, ma che evidenziano molto bene la natura e le difficoltà del cammino che l'umanità sta cercando di compiere. Si comprende allora perché, al termine di questa Cop26, Papa Francesco abbia rivolto un appello a tutti i decisori politici ed economici affinché non risparmino coraggio, lungimiranza e determinazione, in questa drammatica lotta contro il tempo. Ma ha voluto allo stesso tempo ricordare ad ogni cittadino responsabile, l'importanza del suo personale ruolo con l'invito a partecipare attivamente e concretamente alla più importante sfida del nostro tempo.

di Pierluigi Sassi