Da filo spinato a croci di pace

 Da filo spinato a croci  di pace  QUO-256
10 novembre 2021

Da una croce di filo spinato può scoccare una scintilla di pace tra le Coree. Il simbolo cristiano di dolore e insieme di rinascita esprime plasticamente, in un’opera d’arte, la speranza di avviare una nuova fase di dialogo, per riprendere la paziente tessitura della riconciliazione e, a tempo debito, della riunificazione. È un messaggio pregnante, denso di significati spirituali e insieme politici, quello consegnato dalla speciale installazione artistica creata da Kwon Daehun, docente di scultura presso la Seoul National University, e promossa dal ministero per l’Unificazione del governo coreano. Nel nuovo panorama internazionale segnato dalla presidenza di Joe Biden negli Stati Uniti — leader da cui si attende un contributo al processo di pace — l’iniziativa intende risvegliare mosse politico-diplomatiche per sorpassare l’attuale stallo nei rapporti tra Corea del Sud e Corea del Nord, come spiegato a «L’Osservatore Romano» proprio dal ministro per l’Unificazione, Lee In-young: «Nel lanciare un messaggio di pace e di riconciliazione tramite un’opera di carattere spirituale», asserisce, «il governo coreano riconosce il contributo della Chiesa cattolica che si è sempre adoperata per la pace, per l’amore, per la giustizia, per la democrazia, per i diritti umani».

In questa fase, prosegue In-young, «in cui abbiamo bisogno di intraprendere nuovamente il dialogo e la cooperazione con il Nord, per portare unione e prosperità nella nostra penisola, ci aspettiamo molto dal ruolo della Chiesa cattolica». Per questo, in occasione del g 20 e della presenza a Roma del presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, che ha anche incontrato Papa Francesco, la mostra dal titolo Il filo spinato diventa simbolo di pace ha fatto tappa nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma, per poi riprendere la via della Corea dove continuerà a sensibilizzare le coscienze e a costituire un esplicito ramoscello d’ulivo teso verso Pyongyang. L’esposizione si compone di 136 croci realizzate utilizzando il filo spinato che segnava il confine tra Corea del Sud e Corea del Nord. Grazie a un lavoro di fusione di quel filo di ferro, è nata un’opera artistica denominata Croce della pace. «Quella croce esprime il desiderio ardente del popolo coreano di porre fine alla guerra e di giungere alla pace», ha rimarcato il presidente Moon Jae-in, che è di fede cattolica, citando il passo della Bibbia che recita «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci» (Isaia, 2, 1-5).

Il materiale usato apparteneva alle palizzate erette per delimitare la Zona demilitarizzata, striscia di terra lunga 248 chilometri e larga 4 che, lungo il 38° parallelo, traccia la frontiera tra Corea del Nord e Corea del Sud, due paesi tecnicamente ancora belligeranti dopo la guerra (1950-1953) conclusasi con un armistizio. Dismessa l’antica recinzione — che è stata sostituita con steccati più moderni — è nata l’idea di usare proprio quel materiale a scopi artistici e per lanciare messaggi e auspici di pace. Ha detto lo scultore Kwon Daehun: «L’opera racchiude la sofferenza dei cristiani coreani e le loro aspirazioni di pace. Nel realizzarla ho provato profonda compassione». Il lavoro e la produzione artistica dello scultore, che nel suo laboratorio ha fuso e realizzato artigianalmente tutte le croci di ferro, è stata benedetta e consacrata dal cardinale Andrew Yeom Soo-jung, da pochi giorni arcivescovo emerito di Seoul. La pace, ha affermato il porporato, «richiede una grande apertura di mente e di cuore. Dobbiamo essere artigiani di pace, perché costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività e operosità». Il secondo passo verso la pace, ha ricordato Yeom Soo-jung, è la preghiera che «porta la presenza di Dio e unisce i fedeli nella comunione». Ecco perché da ventisei anni, ogni martedì nella cattedrale di Seoul, i fedeli si riuniscono per pregare per la riconciliazione e per quella che è definita la “Chiesa del silenzio” in Corea del Nord, ricordando le cinquantasette parrocchie che lì esistevano prima della guerra.

Il 15 agosto 2020 il cardinale ha anche consacrato la diocesi di Pyongyang e tutta la Corea del Nord a Nostra Signora di Fátima, Regina della Pace, «perché la Vergine vegli e protegga quella terra», ha detto. E, per incoraggiare e sostenere l’impegno per la riconciliazione e la riunificazione della Corea, la Chiesa cattolica a Seoul organizza un Forum internazionale annuale dal titolo Condividere la pace nella penisola coreana.

L’iniziativa della speciale esposizione, promossa e finanziata dal governo sudcoreano, ha un significato simbolico e un fine culturale e politico: vuole destare l’interesse della comunità internazionale, cercando di sensibilizzare sulla necessità di giungere a una pace duratura nella penisola coreana, come ha spiegato il ministro Lee In-young, presente a Roma nella chiesa di sant’Ignazio. Quel luogo, caro alla Compagnia di Gesù, che ha donato tanti suoi membri alla missione e all’apostolato in Oriente, si è spiritualmente collegato con Paju, località nella provincia sudcoreana di Gyeonggi, a poca distanza dalla Zona demilitarizzata. Qui la monotonia della recinzione di filo spinato, che delimita un’area tesa e ostile, è interrotta da installazioni artistiche realizzate da diversi autori coreani, tutte protese a lanciare messaggi di dialogo, distensione, riavvicinamento. Una delle opere, fatta dall’artista Yoo Young-ho, è un saluto, un caloroso “ciao” che reca un buon auspicio e una speranza a coloro che i fedeli sudcoreani chiamano affettuosamente “i fratelli del Nord”.

di Paolo Affatato