L’enciclica Fratelli tutti come un buon vino arricchisce il sapore con il tempo. Ad un anno dalla pubblicazione si rincorrono gli appuntamenti di riflessione e approfondimento, tesi soprattutto a rilevarne gli elementi di novità nella cornice della dottrina sociale della Chiesa. È in questo contesto che nasce la “due giorni” promossa a Roma da «La Civiltà Cattolica» e dalla Georgetown University dal titolo «La cultura dell’incontro: il futuro del dialogo interculturale ed interreligioso». Nella sede di Villa Malta si sono avvicendati, tra gli oratori, anche i cardinali Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e Luis Antonio G. Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, oltre che esponenti del mondo accademico e del mondo religioso, cattolico ed islamico, come Sultan Al Remeithi, segretario generale del Muslim Council of Elders, e con la regia di padre Antonio Spadaro, direttore de «La Civiltà Cattolica». Nella sua introduzione padre Spadaro ha informato i partecipanti come Papa Francesco abbia fatto pervenire con una lettera agli organizzatori il proprio compiacimento all’iniziativa, ricordando che «il dialogo è un’esperienza autentica dell’umano» e che «la fratellanza, intesa nel suo modo più profondo, è un modo di fare la storia».
Ribaltando in un certo qual modo il tema del primo panel dell’evento, dedicato al carattere innovativo dell’enciclica, il cardinale Ayuso Guixot ha detto: «Cosa intendiamo per innovazione? Anche noi per primi, parlando della Fratelli tutti ne applaudiamo le novità senza renderci conto che Papa Francesco non ha fatto altro in realtà che ribadire e ricordarci una verità antica quanto il mondo, e che è alla radice della nostra fede: siamo tutti fratelli e sorelle. Non è un’esortazione a diventarlo ma una realtà esistenziale che Papa Francesco, con buona pace di tutti, dà per acquisita: siamo tutti fratelli, nessuno escluso!». E ancor più: «Mi viene da sorridere pensando allo stupore di alcuni dinanzi all’enciclica, il che ci fa capire in che situazione viviamo oggi. Se il mondo scopre e si stupisce solo oggi che siamo tutti fratelli e sorelle non siamo certo messi bene!». Quindi più dello stupore rileva lo stimolo: «L’enciclica ci stimola ad un rinnovato slancio d’amore, che sia capace di compassione, di tenerezza, di attenzione, di perdono, e che generi fraternità, spalancando il cuore alle esigenze del Vangelo». Costruire una cultura dell’incontro significa camminare nel solco del concilio Vaticano ii , ricorda il cardinale. «Al termine del Concilio il 7 dicembre 1965, Papa san Paolo vi disse: “L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio, la religione del Concilio è stata principalmente la Carità”. E la figura del buon samaritano è al centro anche della Fratelli tutti».
Tre sono gli aspetti dell’enciclica che il cardinale Ayuso Guixot ha inteso approfondire nel suo intervento: l’amore gratuito verso tutti, il servizio urgente per sanare le ferite dell’umanità, e il lavorare insieme per la pace. Sul primo aspetto il porporato ricorda l’imperativo divino di Genesi, 2 e cioè «non è bene che l’uomo sia solo», per indicare la verità più profonda dell’essere umano: «L’essere stato creato per uscire da se stesso, per incontrare l’altro». La risposta che Papa Francesco ritiene possa unicamente darsi per soddisfare il trascendentale della relazionalità è la cultura dell’amore. Evocando Papa Montini, Francesco auspica l’insorgere di una “civiltà dell’amore”. Sul secondo aspetto il porporato reclama nuove forme di solidarietà creativa che contrastino la progressiva disumanizzazione di un mondo proteso a indifferenza e avidità: «La fraternità è la presa di posizione più efficace contro la “cultura dello scarto” e il covid ha solo inasprito situazioni di sfruttamento che si protraggono da secoli». Sull’ultimo aspetto, del lavoro per la pace, Ayuso Guixot rileva che se pure esso è un impegno per tutto il mondo, esso diviene sicuramente un imperativo per i credenti delle diverse religioni chiamati, come ha affermato Francesco, «a vegliare come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti», configurandosi come “artigiani della pace”.
Nella sessione di questa mattina Al Sultan Al Temeithi ha ricordato come nella coscienza islamica predominino due principi, quello della conoscenza e quello della giusta e pia cooperazione, che costituiscono la base per l’ accoglienza da parte musulmana dell’esortazione alla fraternità globale di Papa Francesco. Il cardinale Tagle nel suo intervento ha voluto anch’egli rilevare la continuità e consequenzialità dell’enciclica con i principali documenti conciliari, in particolare con Gaudium et spes e Lumen gentium. Questo, in particolare, per evidenziare la connessione tra Fratelli tutti e la vocazione missionaria della Chiesa. «Fratelli tutti non è un accidente nel percorso magisteriale, tanto della dottrina sociale che ecclesiologico», perché a raggiungere tutti non è la sola volontà umana ma lo Spirito di Dio. «Missionarietà perché — ha continuato il cardinale — la ricerca della fratellanza non è la ricerca di un’unità tra di noi, ma verso il mondo. Comunione e comunicazione viaggiano insieme». C’è una relazione viva tra fraternità e sinodalità «perché sinodalità non è guardarsi dentro ma guardare all’intera umanità, perché noi ci definiamo nella relazione con l’altro, quando guardi agli altri guardi te stesso». Creare una cultura dell’incontro significa dunque incontrare la realtà: «Non può esserci autentica fratellanza — ha concluso — senza una vera conversione nel senso della giustizia. Una giustizia sociale che latita nei nostri giorni. E la conversione, sulle orme di san Francesco, come la fratellanza deve essere integrale: con Dio, con noi stessi, con gli altri e con la natura».
Al termine dell’incontro padre Spadaro ha sottolineato: «È interessante come Fratelli tutti, in incontri come questo testimonia, venga metabolizzata e declinata nei suoi molteplici effetti culturali, sociali e politici, che investono l’intero mondo. È un tornare alle origini, cioè a un vangelo che fermenta il mondo, indifferentemente dalle culture di provenienza e dai credi religiosi. Penso che ci sia molto da riflettere sul fatto che il ripensamento, oggi, delle basi del vivere civile, nella pace e nella fratellanza, venga da un leader spirituale e non politico. E che susciti, in così diversi ambienti culturali, un così vivo interesse, partecipazione e affezione».
di Roberto Cetera