La buona Notizia Il Vangelo della xxxiii Domenica del Tempo ordinario (Marco 13, 24-32)

La fine è un germoglio

09 novembre 2021

«Oh giorno primo ed ultimo, giorno radioso e splendido del trionfo di Cristo!»: sono le parole che l’Inno della preghiera delle Lodi della domenica ci mette sulle labbra. Parole che in un solo momento ci fanno fare memoria del principio e ci lanciano verso la fine o, meglio, verso il fine della storia, anche della nostra personalissima storia.

Con la medesima forza evocativa ci raggiungono le parole di Gesù nel discorso che Marco colloca come ultimo del suo Evangelo, nel capitolo 13, e che ascoltiamo solo in parte in questa xxxiii Domenica del Tempo ordinario, l’ultima, appunto.

Gesù è seduto sul Monte degli Ulivi, il suo sguardo è rivolto al Tempio che si erge maestoso sulla collina di fronte; sono con lui Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, i discepoli di sempre, suoi compagni di viaggio in questo tratto finale del cammino.

Sono loro ad interrogarlo, quasi per strappargli una confidenza, una profezia sul futuro del Tempio, dunque sul futuro di Israele e, in fin dei conti, sul loro stesso avvenire.

Gesù non è evasivo, anzi, prende sul serio la loro preoccupazione e, mentre parla di molte cose e descrive ciò che solo lui vede, continua ad ammonirli, a fare loro raccomandazioni proprio come chi deve partire per un lungo viaggio e vuole preparare i suoi figli, che rimangono a casa, ad affrontare ogni evenienza. Ed ecco quindi che in questo capitolo troviamo concentrati un grande numero di verbi esortativi utilizzati da Gesù e rivolti ai suoi discepoli: guardate, badate, non preoccupatevi, pregate, state attenti, imparate… vegliate… vigilate!

Anche stavolta, come sempre ci raccontano i Vangeli, lo sguardo di Gesù penetra la realtà e vede ciò che non c’è ancora: lui guarda tutto dalla fine. È un orizzonte aperto il suo, quello che non condanna la storia ma la dilata perché accolga la Verità: non il sole con la sua luce, non la luna e le stelle con il loro splendore (Gen 1, 14-17). No, ma un’altra luce, un altro sole: il Figlio dell’uomo, lui potente e glorioso che raggiunge tutti, è vicino a tutti e riunisce tutti dall’estremità della terra all’estremità del cielo (Mc 13, 27.29).

A noi che, come i quattro discepoli accanto a lui, ascoltiamo queste parole, sembra la fine di tutto: di tutto il nostro mondo, di tutte le nostre (poche) sicurezze — almeno il sole e la luna vorremmo restassero per sempre al loro posto, quello che conosciamo anche noi.

E invece lui parla e ci mette in crisi, sposta e trasforma tutto, raccontando di un germoglio tenero che è promessa di vita, annunciando una destinazione che è solo l’inizio del viaggio, una tribolazione che segna la nuova creazione. Egli è davvero vicino e le sue parole non sono menzognere, non passeranno (Mc 13, 31) non torneranno al cielo senza aver irrigato la nostra ’adama, senza averla fecondata e fatta germogliare (cfr. Is 55, 10).

Solo alla fine di tutto il racconto evangelico, insieme al centurione (Mc 13, 39) e agli undici riuniti (At 1, 6-9), capiremo che in questo discorso parlava già di sé stesso, del trono glorioso della croce, dello splendore all’alba della risurrezione, della nube che lo attirerà nei cieli.

E ancora, dopo la fine del racconto ci vorrà tutta la vita, la fede, la carità e la speranza per capire che parlava anche di noi, di ogni croce e di ogni risurrezione, di ogni oscurità e di ogni luce su cui Egli è venuto a regnare, ora e sempre.

Amen!

*Ordine di Sant’Agostino
Monastero agostiniano Santi Quattro Coronati

di Fulvia Sieni *