Intervista al Rettore Vincenzo Buonomo

Promotori di una cultura dell’incontro

Roma 29-11-2018
Università Lateranense
Ph: Cristian Gennari/Siciliani
06 novembre 2021

La Pontificia Università Lateranense è una struttura accademica funzionale e moderna, ubicata al centro di Roma, con una comunità accademica internazionale, composta da 135 docenti e 1390 studenti che provengono da tutti e 5 i continenti. Le sue quattro facoltà (Filosofia, Teologia, Diritto civile, Diritto canonico), due istituti (Pastorale e Utriusque Iuris), un ciclo di studi interfacoltà (Scienze della pace e della cooperazione internazionale), un Centro di alti studi di formazione e specializzazione post-laurea (CLAS) e 30 sedi nel mondo (Istituti Incorporati, Aggregati, Affiliati, Collegati), la rendono un’istituzione formativa d’eccellenza che, da oltre due secoli, rappresenta un riferimento culturale per la Chiesa universale e la società.

Vincenzo Buonomo, giurista , 60 anni, da tre Rettore dell’ Università Lateranense, racconta ai lettori de «L’Osservatore Romano» la sua esperienza di primo rettore laico dell’università del Papa, il processo di innovazione che sta perseguendo e le specificità dei percorsi accademici offerti.

Quali sono le novità più rilevanti del percorso accademico che l’Università Lateranense presenta?

Sono sei le realtà accademiche che costituiscono l’offerta formativa: le Facoltà di Teologia, Filosofia, l’Istituto Utriusque Iuris con le due Facoltà di Diritto canonico e di Diritto civile (Giurisprudenza), e l’Istituto pastorale Redemptor hominis a cui si affianca il Ciclo di studi in Scienze della Pace (istituito da Papa Francesco nel 2018). La loro attività, ben oltre i pur necessari aspetti strutturali, è descritta dall’impegno dei docenti, dall’attenzione degli studenti, dal supporto essenziale del personale amministrativo. Con tanta umiltà e convinti che oggi, per essere credibili, è necessario disporre delle competenze richieste dal mondo della cultura e della scienza, dai processi educativi e dagli orientamenti, sempre nuovi, che la formazione domanda. È quanto chiedono le diocesi, gli istituti di vita consacrata e le famiglie dei nostri studenti. Come l’educazione che spinge a guardare oltre ciò che può essere un semplice apprendimento e conoscenza, e non si limita a raggiungere competenze tecniche e specifiche, la formazione universitaria è un processo globale, in grado di intercettare la complessità e le sfide del reale. Intercettare, allora, diventa agire e, meglio si direbbe, governare le sfide analizzandone la complessità, dando risposte e prospettando soluzioni. In questo si inserisce la necessità di un metodo per lo studio e la ricerca della teologia, della filosofia, del diritto, delle scienze umane e sociali, come pure una metodologia di comunicazione. Viene in mente quanto Romano Guardini scrisse a Paolo vi nel 1965: «Ciò che può convincere l’uomo moderno non è un cristianesimo storico o psicologico o comunque modernizzato, ma solo il messaggio non circoscritto e intatto dalla rivelazione. Naturalmente è poi il compito di chi insegna, collegare questo messaggio ai problemi e alle pene del nostro tempo».

A Roma sono presenti 22 tra atenei pontifici ed istituzioni accademiche ecclesiali, ognuna con le sue specificità curriculari e anche spirituali. Oltre che per la sua storia centenaria come potrebbe riassumere il carisma particolare dell’Università Lateranense?

Se è vero — e oggi ancor più — che la romanità è una componente necessaria della cattolicità della Chiesa, l’immagine che l’Università Lateranense è chiamata ad offrire si riassume nel suo essere diretta emanazione della cattedra del Vescovo di Roma. Un’immagine non esteriore, che non consente scorciatoie, ma raccoglie tutto il peso della missione che abbiamo e rappresenta la forza necessaria per aprirsi verso rinnovate prospettive di ricerca e di insegnamento, per superare gli ostacoli che non possono mai mancare e sconfiggere le tentazioni, quelle che vogliono ritirarsi in un piccolo e comodo spazio. Proprio la pandemia ci ha fatto sperimentare quanto sia necessario un atteggiamento capace di avviare processi per riprendere, ripensare, e riproporre una Universitas che è “relazione” tra studio, ricerca, apprendimento e sapere. Una relazione insostituibile dal punto di vista scientifico, didattico e pedagogico, ma esercitata nella «ferma adesione alla Parola di Dio e nel pieno servizio al Magistero della Chiesa», come recitano i nostri Statuti approvati di recente.

Noi pensiamo sempre alla Lateranense come realtà accademica ed ecclesiale romana, ma in realtà tra istituti teologici, giuridici e di scienze religiose collegati, l’Ateneo ha ramificazioni in mezzo mondo.

Oggi l’insegnamento e la ricerca universitari possono esprimere vitalità, essere operativi e produrre effetti solo se riescono a “fare rete”. È questo il presupposto che regge alcuni dati: la Lateranense è presente in 15 Paesi e attraverso la rete di 30 diverse Istituzioni, collega più di 5.000 studenti. Una dimensione internazionale non fatta di sole strutture, ma animata da docenti e studenti che trovano un modo per concorrere a realizzare quella cultura dell’incontro a cui ci invita Papa Francesco, superando l’indifferenza che può addentrarsi nella vita accademica e comunicando con la cultura contemporanea nelle sue diversità. Dunque, un percorso privilegiato di arricchimento umano, scientifico ed intellettuale, e un veicolo fondamentale per promuovere l’offerta formativa dell’Università ben oltre il campus lateranense. La rete di Istituti che, a vario titolo (incorporati, aggregati, affiliati, collegati), intrattengono rapporti istituzionali, accademici e didattici con l’Università, è sorretta non solo dall’attenzione verso realtà (che richiedono attenzione per crescere nella loro attività di formazione), ma anche dalla volontà di costruire uno spazio di confronto tra la dimensione locale e quella universale, nel solco di un autentico spirito di servizio.

L’offerta degli studi ha acquisito un alto prestigio nell’offerta accademica della città di Roma, e peraltro consente una bella “contaminazione” di studenti di diverso background culturale. Qual è la fotografia dello studente della Lateranense?

Si può senz’altro dire che siamo in un contesto unico e variegato dato dalla provenienza di studenti e docenti da Paesi diversi, dalla presenza di sacerdoti, di consacrati e consacrate, di laici e laiche. A tanti che già svolgono differenti servizi ecclesiali o operano nelle istituzioni si unisce chi è alla ricerca di una dimensione di fede e chi di una professionalizzazione “integrale”. E questo rende lo studente consapevole di quanto la diffusione del messaggio evangelico e l’operare nelle società contemporanee siano il risultato della ricerca scientifica nella teologia, anche nell’indirizzo pastorale, nella filosofia, nel diritto, nella giurisprudenza, nelle scienze della pace e ormai anche negli studi in Ecologia e Ambiente. Del resto, nell’Università è il rapporto tra docente e studente a creare la struttura, e la formazione va gestita in una relazione che rende le due figure protagoniste, ma nei rispettivi ruoli. Lo abbiamo sperimentato con l’emergenza imposta dal covid che in ogni modalità di insegnamento — presenza, online, distanza — ha evidenziato la necessità di trasmettere il sapere in modo efficace e in un orizzonte aperto, imponendo di gestire anche le diversità culturali, ambientali o le semplici conoscenze telematiche.

Roma ha un grande bisogno di rilanciarsi anche culturalmente. La Lateranense può essere tra i soggetti protagonisti di questo rilancio. Come pensa di aprire l’Università alla città?

L’Università è da sempre disponibile e attenta verso la realtà locale. E lo fa offrendo la dimensione culturale che le è propria, ma con quel valore aggiunto dato dalla sua connotazione internazionale. A questo vuole concorrere anche la nuova specializzazione in Teologia interconfessionale offerta quanti vivono nella dimensione interculturale anche quella interreligiosa. Così va letta la collaborazione con il Vicariato di Roma per strutturare e avviare un percorso di formazione con una “Scuola di politica e delle istituzioni” che ha appena iniziato ad operare. Come pure a servizio della diocesi del Papa è la Scuola di Alta Formazione per il ministero dei catechisti che è stata strutturata nell’Istituto Pastorale. Non va poi dimenticata la collocazione al suo interno dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Diocesi di Roma, l’Ecclesia Mater, che svolge un ruolo fondamentale non solo per i futuri docenti di religione cattolica, ma in diverse attività formative della Diocesi di Roma.

L’“Università del Papa” non è solo un modo di dire, un distintivo di prestigio. Papa Francesco si interessa veramente alla vita dell’Ateneo?

Penso alle tre visite fatte in Università da Papa Francesco, all’istituzione del Ciclo di studi in Scienze della Pace e, lo scorso 7 ottobre, di quello in Studi su Ecologia e Ambiente a cui è stata collegata la Cattedra Unesco per l’educazione alla sostenibilità. Sul piano della gestione, poi, è del 18 agosto scorso la strutturazione delle competenze di un “organo fiduciario” preposto all’Università di cui sono parte la Segreteria di Stato, la Segreteria per l’economia e la Congregazione per l’educazione cattolica, insieme agli organi di governo dell’Ateneo. Questo per ripercorrere gli “interessamenti” a tutti noti.

Lei è il primo Rettore di provenienza laica. Che significato attribuisce a questa scelta di Papa Francesco? E cosa ha significato per lei personalmente?

La formazione ricevuta mi porta automaticamente a rispondere che le scelte del Papa non attendono commenti, ma richiedono impegno. Non nascondo che l’iniziale sorpresa si tramutò in trepidazione perché capivo che nella decisione di Papa Francesco non c’era l’idea di fare qualcosa di nuovo o di diverso nominando un laico, quanto piuttosto di coinvolgere anche la Lateranense nel Suo disegno di cambiamento che — a me sembra — non è finalizzato alle strutture, ma alle persone che animano le strutture. E questo disegno è un cammino tracciato che richiede la piena e obbediente condivisione per chi è chiamato a concorrervi: è come andare in autostrada dove il percorso è tracciato da casello a casello; percorrere una strada secondaria può avere il suo fascino, ma è possibile smarrire la meta o farsi attrarre dalle lusinghe del viaggio.

di Roberto Cetera