Beatificati in Spagna tre cappuccini

Il martirio nasce dallo Spirito

 Il martirio  nasce dallo Spirito  QUO-253
06 novembre 2021

Tre consacrati con percorsi umani ed esperienze diverse, accomunati però dalla sequela di san Francesco di Assisi e dal martirio: sono i Frati minori Cappuccini — vittime della persecuzione religiosa che si scatenò con gran furore durante la guerra civile spagnola — Benet de Santa Coloma de Gramenet, Josep Oriol da Barcelona e Domènech da Sant Pere de Riudebittles. Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, li ha beatificati stamane, sabato 6 novembre, in rappresentanza di Papa Francesco, nella basilica di Santa Maria de la Seu a Manresa.

Quando scoppiò la guerra civile e il loro convento fu occupato, devastato e incendiato dai miliziani, ha ricordato il porporato, i tre, «in obbedienza alle indicazioni dei superiori religiosi, cercarono un rifugio ospitale»; furono, però, ricercati e catturati, e quindi «sottoposti a percosse e umiliazioni». A padre Benet fu anche «chiesto di bestemmiare e di rinnegare la fede in Cristo». Tutti, ha fatto notare il cardinale, «furono messi a morte senza alcun processo, ma solo perché cristiani». E così, come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei, «hanno accettato con gioia di essere spogliati di tutto “sapendo di possedere beni migliori e duraturi”» (Ebr 10, 32-34).

La loro storia, ha aggiunto Semeraro, «somiglia a quella di tutti gli altri martiri; però, per quanto ripetuta per secoli sino ad oggi nella storia della Chiesa, è sempre una storia singolare», perché ciascuno è, «dinanzi a Dio, unico e irripetibile e, in Gesù Cristo, chiamato sempre col proprio inconfondibile nome (cfr. Giovanni Paolo ii , Christifideles laici, n. 28)».

Nel volto di ogni martire, ha fatto notare il prefetto, troviamo «un originale spiraglio da cui scrutare un tratto del volto di Cristo: è sempre lui, difatti, a concedere a ciascuno la fermezza della perseveranza e a donare nel combattimento la vittoria (cfr. Prefazio ii dei Santi Martiri)». Il martire porta «sempre e dovunque nel proprio corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel suo corpo (cfr. 2 Cor 4, 10)».

Il cardinale ha poi sottolineato che la relazione «del morire e vivere con Cristo è, nel martire, inseparabile dal morire e vivere con la Chiesa»: più concretamente, «con ogni Chiesa particolare ed ogni ecclesiola in Ecclesia dove e per la quale il martire dona la vita». Sarebbe insufficiente, infatti, «una relazione tra Cristo e il martire che non transiti per quella con la Chiesa». Se ogni martirio, «da duemila anni a oggi, inaugura la primavera della Chiesa, è perché il martire dà compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella propria carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1, 24)».

Il sacrificio di Cristo è certamente perfetto, «né ha bisogno di alcuna aggiunta perché è compiuto una volta per sempre», ha rimarcato il porporato. Nel tempio del suo corpo che è la Chiesa, però, «manca qualcosa che è richiesto a ogni credente ed è la martyria, ossia la testimonianza sino all’effusione del sangue». In questione, ha precisato, «non è il martirio a tutti i costi, da cui la Chiesa ha sempre cercato di evitare pericolose derive». E infatti nel «furore della tormenta anche i nostri beati martiri cercarono un rifugio presso persone amiche». In gioco, piuttosto, è «la testimonianza che dona fecondità alla vita della Chiesa; la rende capace di essere madre che dona la fede» e, al tempo stesso, «figlia generata dalla fedeltà della testimonianza».

Poi il prefetto ha messo in luce un aspetto decisivo: il fatto che «in ogni martirio non è uno spirito umano ad agire, ma lo Spirito Santo, dal quale hanno origine l’amore sincero e la parola della verità (cfr. 2 Cor 6, 7)». È lo Spirito che «santifica il credente rendendolo testimone, o martire della verità». Il martirio, infatti, «non nasce da sé, dal disprezzo per la vita, o da una forma di eroismo estremo», bensì «dall’azione vivificante dello Spirito di santità». Quando lo Spirito «adombra la vita del discepolo, ecco che egli diventa testimone ovunque: a qualsiasi spazio e tempo appartenga». Ancor più quando si «tratta di martirio». Per attraversare la morte in funzione della vita, dunque, «è necessario che sia lo Spirito ad agire, sicché quanti hanno lo Spirito di santità rimangono lieti, anche quando sono afflitti». Infatti, benché «poveri, sono capaci di arricchire molti e anche se non hanno nulla, possiedono tutto (cfr. 2 Cor 6, 10)». L’onore che si rende ai tre beati martiri, dunque, «capovolge in modo impensabile ma vero il processo della vita e della morte», ha concluso il celebrante.