Bailamme

L’anticipazione di Dio

05 novembre 2021

«Eccomi», in ebraico Hineni, è la risposta che molti personaggi biblici danno a Dio: “sì ci siamo” sembrano dire. Dio primerea dice Papa Francesco, gioca d’anticipo. Anticipa l’uomo e così facendo muove in lui come un gettito di rimando, un anelito di risposta. «La vita cristiana comincia con una chiamata e rimane sempre una risposta, fino alla fine» come ricordava Benedetto xvi . Il padre gesuita Michael Paul Gallagher definiva la fede come «un sì (dell’uomo) a un sì (di Dio)». Prima c’è il di Dio, che è un “sia”, che genera l’essere e poi c’è l’adesione, il dell’uomo.

Tutti siamo chiamati e quando l’agire dell’uomo è preceduto da una chiamata, che avviene sempre per nome, l’esito è benevolo. L’uomo procede verso Dio sempre con Dio stesso, mai da solo, poiché se il gesto è autonomo o propriamente non voluto da Dio, l’esito invece è tragico. Un bambino cammina con il padre e quando vuole camminare da solo cade. L’episodio della torre di Babele in questo senso è uno degli esempi più eclatanti: «Orsù — dicono gli uomini – fabbrichiamoci una città ed una torre la cui cima arrivi fino al cielo».

La torre è segno di potenza e di controllo. Da sempre l’uomo ha l’ardire di penetrare il cielo e di addentrarsi nel mistero con gli scalpelli della ragione, che però si rivelano mattoni non resistenti. La torre crolla, il destino è tragico in quanto è il tentativo di raggiungere Dio nella solitudine del proprio pensiero, frutto di una ragione sorda alla chiamata di Dio stesso. L’itinerario che porta a Dio ha fondamento solo se è un tragitto voluto da Dio che l’uomo compie come a ritroso, seguendo le tracce che Dio ha lasciato chiamandolo. Questa chiamata è un atto libero di Dio che lascia l’uomo libero che può rispondere come non rispondere a seconda di quanto è capace di andare in profondità nella vita.

Dio chiama l’uomo, lo veste, lo improfuma e gli dà l’olio affinché la lampada non si spenga; è con l’uomo prima che se ne renda conto, prima che bussi alla porta, prima che lo ricerchi. E se lo ricerca è perché anticipato, perché già scorge la sua presenza, perché è pre-messo da Dio. Viene in mente il pensiero n. 553 di Pascal, «non mi cercheresti se non mi avessi già trovato».

La risposta dell’uomo viene quindi per seconda, e non è garantita, ma solo auspicata: l’uomo che ha riconosciuto la Parola di Dio vi si getta attraversando paura, incredulità, sconforto. Qui subentra la virtù della vigilanza, questa postura dell’uomo tenacemente proteso verso l’evento che deve accadere. «Abbiate sempre i fianchi cinti e le lucerne accese, e siate voi come uomini in attesa» (Lc 12, 35-36). L’uomo vigile attende l’evento in uno stato dinamico di tensione verso Dio. Il dinamismo è l’essenza dell’attesa. Questo “tendere verso” è una condizione di anticipazione dell’evento, poiché attendendolo attivamente, lo anticipa cioè lo pre-figura, lo pre-viene, lo pre-vede. Non è facile mantenere sempre attivo e vivace lo stato di vigilanza; è un esercizio che necessita una costante dedizione e talvolta, come i discepoli che nel Getsemani cadono nel sonno senza riuscire a pregare, come le ancelle che stanche si addormentano in attesa del loro sposo, l’olio di quella lampada può terminare anche per i più desti.

Quante volte ci dimentichiamo di Dio. Quante volte vediamo nella nostra vita affievolirsi il dialogo con Dio. È il tempo in cui l’uomo si allontana seguendo altre vie, altri percorsi intellettuali. Dio chiama l’uomo e l’intensità di quell’eccomi apre un ciclo di dialogo che alterna momenti di parole a momenti di silenziosa assenza. Il rapporto dell’uomo con Dio è una continua anticipazione fino a che “sazio e pieno di giorni” l’uomo si ricongiunge al Padre. E il suo cuore inquieto può trovare riposo.

di Francesca Campana
Comparini