Perché la Chiesa celebra la solennità di Tutti i santi

Come stelle che orientano il cammino dell’uomo

04 novembre 2021

Perché celebriamo la festa di Tutti i santi? È la domanda che tutti noi potremmo farci, un po’ imitando i bambini ebrei che interrogano gli adulti all’inizio della cena pasquale. La risposta che giunge dalla traduzione liturgica ci richiama l’intenzione della Chiesa di invocare e solennizzare non soltanto quelli che da essa sono regolarmente canonizzati, o beatificati, ma pure, tutti insieme, quanti godono della visione beatifica di Dio. Ecco, allora, la «moltitudine immensa» evocata dal libro dell’Apocalisse; ecco, pure, il richiamo al tema della vocazione universale alla santità, posta dal concilio Vaticano ii nel cuore della costituzione dommatica Lumen gentium: «Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità» (n. 41).

Questa chiamata è per tutti, perché tutti siamo amati da Dio. «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!». L’esclamazione dell’apostolo Giovanni è una parola che apre alla speranza. L’agire di Gesù, che viene descritto dal Vangelo di Matteo al capitolo 5 (1-12), ci fa conoscere, infatti, l’amore di Dio.

San Bernardo di Clairvaux riconosceva in questa scena il segno della divina misericordia: Gesù guarda le folle perché riconosce il loro bisogno e la loro stanchezza e quindi si siede proprio per farsi più vicino a loro. «Colui che non può essere raggiunto neppure dagli angeli — diceva — si sedette perché potessero avvicinarglisi i pubblicani e i peccatori; perché gli si potessero accostare la Maddalena e pure il ladro dalla croce» (Sermo i . De lectione evangelica, «Videns Iesus turbas», 6: pl 183, 455).

La misericordia e l’amore di Dio che si svelano in Gesù sono pure manifestati dalle sue parole. Egli vede poveri, uomini e donne che sono oppressi, che piangono, che hanno fame e sete della giustizia, che sono perseguitati..., ma non si lascia ipnotizzare dalla loro sofferenza, non si dilunga a descriverla e neppure la spiega con analisi di tipo socio-psicologico. Gesù, piuttosto, proprio in quelle situazioni dolorose apre possibilità di cammini nuovi e immette il balsamo della speranza. Per questo ho sempre trovato suggestiva la versione del «beati» in lingua francese, che ne fece André Chouraqui: En marche... Come tradurre questo, che più che un comando è un’iniezione di coraggio? Mi piace farlo con queste parole del profeta Isaia: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio... Egli viene a salvarvi”» (35, 3-4). Il verbo al futuro che scandisce ogni beatitudine è davvero l’indicazione di Dio, che viene a salvare. È il futuro di Dio che si apre sul nostro presente e ci attira amorosamente a Sé.

Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, Francesco ha commentato le Beatitudini e le ha presentate «come la carta d’identità del cristiano» e «il volto del Maestro, che siamo chiamati a fare trasparire nella quotidianità della nostra vita» (n. 63). Santità è l’essere conformi a Cristo, ha detto in un’altra occasione Benedetto xvi : «La pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua» (Udienza generale del 13 aprile 2011).

Un monaco medievale, parlando della santità cominciò col riprendere il versetto del libro della Genesi dove si legge: «Dio disse: “Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra”» (1, 14-15) e lo commentò così: il firmamento è Cristo e le sue stelle sono tutti i santi. Loro, infatti, che durante la vita terrena si sono radicati in Lui, ora godono della sua visione beatifica. Come gli astri del cielo, anche i santi riflettono in modo diverso lo splendore del sole. C’è, anzitutto, la Vergine Maria, la «stella del mare», e poi tutti gli altri santi, che risplendono diversamente: rossa, per la fiamma della carità, è la luce degli apostoli e dei martiri; la luce delle vergini si segnala per la sua bellezza, mentre quella dei confessori per il suo chiarore. I santi, in breve, sono come le diverse costellazioni del cielo: aiutano noi, ancora pellegrini su questa terra, a procedere nel cammino sempre orientati verso Cristo. E saremo come i magi (cfr. Matteo 2, 10) che, al vedere Gesù, la «stella mattutina», proveremo una gioia grandissima (cfr. Absalon di Springiersbach, Sermo xlviii . In festo omnium sanctorum: pl 211, 270-272).

La santità — ci dice pure questa immagine — non è uniforme e monotona. Ciascuno, invece, attraverso il suo dono, la sua lingua, il suo cuore, le sue gioie e le sue lacrime è chiamato a stare davanti al trono e a cantare: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». La vocazione universale alla santità non rende superflue le voci più piccole e nascoste. La meraviglia della santità, anzi, è proprio in questo essere in sé piccoli e deboli, ma grandi e forti quando si è immersi nell’immensità del Dio, che dà la forza.

Egli guarda all’umiltà dei suoi servi e vuole fare per ciascuno di noi quello che ha fatto per l’umile donna di Nazaret, per Maria, la madre santa del suo Figlio. Lo farà con la forza feconda e corroborante dello stesso Spirito. Nel grande coro dei santi, anche chi è piccolo e secondario sullo scacchiere del mondo e anche delle strutture ecclesiastiche è prezioso per la perfezione del numero dei centoquarantaquattromila segnati dal sangue dell’Agnello.

*Cardinale prefetto della Congregazione delle cause dei santi

di Marcello Semeraro*