Per rispondere a una crisi ecologica senza precedenti

(FILES) In this file photo taken on June 24, 2021, a boy walks through a dried up agricultural field ...
30 ottobre 2021

I negoziati delle Nazioni Unite sul clima, che si terranno a Glasgow, in Scozia, a partire dal prossimo 31 ottobre, sono chiamati a rispondere a una crisi ecologica senza precedenti che impone con sempre maggiore urgenza soluzioni reali ed efficaci. La Cop26 — prima conferenza delle parti postCovid — va considerata come un momento essenziale per pianificare e preparare un futuro di speranza alle generazioni future.

La scienza non ci ha mai offerto un quadro così netto sui mutamenti climatici del nostro pianeta. Le temperature hanno toccato livelli mai raggiunti negli ultimi 200mila anni. L’impatto sui diversi territori viene quotidianamente mostrato dai media all’opinione pubblica che ne ha ormai piena consapevolezza. Ma quello che troppo spesso viene dimenticato è il drammatico impatto che tutto questo produce sulle comunità più povere nonostante queste non abbiano alcuna responsabilità sui fenomeni che le producono una crescente sofferenza. Sono queste comunità fragili che vanno messe al centro dei negoziati di Glasgow se veramente si intende far compiere progressi nella crisi in corso. Tre gli aspetti che devono essere messi al centro delle politiche globali.

In primo luogo la riduzione delle emissioni di gas clima-alteranti. Gli scienziati hanno chiaramente dimostrato i pericoli reali di un aumento della temperatura superiore a 1,5 gradi. Questo significa che i governi devono avere piani molto più ambiziosi di quelli attuali per la riduzione delle emissioni sia a breve termine, ossia entro il 2030, sia a medio termine che deve prevedere programmi molto trasparenti per il raggiungimento delle "emissioni zero" prima del 2040.

Il secondo aspetto riguarda gli aspetti finanziari. I danni ecologici dei paesi inquinanti devono essere riparati a partire dal riconoscimento di un debito ecologico. La pandemia covid-19 ha dimostrato come si possa reagire a una emergenza globale con interventi finanziari straordinari. Non ci sono quindi scuse accettabili per non soddisfare l’impegno preso a Parigi da parte dei paesi più ricchi di garantire 100 miliardi di dollari alle comunità più povere per permettere loro di adattarsi e mitigare l’impatto dei disastri climatici per salvare delle vite. Ed è di assoluta importanza che questo denaro venga erogato a fondo perduto e non sotto forma di prestiti affinché non diventi un fattore di crisi finanziaria per le stesse comunità che si dice di voler salvare. Come afferma Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: «Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso» (L s 52)

I danni prodotti all’ambiente e alla vita devono essere analizzati attentamente a Glasgow. Le comunità povere hanno subito gravi perdite in termini di habitat, biodiversità e di mezzi di sussistenza. Questo spinge uomini, donne e bambini a migrare altrove se non addirittura ad essere forzatamente trasferiti con conseguenti perdite di legami culturali, identità e persino di nazionalità. Purtroppo, questa importante questione non è riconosciuta dall’accordo di Parigi il quale esclude esplicitamente ogni obbligo di responsabilità o risarcimento per i danni subiti. Alla Cop26 è quindi importante che questo punto venga rivisto.

Il terzo aspetto da affrontare in Scozia è legato alla pianificazione responsabile della transizione ecologica la quale non può condannare preventivamente alcuno alla povertà e all’emarginazione ma piuttosto valorizzare la capacità di ognuno di contribuire al bene comune dell’umanità. Come noto un elemento chiave della transizione riguarda il superamento dei combustibili fossili. I governi devono cessare di finanziare progetti legati al loro utilizzo e devono rapidamente sviluppare piani per riconvertire alle fonti rinnovabili — o in alternativa abbandonare — i progetti che attualmente li utilizzano. Questo stesso approccio deve quindi essere concepito per garantire: ecosistemi sani; un migliore adattamento ai cambiamenti climatici; la creazione di nuovi posti di lavoro sostenibili; la promozione della salute e della dignità umana. Per raggiungere questo obiettivo è importante ascoltare le voci dei popoli indigeni e delle comunità locali, da sempre i custodi più attenti della nostra casa comune, oggi bisognosi di essere protetti dagli interessi predatori dell’economia mondiale. Illuminante in questo senso l’enciclica di Papa Francesco: «È indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre, ma piuttosto devono diventare i principali interlocutori, soprattutto nel momento in cui si procede con grandi progetti che interessano i loro spazi. Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura« (L s 146).

Gli scienziati delle Nazioni Unite (Ipcc) hanno evidenziato come non sia alcuna possibilità di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 °C senza una drammatica rigenerazione dell’ecosistema naturale, indispensabile per la mitigazione del clima. Deve quindi esistere un approccio ecologico integrale che affianchi alle nuove tecnologie anche soluzioni basate sulla natura, soluzioni fondate sul principio di precauzione, di giustizia ecologica, di sussidiarietà.

Come ci ha esortato a considerare il luminoso appello Fede e Scienza verso Cop26: «…ci troviamo di fronte a una grande sfida educativa. I governi non possono gestire da soli un cambiamento così ambizioso. Abbiamo bisogno che tutta la società — la famiglia, le istituzioni religiose, le scuole e le università, le nostre imprese e i sistemi finanziari — si impegnino in un processo trasparente e collaborativo, garantendo che tutte le voci siano valorizzate, e tutte le persone rappresentate nelle decisioni — rendendo, compresi quelli più colpiti, in particolare le donne, e quelle comunità le cui voci sono spesso ignorati o svalutati»

Siamo quindi tutti chiamati a fare ognuno la propria parte.

*Cardinale prefetto del Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale

di Peter Kodwo Appiah Turkson *