I racconti della domenica

Amos, il cantore della giustizia sociale

 Amos, il cantore della giustizia sociale  QUO-248
30 ottobre 2021

Siamo a Bethel, la città dove Giacobbe ebbe la sua visione della scala sulla quale gli angeli salivano e scendevano dal cielo. Non siamo più nel periodo di massimo splendore dei re Davide e Salomone. In effetti, l’ex regno di Israele è ora diviso. Tuttavia, nel regno del Nord (chiamato “Israele” in opposizione a “Giuda”, il regno del Sud), tutto va bene: Israele sta approfittando della debolezza dei suoi vicini per conquistare la Transgiordania. Economicamente, le terre del Nord sono più fertili di quelle del Sud. Inoltre, lo sviluppo dei rapporti commerciali con le città fenicie permette l’emergere di una prospera classe media. Samaria, la capitale, è diventata una città ricca ed elegante.

Sul piano religioso, l’antico santuario di Bethel riprende vita a scapito di Gerusalemme. Diventa un importante centro di pellegrinaggi. Il culto del vitello d’oro viene ripristinato (2Re 12, 25-33), ma in seguito è introdotto anche il culto di Baal. Tutto va bene, tranne la situazione sociale che genera un gran numero di poveri ed esclusi. Si vende il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali (Am 2, 6).

Intorno all’anno 760 a.C. Geroboamo ii estende i suoi confini in Samaria (2 Re 14, 23-29). Un ampio controllo delle vie commerciali determina uno sviluppo economico. Intanto l’aristocrazia che approfitta di questa situazione bada solamente a vivere nel lusso. Chi non si arricchisce diventa povero. In tutto il paese, l’idolatria, la decadenza morale e le ingiustizie crescono di pari passo. La legge viene violentata.

Bethel è un santuario reale di un culto scismatico rappresentativo della politica di Geroboamo ii . Amasia è il sacerdote ufficiale e non gli mancano i sussidi. Amos da parte sua vi giunge per una chiamata pressante di Dio. Non può resistere alla vocazione anche se egli non è un sacerdote, né un profeta “di professione” (7, 14), ma un mandriano e un coltivatore. Non è però un ignorante perché conosce la storia dei paesi vicini.

Viene da Tecoa, una città situata a sud di Gerusalemme. È un uomo di campagna che non ama la città ed è diffidente nei confronti dei cittadini. Viene dal regno di Giuda. L’ingiustizia non è solo un fatto definibile grazie in particolare al diritto e alla legge. Segna anche l’impotenza della legge, di ogni legge. Ecco perché, tra il diritto esistente, e l’atto di ingiustizia, il profeta è sempre necessario.

Amos delinea le condizioni sociali e religiose del popolo di Dio: oppressione, violenza e rapina sono le conseguenze del degrado di una società senza giustizia dove viene praticata una religione vuota che non ha niente a che fare con Dio. Per tutto ciò, il giudizio deve abbattersi sul popolo e un nemico deve assalire il paese, deportando i prigionieri legati con degli uncini passati attraverso le labbra.

Tre visioni di distruzione sono date al profeta. I simboli agricoli vi abbondano (cap. 7).

La prima mette in scena locuste e cavallette che divorano le piante, mentre la seconda rappresenta un fuoco che divampa nelle campagne. Il profeta deve farsi mediatore. Per questo egli intercede e il giudizio di Dio viene sospeso.

In un’altra visione il profeta vede un filo a piombo. Israele è come un muro inclinato che sta per crollare. Due volte Dio ascolta la preghiera di Amos, ma per la mancanza di pentimento del popolo Dio deve dare corso alla sua giustizia. Queste minacce non piacciono al sacerdote responsabile del santuario. Egli accusa il profeta di congiura contro il regno. Amasia con tono arrogante gli intima di ritornare nel suo paese per guadagnarsi la vita. Ma il coraggio del profeta prevale sulle accuse. Nella sua risposta Amos afferma di non essere un profeta pagato per profetizzare: «Non ero profeta né figlio di profeta». Ad Amasia annuncia che sua moglie si prostituirà nella città e che i suoi figli cadranno di spada. I rapporti tra sacerdote e profeta sono tesi.

Ancora il profeta invita il popolo alla conversione (cap. 8): egli vede un cesto di frutti maturi. Il paese è pronto per la rovina, dovuta all’avidità, al commercio disonesto e alla violenta crudeltà esercitata verso i poveri.

L’ultima visione è quella di un altare da demolire. Lascia intendere che il tempo del giudizio sta per arrivare inevitabilmente (cap. 9). Segue un segno di ricostruzione futura. Le ultime parole del profeta annunciano un restauro d’Israele, un ritorno alla terra dopo l’esilio.

Il messaggio di Amos è chiaro: Dio è il maestro del mondo. I delitti e la malvagità, dovunque avvengano, sono odiati da Lui e sottoposti al suo giudizio (1, 3 - 2, 3).

Appartenere al suo popolo è un privilegio, ma ciò non esclude dalla giustizia (3, 2). L’alleanza che Dio ha stipulato con il suo popolo ha una dimensione verticale e orizzontale. Amare Dio significa rispettare il povero. Il Decalogo deve orientare il discorso legislativo. L’ingiustizia è negazione del diritto.

Essere profeta significa interpretare a tempo e fuori tempo il presente alla luce dell’alleanza, aiutare la gente a prendere coscienza dell’appartenenza al popolo del patto. Il prete Amasia è soltanto un funzionario del culto nel santuario reale. Pensa soltanto a sé e non al gregge. In questo contesto emerge la consapevolezza del ministero profetico come dovere di proclamare la parola, che non può essere taciuta: «Il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?» (3, 8). Egli si scaglia contro l’ingiustizia che domina i rapporti umani, sia all’interno d’Israele che nelle relazioni internazionali. Il vivere nell’iniquità rende irrisorie le celebrazioni religiose, che non sono un incontro con Dio, ma una manifestazione di egoismo (2, 8). Per sradicare la falsa sicurezza d’Israele, Amos contesta le interpretazioni deformate che dell’elezione si davano, come se si trattasse di una garanzia dalla fedeltà e dalla giustizia.

Dio prende Amos mentre segue il bestiame e lo fa pastore di Israele come aveva fatto con Mosè e Davide. Diventa uno strumento di rivelazione nelle mani di Dio. I pastori che curano il gregge hanno fatto in gran parte la storia di Israele cominciando da Abele.

San Basilio di Cesarea il fondatore del cristianesimo sociale e della Basiliade, l’ospizio per i poveri, gli anziani e gli orfani in Cappadocia è un vero discepolo di Amos. Egli sottolinea che i beni della terra provengono da Dio, sono sua proprietà e gli uomini ne sono solo “gli amministratori”, non i padroni che possono farne ciò che vogliono (Basilio, Hom. vi de avarizia, 2). Ha capito l’importanza della prima beatitudine di Gesù, il difensore dei piccoli: Beati i poveri, perché saliranno sulla scala di Giacobbe.

di Frederic Manns