L’ultima opportunità

General view of the coal power plant of German LEAG energy company, in Jaenschwalde, Germany, ...
29 ottobre 2021

Dal 31 ottobre al 12 novembre lo Scottish Events Campus di Glas-gow sarà il centro del mondo. Qui si terrà la Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la “Conferenza delle parti” che sarà chiamata, come ha detto Papa Francesco «ad offrire con urgenza risposte efficaci alla crisi ecologica senza precedenti, alla crisi di valori in cui viviamo e una concreta speranza alle generazioni future» (Discorso ai partecipanti all’Incontro Fede e scienza del 4 ottobre scorso).

Nonostante sia un evento annuale, quello scozzese, è il primo dopo la pandemia. Nel 2020, infatti, il covid non ha consentito il raduno. Questo arricchisce ulteriormente di contenuti l’evento e definisce più chiaramente gli obiettivi climatici a seguito della Cop25, tenutasi a Madrid a dicembre 2019. Sono oltre 190 i leader che raggiungeranno Glasgow da ogni angolo della Terra per partecipare a quello che da più parti è stato definito «non un qualsiasi vertice internazionale». Ad essi si uniranno decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di governo, imprese e cittadini per dodici giorni di negoziati. La riuscita della Conferenza non può prescindere dall’Accordo di Parigi fissato nel corso della 21a edizione. Nell’occasione i Paesi partecipanti accettarono di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Inoltre s’impegnarono ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici e a mobilitare i fondi necessari per raggiungere tali obiettivi. L’impegno di puntare a limitare l’aumento delle temperature fu importante, perché ci si rese conto che ogni decimale di grado di riscaldamento stava causando la perdita di molte vite umane e ingenti danni ai mezzi di sussistenza. Nell’ambito di quell’accordo ciascuno si impegnò a creare un piano nazionale indicante la misura della riduzione delle proprie emissioni, chiamato Nationally Determined Contribution (Ndc) o “Contributo determinato a livello nazionale”. Inoltre i Paesi concordarono che ogni cinque anni avrebbero presentato un aggiornamento che rifletteva la loro massima ambizione possibile in quel momento. Purtroppo le nazioni del g 20, che rappresentano l’80% delle emissioni globali di gas serra, arrivano all’appuntamento di Glasgow senza impegni davvero stringenti sull’abbandono del carbone, il combustibile fossile maggior colpevole del riscaldamento globale. Ma tante e diverse sono le aspettative. A partire dall’immediata attivazione di forme di cooperazione all’interno dei Paesi sviluppati e tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo anche perché, se lasciata incontrollata, la crescente domanda di cibo, acqua ed energia finirà per superare la capacità del pianeta di soddisfare i bisogni dell'umanità. Per questo i rappresentanti delle nazioni dovranno cogliere l’opportunità della Conferenza Onu per intraprendere azioni decisive, urgenti e necessarie per evitare le perdite, i danni e, non ultime, le migrazioni forzate causate dal cambiamento climatico. L’auspicio espresso da più parti è che i governi possano lavorare insieme e in collaborazione con altre organizzazioni per realizzare gli ambiziosi obiettivi fissati dall’Europa per il 2050, in cui la lotta al cambiamento climatico non è considerata solo come un’occasione per dare uno stop al consumo di combustibili fossili, ma anche per ottenere aria e acqua più pulite; ridurre gli sprechi alimentari; assicurare una giusta ed equa condivisione delle risorse della Terra e per proteggere la salute degli habitat naturali da cui dipende anche l’uomo. Gli scienziati ci hanno avvertito che potrebbe essere rimasto solo un decennio per ripristinare il pianeta.

La Cop26 sarà chiamata ad intraprendere un’azione rapida, responsabile e condivisa per salvaguardare, ripristinare e guarire la “casa comune”, sapendo bene che ciò che si potrà ottenere dipenderà non solo dalle opportunità e dalle risorse, ma anche dalla speranza, dal coraggio e dalla buona volontà.

Il 13 dicembre 2019 a Madrid, alla fine dell’edizione numero 25, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, disse: «È stata persa un’opportunità ma se falliamo ora la storia ci ricorderà come quelli che non hanno agito e ne avevano gli strumenti e i nostri nipoti non ci perdoneranno. La prossima Cop26 sarà un momento decisivo». Glasgow, dunque, per raggiungere la neutralità carbonica, promuovere la riduzione del rischio di catastrofi, migliorare lo smaltimento dei rifiuti, risparmiare acqua ed energia, sviluppare energia rinnovabile, garantire spazi verdi all’aperto, preservare le aree costiere, prevenire la deforestazione e ripristinare le foreste. E ancora, realizzare impegnativi progetti per raggiungere una piena sostenibilità nei nostri edifici, terreni, veicoli, incoraggiare le comunità ad adottare stili di vita semplici e sostenibili, sforzarsi di allineare gli investimenti finanziari con standard ecologicamente e socialmente responsabili, assicurando maggiore controllo e trasparenza. E, non ultimo, valutare tutti i prodotti e i servizi che acquistiamo con lo stesso sguardo etico, evitando di applicare due diversi standard morali al settore delle imprese e al resto della vita sociale. «I segni dei tempi non sono mai stati più chiari» aveva dichiarato il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) all’indomani della pubblicazione del sesto Rapporto di valutazione (AR6) dell’Ipcc, il Gruppo di esperti Onu sui cambiamenti climatici. «L’unica speranza di fronte a tale scenario è un’azione che spetta innanzitutto ai Paesi più ricchi, gli inquinatori storici del pianeta. Abbiamo i mezzi finanziari e tecnologici necessari per rispondere con vigore all’emergenza climatica e questi devono essere condivisi con le comunità povere e vulnerabili che hanno contribuito meno alla crisi». Glasgow: per far prevalere una reale coscienza ecologica e per trasformare una volta per tutte gli uomini da “proprietari” ad “amministratori” del Creato a loro affidato.

di Davide Dionisi